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La coerenza non è per i deboli: intervista a Pasquale Pezzillo (JoyCut)

joycut_inter021010Esercitare il dubbio. Imperativo categorico di un modus vivendi che non si ferma alle regole assolute, ma le scardina investendo tutto. La sfera della sensibilità e della concretezza.
I JoyCut si ascoltano, non si fermano ai programmi definiti. Si prendono del tempo, decidendo, mettendo in discussione i passi. L’uscita di un disco non è un obbligo di mercato.
LostHighways non li ha mai persi di vista. Reduci da un lungo periodo di lavoro in studio e da una serie di live tra l’Europa e il Canada, ci raccontano di un futuro imminente e dell’importanza di quella coerenza di cui fanno un valore imprescindibile. Ghost Trees Where To Disappear sta arrivando. E noi lo anticipiamo con un inedito in esclusiva streaming, TheFall. Inoltre i JoyCut lanciano tra le nostre pagine una versione alternativa di W4U e il relativo video-esperimento. (In collaborazione con Amalia Dell’Osso; foto di Serena Mastroserio; si ringrazia Katia Gianpaolo – Estragon)

Dopo il lancio di Ghost Trees (in allegato ad XL, ndr) e della campagna che lo accompagnava, è iniziata un’esperienza in Inghilterra per registrare il nuovo disco. Siete passati anche attraverso un cambio di line up. Raccontaci questo ultimo e intenso periodo dei JoyCut…
La Campagna che accompagnava l’EP ha toccato ed evidenziato aspetti molto importanti legati non solo alla trasmissione della nostra Comunicazione. Si è seminato e raccolto quanto ci aspettavamo dovesse arrivare.
Nello stesso tempo un viaggio introspettivo ci si è offerto ineffabile. Dovendo gestire un balzo emotivo molto forte. Tanto da sof-fermarci per un po’. Riflettere. Fino a ripensare tutto. Esercitare ogni dubbio. Dal tipo di suono che andavamo sviscerando alle trame inquiete della nostra personalità. L’esperienza a Londra ci ha fortificato, consolidando il nucleo fondante di una line up che si andava pian piano sinteticamente riducendo. Siamo stati davvero tanto tempo insieme. Il Tuffo metodologico e stilistico offertoci da Jason Howes ci ha necessariamente spinto a scorgere nuove formule di approccio dimensionale; sullo strumento e sulla forza evocativa della nostra poetica. Conducendoci negli abissi controversi e oscuri della nostra sensibilità musicale. Sorprendendoci, laddove pensavamo di aver già toccato il tetto delle nostre sonorità Dark. Rientrati a casa abbiamo lasciato respirare il lavoro per mesi. Con l’auspicio di valutarlo con maggiore lucidità. Emotivamente molto coinvolti avevamo perso il contatto con la vita di tutti i giorni.
Il riascolto ha rivelato un risultato che ha sconvolto le nostre attese. Disarmato tutte le ipotesi. Quando l’esperienza capovolge gli assunti assiomatici di base ci si trova di fronte ad una scoperta. Nel nostro caso Avversa ed Impegnativa. Non ci riconoscevamo. La Fotografia mostrava e descriveva un lavoro troppo imponente. Una grande produzione dal sapore internazionale. Dal peso enorme. Che non ci sentivamo di sopportare. Quasi come perdere autenticità. Parte del disco è stata conseguentemente e nuovamente rivista. Riarrangiando. Ricantando. Nel frattempo è passato un anno e mezzo. Da un lato la concentrazione e la cura sul senso del racconto musicato, dall’altro le esigenze del nostro gruppo di lavoro. Un Interregno sperequante. Il disco doveva essere ultimato. Pian piano abbiamo liberato la forma dalla struttura; ri-conoscendoci in ciò che desideravamo manifestare. Sorprendente Rivelazione di Evidenza: avevamo registrato moltissimo. 21 tracce. Motivo per il quale, oggi, sentiamo di raccoglierle tutte in un vinile. Un dono metafisico per i cultori del Concept. Lasciandole intelaiate l’una nell’altra.
Nella concisa tracklist dell’Album, invece, includeremo anche le tracce dell’EP.
Non ci interessano le logiche di questo falso-morto-pseudo-mercato-meccanismo. In un lavoro che vedrà la luce nel 2011 inseriremo anche frammenti originari della creazione. Dal 2009.
Ma ribadisco: non ci interessa più di tanto. Personalmente non mi sento legato ad alcun sistema. Non credo in Niente. Non Devo Niente. Non siamo figli di una scena, non ci sentiamo legati a nessuna struttura che non si conceda ad una profonda onestà interiore. In buona sostanza cercheremo di far emergere ciò che ci rappresenta Davvero.
Ghost Trees Where To Disappear c’è. Rispettiamo alcune legittime richieste da parte delle nostre partnership. Vedremo di accontentarle. Di trovare il giusto mezzo che soddisfi le parti. Pensiamo ad una reale ed etica distribuzione digitale, in ottemperanza solo con la nostra filosofia. Ma l’aspetto più importante resta suonare. In Italia, ultimamente, non lo abbiamo fatto con la consueta continuità. Ci ha accolti il resto d’Europa. Inghilterra. Danimarca. Repubblica Ceca. Irlanda. Spagna. Germania. Per una volta abbiamo guadagnato l’esterofilia! Addirittura il Canada. Bella Sorpresa.
Il Taccuino di un Albero Fantasma redatto sulle pagine del sito di RollingStone una lieta novella.
Proponendo live sempre e soltanto il nuovo materiale abbiamo auscultato gli idoli.
Adesso come adesso c’è fervore, c’è azione! Pronti.

