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Fenice – Ronin

Phoinix: la longeva, la preziosa. Benu: il simbolo della rinascita, dell’eternità della vita. È luminosa, positiva, la simbologia che accompagna la leggenda della Fenice. Parliamo di un ade privatissimo, in fondo: un ade-nido che accoglie le ceneri della fine e subito, dalle stesse ceneri, restituisce un inizio. Parliamo di saggezza, di speranza, di storia. Parliamo di conservazione della memoria, di possibilità, di aderenze e coerenze: tutto, in questa leggenda, è fonte, materia, energia; niente è laccio, vincolo, confine. Ha un senso particolare rifletterci dopo aver ascoltato questo disco, un disco bellissimo, senza se e senza ma. Fenice ri-nasce dalla storia discografica dei Ronin per poi spingersi un poco oltre, nella regione dove si muovono i capolavori. Ci si accorge che non è solo etimologico il legame con il mito, ma sostanziale: l’integrità del progetto Ronin (il pentagramma graffiato da sonorità folk-wester e impunture cinematiche, con le chitarre a strappare le visioni al sogno, a mimarle, a graffiare via la polvere dai minuti) è il corpo imperituro da cui vedono la luce i nuovi pezzi, miscellanee seducenti, dove i generi convivono in perfetto equilibrio, indovinando lo spazio ed il tempo con una cura che si può definire filmica. Filtri psichedelici, dissolvenze rock, flashback blues, anamorfie swing, inserti jazz, fondali noir: i nove piani-sequenza del disco ci regalano quarantuno minuti di sound strumentale – liquido, graffiante, confortante, struggente – che innamora timpano, olfatto, mani e cuore. Jambyia è un pugnale infilato nel cuore del disco: non uccide, apre un varco. Selce è orizzonte che accarezza e scava. La perla vocale di Emma Tricca in It Was A Very Good Year (di Ervin Drake e successo di Frank Sinatra) è uno degli attimi che rendono Fenice occasione di vera, rara bellezza.
Imperdibile. In fondo alla sala due posti riservati: Jim Jarmusch e Quentin Tarantino sanno quando è il caso di stare a sentire. Sam Peckinpah lo portano loro, nel cuore.

Credits

Label: Tannen – 2012

Line-up: Bruno Dorella (chitarra) – Nicola Ratti (chitarra) – Chet Martino (basso) – Paolo Mongardi (batteria). Partecipano: Emma Tricca (voce su It Was A Very Good Year), Enrico Gabrielli (flauto e sax su Conjure Men, clarinetto su It Was A Very Good Year”, piano su “Jambiya”), Raffaele Kohler (tromba su Conjure Men), Luciano Macchia (trombone su Conjure Men), Nicola Manzan (archi su Fenice), Umberto Dorella (organetto elettrico su It Was A Very Good Year). Tutti i brani sono di Bruno Dorella. Arrangiamenti di Nicola Ratti, Chet Martino, Paolo Mongardi. Fiati composti e arrangiati da Enrico Gabrielli. Archi composti e arrangiati da Nicola Manzan. It Was A Very Good Year: composta da Ervin Drake (batteria)

Tracklist:

  1. Spade
  2. Benevento
  3. Selce
  4. Jambiya
  5. Fenice
  6. It Was A Very Good Year
  7. Gentlemen Only
  8. Nord
  9. Conjure Men

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