Home / Editoriali / Un teatro che ci svegli nervi e cuore: intervista a Pierpaolo Capovilla e Giulio Favero (Il Teatro degli Orrori)

Un teatro che ci svegli nervi e cuore: intervista a Pierpaolo Capovilla e Giulio Favero (Il Teatro degli Orrori)

L’affabilità di Pierpaolo e Giulio ci sorprende davvero: non ci sono maschere in questa divertente chiacchierata con ½ de Il Teatro degli Orrori. Voce e basso della band ci spiegano che per essere mostruosi non servono i travestimenti della notte di Ognissanti, ma basta dire la verità, che è già abbastanza terribile di per sè. Bisogna urlarla ai quattro venti, dimenandosi fino a sentire ogni muscolo teso come corda di chitarra o di basso; la musica deve percuotere il corpo, come le bacchette fanno sulle pelli della batteria.
Al Neverland Festival di Calusco D’Adda (BG) Il Teatro degli Orrori ha tirato il sipario per Losthighways. (In collaborazione con Ilaria Agrò e Valentina Colaianni)

Qui al Neverland, vi trovate assieme ad altri gruppi molto differenti da voi. All’interno di questo festival, voi forse rappresentate l’eccezione, l’anomalia e sicuramente siete la band che proporrà l’esibizione più sconvolgente. Detto ciò, cosa pensate di questo evento?
Pierpaolo: Beh… non vediamo l’ora di sconvolgerlo e di sconvolgerci in questo festival. Davvero non vedo l’ora! (ride).

A noi piace pensarci in un certo senso di “alterità” nei confronti del resto della musica che c’è in Italia, nella stessa misura in cui ci piace suonare nei festival e incontrare altri musicisti, altri artisti e sentire che cosa combinano, cosa fanno. Comunicare un po’ con le persone… e ci piace l’idea di essere un’eccezione.

Il Teatro degli Orrori prende spunto da un riferimento al teatro della crudeltà di Antonin Artuad. In tutta sincerità non conosco bene tale pensiero/opera…
Pierpaolo: C’è di peggio…! (ride)

…ma mi pare di capire che per Artaud il teatro deve servirsi di tutti i linguaggi ed essere capace di far gridare lo spettatore. Uno scambio carnale direi, che poi è quello che voi intendete riportare nella vostra musica. Dal palco riscontrate il compiersi di questo scambio con chi avete di fronte?
Pierpaolo: Sì, sempre di più. Noi facciamo queste performances, questi spettacoli… sono crudi; selvaggi se vogliamo. Non è mai la stessa cosa. Non sai nemmeno cosa possa succedere: io salgo sul palco e non so cosa può capitare. Gioco sulle forme verbali… ma ad esempio una volta è accaduto che sono caduto! Porcaputtana…
Giulio: Ha finito il concerto in ospedale.

Ilaria: Più carnale di così!
Pierpaolo: Infatti, è stata proprio una carneficina! A parte gli scherzi: il rapporto col pubblico c’è, assolutamente. Ma perché abbiamo questo nome? Perché ci ispiriamo al teatro della crudeltà? Beh non è che un’evocazione, ci mancherebbe altro. Ci piace l’idea di avere questa ambizione: fare uno spettacolo vero dove performare il nostro cuore, la nostra mente, la nostra vita. Noi siamo noi, non siamo finti. Non siamo delle rockstar. Siamo della gente che ha voglia di qualcosa di diverso nella musica. Abbiamo bisogno di musica diversa, che arrivi dritta al cuore e al cervello delle persone. Basta ballare! Siamo stanchi di ballare! Noi non ci vogliamo più divertire: noi vogliamo turbare l’animo delle persone. Noi vogliamo che il pubblico che viene ai nostri concerti ricordi questi come un evento importante: qualcosa di vero che è accaduto a loro e non a noi. Non siamo la televisione. Noi vogliamo essere il contrario della televisione, dell’apparire. Noi siamo l’essere, non l’apparire. Ecco questa è la nostra ambizione, proprio la più importante.

Non a caso “abbiamo perso la memoria del ventesimo secolo”… (dal testo de L’impero delle tenebre)
Pierpaolo: Quella è una provocazione, sai?
Giulio: Già… perchè abbiamo perso anche quella degli ultimi tre anni!
Pierpaolo: Ma anche delle ultime tre settimane… è un continuo perdere. Viviamo in un momento storico completamente privo di memoria per qualsiasi cosa. Diciamoci la verità: non esiste più un pensiero critico. Non esiste nemmeno più la voglia di intervenire nella realtà, ad esempio con la musica. Cercare di cambiare la realtà, magari anche in peggio, che ti devo dire, però tentare di cambiarla consapevolmente! Vi ricordate la musica degli anni ’70 in Italia? Il cantautorato. La gente andava a folle ai concerti di Dalla, De Gregori e Bennato, perché aveva voglia di capire. Quella musica: quella è la canzone! Finisci di ascoltare una canzone dell’antico Bennato e ti senti più ricco di prima, non più povero. Non ti senti più rilassato perché hai ascoltato la canzoncina con la melodia carina. Noi non vogliamo queste cose qua. Noi non vogliamo essere carini. Vogliamo essere mostruosi e vogliamo dire le cose come stanno. Ecco la nostra alterità di cui parlavo prima. Non è che un’ambizione: sicuramente non ci riusciamo, ma almeno ci proviamo. Quindi siamo già a buon punto.

