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I palpiti accordati tra voce e pianoforte: intervista a Laura Loriga (Mimes Of Wine)

Da Apocalypse Sets In sono passati tre anni. Nel 2012 i Mimes Of Wine sono tornati con un nuovo disco: Memories For The Unseen. Mimes Of Wine ovvero un progetto che nasce nel 2006 a Bologna e che vede, inizialmente, solo la presenza di Laura Loriga ed il suo pianoforte; successivamente sono arrivati altri musicisti per arricchirne il sound. La voce di Laura  è acuta e vibrante come agli albori e conduce tra la trama fitta di un sogno, o di un ricordo, o di ciò che non può esser raccontato se non con la logica degli sviluppi sonori. E l’ultimo album è la realizzazione di un’alchimia musicale tra l’algido cristallino ed il dolcissimo.

Per chi ancora non vi conosce bene, qual è la storia dei Mimes Of Wine?
Mimes of Wine come giustamente dici tu è il progetto solista che ho iniziato nel 2006, e che poi è cresciuto tra viaggi, esperienze ed incontri, fino ad oggi. Le prime idee registrate nel 2006-2007 sono semplici tracce di  piano e voce, su cui io ed Enzo Cimino abbiamo lavorato con arrangiamenti fantastiosi di rumori e contribuiti di amici ospiti, tra cui Adriano Modica e Daniele Calandra, che al tempo hanno dato colori bellissimi.
Nel 2008 Midfinger ci ha proposto di pubblicare il primo disco intero, Apocalypse sets in, che è uscito a fine 2009. Nel frattempo, mi ero già trasferita in California e questo ha contribuito a confondere ancora di più la forma di Mimes of Wine, che si sono trovati per un paio di anni ad essere sia una band alter ego a Los Angeles (al tempo con Neel Hammond e Kenny Annis) che una band italiana (con Stefano Michelotti, Francesco Begnoni e Zeus Ferrari). Con questa strana natura il progetto è cresciuto tra questi due mondi, e principalmente con queste due formazioni ho arrangiato i brani del primo disco e girato Italia e California.
Dopo il tour di Apocalypse sets in, finito nell’estate 2010, mi sono ristabilita a Los Angeles e da lì ho scritto le ossa di Memories for the unseen. I brani sono stati arrangiati questa volta con la band attuale e i nostri ospiti fin dall’inizio (Stefano Michelotti, Riccardo Frisari, Luca Guglielmino, Matteo Zucconi, Tiziano Bianchi, Helen Belangie, ed altri), dando un’impronta piuttosto diversa a questo secondo disco.
Memories for the unseen è uscito per Urtovox lo scorso novembre e al momento siamo di nuovo in giro per l’Italia, in attesa di portare questo lavoro anche all’estero nel corso del 2013.

In questi tre anni, dall’uscita di Apocalypse Sets In, dove hai preso ispirazione per la realizzazione dell’ultimo disco?
Negli utimi tre anni sono stata molto a Los Angeles, dove ora vivo stabilmente da qualche anno. Lì ho avuto la fortuna di avere vicino persone che mi hanno fatto ascoltare moltissime cose che non conoscevo, di generi e provenienze svariate, e anche la fortuna di incontrare musicisti e addetti ai lavori che mi hanno insegnato molto in questo periodo. Le stesse persone con cui ho ascoltato altri sono state anche i primi giudici di quello che scrivevo, e così, poco a poco, tra scambi, bicchieri, conversazioni, sì e no, sono nate le idee per Memories for the unseen.

Quanto è stato ed importante per la tua ricerca artistica viaggiare, vivere in posti anche molto diversi da quelli più vicino a casa?
Sono andata via da casa spinta dalla curiositaà di sapere come era quel posto da cui veniva una grande parte delle cose che avevo ascoltato fino ad allora, e di vedere come sarebbe stato anche solo provare ad entrare in un mondo così diverso e grande. Quella stranissima città che è Los Angeles mi ha insegnato a provare, a confrontarmi, ad avere ottimismo e a tenere duro. Di conseguenza, ha cambiato anche la musica che scrivo e che scriviamo come band.
Le altre due città dove ho vissuto prima, San Francisco e Parigi, le ho soprattutto conosciute da viaggiatrice curiosa più che da cittadina, ma a livello personale hanno sicuramente contribuito a loro volta a farmi prendere determinate direzioni sia nelle scelte sonore dei brani che nelle parole, sempre tramite le cose che ho trovato in tutti gli angoli e le persone che ho incontrato.