Cogliamo l’occasione per ringraziarti, anche nome del Rockalvi per aver accettato l’invito e aver condiviso con noi lo spirito di un festival che ha uno scopo benefico…
Ci è arrivata l’eco di un corteggiamento che è iniziato l’anno scorso. Ci lusinga perché so che voi e Peppe Guarino scegliete chi ritenete speciale, so che vi schierate. Ci ha fatto molto piacere aver partecipato. Speriamo di aver soddisfatto le vostre grandi aspettative. Come sempre noi abbiamo dato il massimo; sostenendo una causa che ha consolidato definitivamente la nostra presenza perpetuamente imperitura. Ci auguriamo di poter essere un pilastro solido per le edizioni a venire!

Le aspettative sono state più che soddisfatte. Torniamo al nuovo disco, il concept è legato alla sfera di Ghost Trees?
Sì, in tutti tentativi di tessitura lessicale si può distinguere  un “Ghost” piuttosto che un “Trees”! Come fossimo in presenza di un particolare subset concreto: un esercizio di cut up letterario.
Restiamo in quella tematica, con tuffi di introspezione molto forti e romantici. In pieno Sturm und Drang, non posso dire Tempesta, pertanto lubricamente covi di Impeto e Assalto. Il brano che può dirsi manifesto dell’attuale corso è FakeModesty, molto oscuro e denso di rimandi. In tutta onestà siamo davvero sereni. Pur non conquistando ad un primo ascolto, questo è un disco vero, come se ne realizzavano in passato;  riserva e concede spazi anche alla pura sperimentazione; con innesti di musica concreta, suoni legati al nostro vissuto, all’anima rubata dalle città che ci hanno ospitato, meravigliato e destrutturato.

Cos’è l’Albero per i JoyCut?
Un Concetto Puro. Dall’Immenso Potere Simbolico. Casa. Infanzia. Vita. Asintoto. Ad infinitum. Magia che rende possibile oggettivare la soggettività.

State lavorando ad un Tour in fieri. Spiegaci il progetto TreesBringPeopleTogether…
Un’idea parallela alla formula standardizzatasi del concerto nei clubs.
Anti-estabilishment perché non chiediamo contratti che non siano “una stretta di mano”. Non solcheremo circuiti prescritti. Ci interessa ascoltare le vite nei racconti delle Persone. Lasciare che il Romanzo Totale non sia scritto da alcuni ma da tutti. Vorremmo concretamente condividere l’alborea radice del pianto. Smuovere il costrutto dialettico Band/Fan. Farlo in quei sistemi dove è ancora possibile osare e fallire. Provare a perderci nel fango della Sequoia. Sotto la pioggia. Insieme.
Vorremmo raccogliere inviti motivati. Programmare la nostra Odissea “PlayingAmongTheTrees”. Partire. Trovare. E toccare ogni confine sfrondato. “Riprendere” le gesta dell’avventura e costruire una Memoria.
A favore dell’ambiente. A favore delle voci sommesse. A favore di chi si schiera e lotta. A favore del sentimento. A favore dei Marginali.
Sogniamo ogni albero ideale come centro di una spirale. Suonarci accanto. Suonarci dentro. Suonarci capovolti nel suo Inventato. Fra le palpebre delle persone. Intensamente vicini.Tra storie, messaggi, manifesti di identità, fotografie ed opere di ogni ingegno, lettere e maglioni di lana, fiori e coriandoli di neve. Tutto intrecciato nei rami.
Dateci degli Alberi. Vostri. Solo Vostri.
I nostri contatti live ufficiali e credibili sono sulla nostra pagina in trepida attesa per le vostre richieste.

