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L’ambizione è un lusso, il calore un diritto: Paolo Benvegnù @ il Covo (BO) 13/03/08

L’arte è una cosa complessa. L’arte si respira e penso che un giorno la tecnologia riuscirà a determinarne la quantità nel sangue. L’arte scorre nei corpi andando ad irrorarne ogni parte, anche la più periferica. Essa, attraversando il petto giunge in gola, e poi lungo le braccia, trova sede nelle mani, sale negli occhi, fino ai capelli. E perché no, nelle punte dei piedi. Giovedì 13 al Covo, l’arte era padrona: ogni movenza, ogni nota, ogni parola sussurrata o urlata che fosse, tutto era mosso dall’arte. Come una ferita alla fronte, dal capo il calore si spandeva sul corpo. Colava ricoprendo tutto.

La voce di Paolo Benvegnù brucia come calce viva, anche quando è sussurrata. “Tutti i respiri che ho / sono per te / Tutti i respiri che hai / …è così che ogni goccia di me scava la tua schiena lentamente / con un ritmo costante”.
E’ La schiena ad aprire lo scambio, con dolcezza e poi fragorosa potenza urlante. La musica cresce, insieme alla voce, scuotendo, spintonando, schiaffeggiando. Inermi si ascolta. Il pubblico subisce e si stupisce.
Le luci basse, le pareti tinteggiate di un unico colore scuro: al Covo ci si sente dentro ad una scatola nera di un aeroplano che decolla. In una lunga e stretta cabina di comando, il comandante e i copiloti si destreggiano in evoluzioni, portando un proiettile caldo nel freddo e vuoto cielo. Ben tre chitarre creano suoni ricchi e pieni fino all’inverosimile; basso, batteria e violoncello scolpiscono con grazia, e violenza quando serve.
Il volo prosegue altissimo: “il mio amore santo e blasfemo / perché ha toccato gli angeli”. Paradisi inaccessibili vengono sfiorati, per poi riportarci alla carnalità e alla fallibilità umana cantata ne La peste.
Una via per la redenzione viene indicata nella magnifica Il nemico dove il ritornello permette di provare l’assenza di gravità.
Tutte le canzoni del nuovissimo Le labbra si susseguono in una serata dai toni cupi, dove il corpo è sottoposto a continue sollecitazioni. La resistenza è messa a dura prova: il suono abbatte, il suono solleva, le parole accarezzano, le parole graffiano.
La distanza e Interno notte anticipano la più datata Cerchi nell’acqua, accolta dai tanti soliti e doverosi applausi. Il brano estratto dal precedente album solista di Benvegnù (Piccoli fragilissimi film) è una vera e propria dolce brezza, che dona sollievo e leggerezza.
L’intensissima Jeremy torna a creare il clima ideale per la complessa Sintesi di un modello matematico. Qui, come forse in nessun altro pezzo, la band riesce ad aprire spazi con suoni rarefatti che si sommano uno all’altro: il risultato è un’ipnotica canzone che stordisce con eleganza. Cinque secondi continua a calcare la stessa linea che disegna porte nelle pareti delle menti. Al di là di esse c’è il vuoto: una cascata sonora accompagna il nostro precipitare fino a quando la voce esorta a ricominciare. “Alzati per sopravvivere, alzati per sopravvivere, alzati per sopravvivere, alzati”.
Altri due splendidi successi del precedente album trovano nuova vita in inaspettati arrangiamenti molto differenti dagli originali. Il mare verticale e Suggestionabili cambiano la pelle con lisce squame di serpente, fredde come il metallo.
Il brivido che mozza il fiato lascia spazio all’ossigeno. Benvegnù sa bene come gestire il ritmo di un concerto che ambisce alla definizione completa di “spettacolo” e non solo musica. In un artista non deve mancare la professionalità, e questa si riconosce soprattutto nelle sottili scelte di tempi e contenuti. Le battute, i sorrisi e divertenti dialoghi con il pubblico sostituiscono le finestre al locale: si cambia aria. Si esplode di ilarità.
Applausi e risate accompagnano un ampio break, che fa sentire tutti più vicini nella condivisione di un momento speciale.
Da un cassetto impolverato si estrae un abbozzo di Tungsteno degli Scisma, seguita da una divertentissima Troppo poco intelligente. La pazzia dilaga, mentre la band intona le famosissime Let it be e Back in black (rispettivamente e paradossalmente Beatles e AC/DC); si ride, si scherza, si esagera. Nasce pure un gioco con il pubblico che sceglie due parole su cui il gruppo costruisce un improbabile hit, diventando inevitabilmente una spassosa critica ed imitazione di altri gruppi del panorama italiano che scelgono strade ben diverse da quella dell’ensemble Benvegnù. I nervi erano tesi, e lo scoppio quasi isterico è fragoroso e colorato… ma occorre tornare in carreggiata.
Dopo un lungo tratto di sobbalzante sterrato, si torna sulla via lasciata in precedenza. Il sentimento delle cose e L’ultimo assalto guadagnano copiosi applausi, mentre Cosa sono le nuvole colpisce con la sua profondità, scoprendo la sua vera intensità.
Si sta per chiudere: lo spettacolo sta finendo. Le ultime note sono di Simmetrie (Scisma) e dell’incantevole 1784 che, come nell’album, chiude un live da sogno.
Ancora una volta Paolo Benvegnù regala uno spettacolo completo, cambiando veste ed emozioni di canzone in canzone. Ancora una volta Paolo Benvegnù dimostra di non essere un singolo, bensì un gruppo: artisti, musicisti, ragazzi, uomini, persone con il cuore che amano parlare con gli strumenti, con arrangiamenti sempre più complessi e suoni nuovi, in continua crescita, in continua sfida, continuando ad avere qualcosa da dire.
Il testo di 1784 (P. Benvegnù e L. Manco) è forse il manifesto del magnifico progetto artistico della band: non bisogna mai risparmiarsi nel cercare, vivere e donare calore.
“Scendi in strada qualunque strada / regala i tuoi occhi al mare / un bambino, i tramonti infiniti / ai poeti ai pazzi ai naviganti / perché di loro è il mondo / e non di chi li sta uccidendo / e fai che tutto sia difficile da imparare / che ci voglia attenzione sudore / impossibile da dominare…” (Lost Gallery)

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