Nel Maggio appena trascorso è uscito per Seahorse Rec/Red Birds e distribuzione Audioglobe Piccole Catastofi, il nuovo album de Il Sogno Il Veleno alias Alex Secone. Dieci tracce valide che ho ascoltato con piacere. Riconosco nel giovane abruzzese piena sincerità di intenti, una ricerca in sottrazione che costituisce sempre motivo di merito. Con lui ho avuto modo di discutere di musica e non solo. (Paese sera è in streaming autorizzato)
Alex, con te vorrei parlare delle riviste musicali e delle relative recensioni ed interviste. È chiaro che, dal punto di vista dell’artista, esse costituiscono un mezzo per favorire la circolazione dei dischi. D’altro canto, anche le riviste musicali e i rispettivi giornalisti acquistano visibilità. A me piace però pensare che, se c’è onestà e umanità reciproca, esse possano anche costituire uno scambio, un flusso di energia e di idee. Tu cosa ne pensi?
È vero, è un modo per tenere desta l’attenzione sul proprio nome, sulle proprie canzoni, sui dischi. Ma chiarirei un punto: le recensioni, così come le interviste, se da un lato aiutano a far conoscere il proprio percorso musicale dall’altro però non bastano. Come dici tu ci sarebbe bisogno di più collaborazione tra l’artista e gli “addetti ai lavori”, ma questa molto spesso manca. Sono tante le persone che fanno il proprio lavoro con passione e onestà ma purtroppo sovente non riescono a controbilanciare il loro impegno quotidiano con un effettivo riscontro tra gli ascoltatori e i lettori. Questo naturalmente non vuol dire che non valga la pena di provarci sempre e comunque
Il titolo che userò per l’intervista riprende un verso della canzone Comizi d’amore (titolo che rimanda al film-documentario del 1964 diretto da Pier Paolo Pasolini ) in cui tu ti rivolgi direttamente al poeta ed è commovente l’immedesimazione in quello che deve essere stato il suo dolore. La forza della parola detta è violenta con l’uomo che la pronuncia e ne incide profondamente l’esistenza. Ci dici qualcosa al riguardo? Che cosa significa per te questa canzone?
È una delle prime canzoni del disco che ho scritto. Ero all’università e anziché studiare ho iniziato a scrivere il testo partendo dal ritornello, immaginando la musica nella mia testa senza avere nessuno strumento a portata di mano. Ho completato il testo in mezz’ora e non l’ho più ritoccato in seguito. È una cosa che non mi capita spesso, anzi quasi mai ed è stata una sensazione molto bella. Comizi d’amore è un documentario commovente che consiglio di guardare a chi non l’avesse ancora fatto. Dalla musica è più che mai lecito pretendere stimoli culturali che provengono anche da altri linguaggi artistici. Per me è così con il cinema, ci trovo dentro molti riferimenti che contestualizzati nel modo giusto possono ancora dire qualcosa di molto forte e importante
Nel brano Il tram affermi che “c’è più pericolo in mezzo agli uomini nei posti dove siamo meno soli”. L’intero album dà questa immagine cruda e nello stesso tempo realistica dell’Italia, un paese ormai lontano dall’essere rassicurante come era nel sogno della sua ricostruzione e del boom economico. Per recuperare un briciolo di umanità non ci resta che dilatare il tempo de Le cose importanti…
Il tram è un mediometraggio che Dario Argento girò per la Rai nel 1973 all’interno di una serie chiamata La porta sul buio. Subito dopo averlo visto scrissi il testo della canzone facendo riferimento alla trama del film in maniera molto precisa. La storia di una ragazza che viene uccisa durante la corsa di un tram sotto gli occhi di tutti i passeggeri senza che questi si accorgano di nulla. Mi sembrava un buon pretesto per parlare della solitudine latente che avverto nel nostro paese, nelle nostre città che sono sempre più luoghi di convivenza di infinite singole solitudini e non moderne agorà di condivisione e socialità vere come mi piacerebbe che fossero. A ben vedere il testo de Il tram, seppure in modo metaforico, è quello che racconta meglio l’Italia di oggi. Un paese che, nonostante le tante, troppe cose sbagliate, amo più che mai
Alex, ci descrivi Pescara, la tua provincia di provenienza? È una domanda che pongo spesso per contestualizzare un album, per guardarlo dalla prospettiva di quella che secondo me è la sua vera origine.
Premetto che Pescara è una città che amo molto. Una città con un enorme potenziale che purtroppo, a mio avviso, non viene sfruttato al meglio. Per questioni anagrafiche la mia memoria storica non può tornare indietro di molto e quindi non saprei dire se venti o trent’anni fa le cose fossero diverse. Io non abito in centro ma tutte le volte che la frequento sono attraversato da una serie di sensazioni tutte molto contraddittorie tra loro. C’è il porto con il suo indiscutibile fascino ma ci sono anche i quartieri periferici con i loro mille problemi. I locali più frequentati sono tutti racchiusi nel raggio di un paio di vie caratteristiche nella parte vecchia della città e questo è un problema per un centro relativamente grande come Pescara. Naturalmente non è questo il luogo dove fare un’analisi socio-politica di Pescara anche perché non ne sarei capace ma la sensazione di quel grande potenziale sprecato di cui parlavo poco fa è molto forte anche per uno come me che non la frequenta tutti i giorni
Nel periodo della tua Nouvelle Vague, come vedi il futuro della musica italiana?
È sempre molto difficile rispondere a questo tipo di domande perché il discorso è complesso e molto articolato. La prima cosa che balza agli occhi è che c’è un innegabile ritorno dei cantautori, probabilmente motivato dal fatto che, per motivi culturali, nel nostro paese sono sempre stati quelli che hanno avuto la delega a raccontare gli anni di crisi e le difficoltà sociali. Non so se sia giusto o no ma così è sempre stato e così è ancora a grandi linee. Naturalmente non ci sono solo i cantautori in senso stretto. C’è un bel movimento anche dalle parti dell’elettronica e mi piace molto. Di musica bella ce n’è e ce n’è tanta. Il punto centrale a mio avviso è un altro ed è questo: per ragioni disparate in Italia facciamo un’enorme fatica a creare delle vere scene, delle vere comunità culturali in grado di capirsi e proporre qualcosa di nuovo. Si tende sempre a coltivare gelosamente il proprio giardino e il risultato non è nient’altro che una guerra fra poveri dalla quale, senza saperlo, ne usciamo tutti sconfitti
Condivido pienamente questo punto di vista. Senti … tu partecipi anche ad un altro progetto, quello del pescarese Giuliano Clerico. Vuoi parlarcene?
Giuliano è un cantautore che ho conosciuto un paio di anni fa. Cercava un pianista e, dopo averlo conosciuto, siamo entrati subito in sintonia. Ha già due dischi all’attivo e il terzo è in fase di produzione. Mi diverte molto suonare le sue canzoni perché siamo prima di tutto molto amici. Nel gruppo ci sono anche Luca Marinacci al basso e Claudio Bollini alla batteria. Naturalmente, essendo il più piccolo, vengo spesso preso in giro ma se così non fosse non mi divertirei allo stesso modo. Sono ragazzi davvero speciali con i quali mi trovo davvero bene e con cui è molto divertente condividere il palco.