A gennaio 2008 è uscito lo split con gli Zu… come è nata la collaborazione?
Giulio: È nata perché siamo amici. Sono anni che lavoro con loro e direi che abbiamo in comune un certo tipo di musica; per cui una sera, di fronte a una birra, abbiamo detto: “Ma perché non facciamo una cosa insieme? Potremmo fare un split! Ah ma come lo facciamo? Facciamo un 10 pollici, che sono quelle cose un po’ da collezione che tanto ci piacciono”. E niente: lo abbiamo fatto. Pierpaolo ha cantato in un pezzo loro, loro hanno suonato in un pezzo nostro. Stiamo cercando di promuovere dei concerti in cui suoniamo insieme. Siamo riusciti a farne solo due perché loro sono iper-impegnati; noi un po’ meno dal punto di vista musicale, ma comunque lavoriamo e quindi non è semplice far incastrare tutto quanto. Secondo me, però, è venuta una bella cosa: non si sente nemmeno questa disparità di genere. Siamo contaminati. Suonare insieme è stato proprio figo e ce ne siamo resi conto. L’idea sarebbe quella di dividere il palco: prima suonano loro, poi noi, o viceversa. Poi fare qualcosa insieme perchè quando lo abbiamo fatto è successo di tutto: non ce n’è fregato di niente proprio. E’ bello perché ci siamo liberati. Non sempre riesci a farlo quando sei sul palco.

Tramite MySpace avete indetto un concorso per il video di Carrarmatorock!, come mai questa decisione ad un anno dalla pubblicazione del disco?
Giulio: E’ un ottimo modo per trovare qualcuno che, magari senza cercarlo, sa tirar fuori l’idea giusta con un occhio completamente diverso da quello che è il nostro. E’ bello prendere questa come una sfida e ci piacerebbe che venisse fuori un’idea vera. Non ci interessa il bel video patinato perchè ci sono quelli là che con 50€ fanno il video e passa centinaia di volte! A noi la tv non interessa nemmeno più di quel tanto; non abbiamo neanche l’esigenza di spendere troppo per fare una cosa del genere. Preferiremmo far lavorare delle persone che hanno delle idee e che magari non l’hanno mai fatto prima.
Pierpaolo: Va detto che poi, nel tempo ci sono giunte molte proposte anche per altre canzoni. Un sacco di persone – che li vedi, con l’entusiasmo della loro gioventù – hanno voglia di far qualcosa perché gli piace la musica, gli piacciono le canzoni. A questo punto vale la pena farlo veramente e vedere che succede.

Per tutta l’estate avete date in programma. Volete dedicarvi solo ai live o contemporaneamente pensate alla realizzazione di un nuovo album?
Pierpaolo: (ride) Bella domanda.
Giulio: Adesso stiamo mettendo giù le basi per creare il nuovo disco che uscirà nella primavera dell’anno prossimo. Tutto questo facendo anche i concerti. Ti dico: quando suoniamo con questa frequenza qua, le prove non le facciamo mai! Quindi è proprio un obbligo provare tra un concerto e l’altro.

Domanda stupida: quanto vi fa incazzare quando dicono che siete i One Dimensional Man che cantano in italiano?
Pierpaolo: Beh..siamo i One Dimensional Man che cantano in italiano! Siamo la stessa famiglia.

Però ci sono differenze notevolissime…
Pierpaolo: Beh sì. Chi ha orecchie per intendere intenda. Se uno vuole sentire solo quello, faccia pure. Però se uno ascolta i dischi e si sofferma sulle parole si rende conto che c’è un salto vertiginoso ad esempio nella poetica. Questo è stato possibile proprio grazie all’uso della lingua italiana. Poi è chiarissimo che Il Teatro degli Orrori frequenta lo stesso territorio musicale dei One Dimensional Man, così come è chiaro che Giulio suonava nei One Dimensional Man, io suonavo e suono nei One Dimensional Man, Franz pure. Non ci scandalizza quest’affermazione. Caspita: Capovilla, Favero e Valente che suonavano nei One Dimensional Man, Mirai che suonava nei Super Elastic Bubble Plastic…
Giulio: …e che ha provato a suonare nei One Dimensional Man ed è così che lo abbiamo conosciuto! Pierpaolo: Questa è una cosa divertente ma, non solo non ci scandalizza, non ce ne frega proprio niente. Guarda se c’è una cosa di cui non me ne frega veramente niente è l’opinione dei nostri detrattori: proprio non me ne può fregare di meno. Mi fa piacere quando ne parlano bene, mi dispiace quando ne parlano male… ma si fottessero.
Giulio: Siamo talmente i One Dimensional Man che cantano in italiano che all’ultimo concerto abbiamo fatto una canzone dei One Dimensional Man… così, perché ci andava. Per noi è un non problema. Spero non sia un problema per loro.
Pierpaolo: Comunque il Teatro degli Orrori è il Teatro degli Orrori. Per noi, in questo momento della nostra carriera e del nostro lavoro, è la priorità.


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2 commenti

  1. T E R E S A !!

    Bella chiaccherata che ho letto di un fiato.
    Bravo Emanuele e bravi loro..
    Spero di avere l’opportunità di verderli di nuovo in qualche data estiva.

  2. Il Teatro Degli Orrori sono davvero un gran gruppo! Grazie Ema per questa bella intervista

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