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Teho Teardo – La retour à la raison Musique pour trois films de Man Ray @ Cinema Massimo di Torino 06/02/2015

news_tehoteardo-manray_IMG_201501In una fredda e piovigginosa serata invernale Teho Teardo si esibisce a Torino, presso il Museo del Cinema, per la sonorizzazione di tre film di Man Ray: La retour à la reson, L’etoile de mer e Emak Baika. Quella di stasera è la prima tappa di questo nuovo tour per l’esibizione live che accompagnerà la visione di tre cortometraggi del fotografo, regista e pittore dadaista.
La sala del cinema è gremita da molto prima l’orario di inizio dello spettacolo e a stento si riesce a trovare un buon posto per goderselo. Ci si accontenta, dunque, di poltroncine al lato della sala, un po’ troppo in fondo per osservare gli strumenti da vicino ma abbastanza da notare la lunga fila di musicisti vestiti in nero appoggiati al muro che rimangono in attesa quasi per tutto lo spettacolo. Prima che le luci si spengano, infatti, viene anticipata una sorpresa collegata a loro, proprio quando sembrerà che la musica sia finita.
Entra Teho Teardo assieme a Stefano Azzolina alla viola e Elena De Stabile al violino.
Quello che si tenta di fare stasera è creare un asse tra la musica e il cinema. Il compositore di Pordenone e Man Ray. La sperimentazione e il dadaismo. Punto d’incontro, quest’ultimo. Teho ha immaginato di scrivere una lettera al regista statunitense riguardo questo suo desiderio di confrontarsi con lui: “Caro Man Ray, la colonna sonora non combacia con l’idea di cinema dell’Uomo Raggio. Meglio un altro tipo di avvicinamento ai tuoi film, cercando appuntamenti di natura emotiva, fino quasi ad allinearsi con quel mondo, ma senza commentarlo, senza imitarlo, evitando di ribadire quanto già detto nella pellicola. In fondo è quanto ho perseguito in questi anni nel mio rapporto con il cinema.” E così Teardo assembla e dà organicità ad una sonorizzazione caratterizzata essenzialmente da un misticismo evocativo. I giochi di luce nella pellicola così prendono a giocare con frammenti sonori che si avviluppano su se stessi dando vita a melodie malinconiche, a tratti struggenti, simili a fughe talvolta, o ancora dolcissime fino a che diventano grevi affondi di archi che sospendono l’atmosfera amplificandola di emotività.
L’accompagnamento al film dura poco più di quaranta minuti. Il primo ad essere proiettato è La retour à la reson del 1923. La tecnica usata per questo cortometraggio di tre minuti è la “rayografia”, prendendo nome liberamente dal regista, che vede l’esposizione degli oggetti a del materiale sensibile, come può essere la carta fotografica. Oggetti comuni vengono esposti a rimandi di luce ed ombre, così come il seno nudo di Kiki de Montparnasse, che fu modella e musa di molti artisti dadaisti e surrealisti. Improvvisare per poi amalgamare assieme la materia con la finalità di stupire, illuminare i versanti celati, riuscendo a sconvolgere e dissacrare schemi comuni. Ed il punto di partenza di tutto ciò è proprio dove stagna l’ovvio.
A seguire L’etoile de mer, datato 1928, che zampilla attorno alla bellezza perfetta della donna. Un vetro nasconde gli avvenimenti all’occhio dello spettatore che non riesce a capire esattamente cosa accade. La conoscenza in questo modo viene scossa da curiosità e la coscienza si agita lì tra i guizzi delle corse e i rumorismi del’elettronica.
Emak Baika è del 1926 e mostra le altre tecniche filmiche quali l’esposizione multipla e l’effetto flou. Le forme geometriche sono le protagoniste assolute, scandite dal bianco e nero che illumina la sala inchiodando il pubblico al chiaroscuro. I volti, le parole, gli oggetti danzano accostati seppur distanti per funzione, verso un senso a crescere, oltre le immagini, più nelle sensazioni che nella logica.
Del ready-made e di altre risonanze di concetto analogo: gli oggetti vengono estrapolati dal loro contesto solito e vengono introdotti in un circuito di altri sensi. Man Ray, così come Duchamp ad esempio, seguivano questa ispirazione, o volontà. Sullo stesso tracciato opera in modo similare Teardo il quale abbraccia i suoi strumenti non tradizionali come una campana, due coltelli, delle roncole e un paio di forbici e li fa convergere in qualche costola del suono. Connessioni. Poi, oltre questi oggetti quali materiali da sperimentazione, vengono aggiunti elementi armonici come il violino, la viola e la chitarra. Senza dimenticare la parte percussiva: componente importante in questa esibizione, non a caso il primo film inizia proprio con il suono di una campana.
La sorpresa annunciata ad inizio spettacolo prende posto sul palco e ha l’aspetto di ben quaranta chitarristi vestiti di nero che suonano per bene dieci minuti lo stesso motivo melodico in crescendo. Gli archi forgiano la tensione di mistero che viene enfatizzato e reso qualcosa di ineluttabile dalle percussioni. Intensi e ipnotici gli strumenti incedono, sono minuti di lunghi e immaginifici echi sonori.
In tutto appena cinquanta minuti, ma affascinanti e allusivi. Intenso Teardo, intensi tutti i musicisti che hanno partecipato a questa sorta di installazione sonora al cinema di Torino.

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