La tua voce, la sua estensione e non solo, il modo in cui la rendi sinistra e penetrante, è una calamita. Ti hanno paragonata a PJ Harvey, Diamanda Galas, forse più appropriatamente; io avvicinerei più il tuo stile a quello di Nico, come a quello di Soap&Skin, anime in stato di estraniazione assoluta. Come riesci, mentre canti, ad entrare in contatto con mondi lontanissimi da questo esprimendo la parte più profonda di te?
Si apre come una porticina in cui si entra e si parla di quello che si vede. Mi viene in mente un caro amico, Amir Mogharabi, che è un bravissimo pittore. Quando lo guardavo dipingere, tante volte mi sono chiesta come facesse a pensare a quelle linee, a quelle posizioni di parti del corpo, a quelle ombre e luci. Se glielo avessi chiesto, so già che mi avrebbe guardato con una faccia tra il divertito e lo gnorri. Più di una volta, dalle persone più ispirate che ho avuto vicino, mi è stato detto “just keep going”, e così provo a fare. Si scende, e via… si va.

Memories for the unseen è un disco dalle atmosfere eteree ma ricco di melodie dolci, che rimandano a nostalgie di cose lasciate indietro. Rispetto ad Apocalypse Sets In è molto più intimista nei testi, ma sfiora l’astrazione col tappeto di strumenti scelti. Come riesci ad amalgamare parole e musica?
Di solito crescono insieme. È molto raro che un’idea di melodia o armonia non sia legata ad un’immagine e allo stesso modo che un testo non crei nessun suono.

Quanto componi per te e quanto (o cosa) vorresti comunicare a chi ti ascolta?
Compongo per me nel senso che la musica è il mezzo con cui mi sento più a mio agio per parlare delle cose che sento e che mi circondano. Tutto però è sempre orientato all’esterno, anche se in un modo che ha molto di intimo nel nostro caso; se non volessi comunicare tutto quello che portiamo in ogni brano, probabilmente non scriverei affatto.

Il pianoforte sembra esser diventato, a mio parere, una prosecuzione del tuo canto. Chi è il musicista che ti ha avvicinato a questo strumento? Quale altro strumento vorresti saper suonare?
La musicista che mi ha avvicinato al piano è stata la mia vicina di casa, quando eravamo bambine. Tutti i giorni la sentivo suonare da di sopra e volevo assolutamente provare anche io a fare la stessa, cosa, che per fortuna mi è stata concessa. Da lì ho passato tanti anni studiando musica classica  e ascoltando e cantando però tutt’altro… alla fine ho deciso di mettere tutto insieme.
Vorrei essere come il nostro Stefano, che sa suonare tutto quello che si trova tra le mani. Dovendo  scegliere, il violoncello.

Oltre alla musica, c’è qualche altra passione a cui ti dedichi?
Mi piace molto scrivere, disegnare, leggere. Con altri, guardare tanti film, andare in giro per musei e città, cucinare.

I Mimes of Wine sono in tour con i Giardini di Mirò in questo periodo: credo che sia un’esperienza d’ascolto strepitosa di sonorità incatalogabili. Comè nata quest’avventura? Com’è stata quest’esperienza? Con chi vorresti suonare live nel prossimo futuro?
È nata mesi fa, quando i Giardini di Mirò erano alla ricerca di una cantante per le loro date autunnali, e mi hanno contattato a distanza. Da lì ho messo insieme un provino per uno dei brani, è andata bene, e ci siamo incontrati. Per me, questa è un’esperienza bellissima; mi ha permesso di conoscere più da vicino una delle band italiane che ammiro e di fare parte temporaneamente di un progetto molto speciale in questo panorama. In più, sto imparando cose nuove anche come cantante perchè il lavoro vocale che faccio con loro è diverso da quello di Mimes of Wine. Insomma, un’ottima cosa. In futuro… non ho idea, vedremo!

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