Tra i nuovi brani, TheFall è un’anteprima in esclusiva streaming per LostHighways. Raccontacelo nella sua gestazione e nel suo “posto” in tracklist…
Le installazioni dinamiche e le opere di personalità multipla di Gustav Metzger, con i suoi Flailing Trees, ed Anthony Goicolea hanno fortemente suggestionato la ricerca mai compiutamente risolta del dilemma che ci portiamo dentro dalla gestazione dei JoyCut. L’ermetismo del testo e la struttura continuativa di TheFall sono fortemente legati allo spavento suggerito da queste condizioni affettive dell’attività umana.
Interpretando dal suono del testo: “Voglio diventare Me/ Non voglio più essere Me Stesso“.
La versione vinilica conserva i due aspetti del nucleo creativo della canzone.
Semanticamente legata ad Apple. La precede nella TrackList dell’Album.
Il volto legnoso del basso finale anticipa la concettualità di Japanese Winter.

joycut_inter011010W4U è un brano incluso in Ghost Trees. Per i nostri lettori ne riservate una versione inedita e un video…
La presente rivisitazione inedita consta di un arrangiamento dissimile dalla versione elettronica presente nell’Album. Questa è scomodante, acerba, cruda e spoglia. Come quando da bambini si sale sull’albero. Ci vogliono parecchie ri-salite per abituarsi al suono vivo della corteccia e al sapore delle ferite sulle ginocchia e sui gomiti. Solo col tempo riusciremo a vederle “veramente”: come tagli di gioia.
Il Video correlato è un puro esperimento di filmsharing. Precedenti versioni, più questa inedita, vogliono manifestarsi come punti di osservazione relativa. Partendo dal medesimo girato, abbiamo chiesto di realizzare regie diverse.
Immersi nel paradosso della mimesi naturata, siamo rigidi e dominati dalla forza selvaggia del movimento silvestre. Solo alla fine si percepirà che siamo su un albero secolare all’interno di un nido. Una ri-nascita dall’elemento. Foglie appartenenti allo stesso ramo procedono per parabole discendenti. Accompagnate dal vento. Soggiacciono sullo stesso selciato. Attendendo e Sognando di Annientarsi nell’Abbandono.

La scelta dell’inglese è legata ad un genere o alla sua natura di suono in cui tu, in modo ancestrale, ti riconosci?
Hai già risposto! Prima di tutto c’è un passato di spontanei ed involontari ascolti in questa direzione. Abbiamo sempre abitato quel “genere”; tanto da assurgere ad un’idea platonica dello stile. Associata a determinanti caratteristiche. Penso ai Joy Division. Ma non solo. Nel nostro retaggio c’è anche la sfera del cantautorato e delle sue vette: penso alla bellezza de La domenica delle salme di De Andrè o Saturday Sun di Nick Drake.
Il disappunto non è mai stato, tantomeno lo sarà nel futuro, di questione linguistica; abbiamo scritto tanto nel corso delle nostre storie, anche in lingua madre. Ma ci è sempre venuto a mancare qualcosa.
Finché abbiamo capito che certi suoni, linguaggi confusi, radici romanze, certi sintagmi tipici del flatus vocis Sigur Rós, potevano aiutarci meglio a far galleggiare le inesprimibili emozioni.
Ogni parola è legata ad un significato storico e culturale. Difficile sradicarne il pregiudizio di forma mentis sostanziale. E chi scrive è sovente autoreferenziale.
Così è iniziato un lavoro vocale sul suono. Puntando fortemente sull’espressività. A mio modo di vedere è relativamente determinante ciò che si vuole comunicare.
Alcuni artisti sono convinti di poter abbattere strutture e confini creando del nuovo. In realtà siamo davvero tutti in catene. Qualcuno vorrà sentire comunque il profumo di ghirlande di fiori? Benvenuti nell’Inganno Cordiale: la griglia Soggetto-Predicato-Oggetto. Non saremo mai davvero quello che siamo. Basterebbe anche solo urlare, stare in silenzio, guardarsi negli occhi. Ma non possiamo farlo a partire da due.
La lingua non è liberazione. E’ paura. Debolezza. Schiavitù. Uscirne è difficilmente possibile. L’Inglese non esiste, il suono, non la fonetica, ci aiuta a librare più leggeri.

Possiamo dire che in Italia siamo abituati ad una percezione della sperimentazione strumentale e non vocale? L’italiano vuole da un italiano solo il bel canto nella lingua madre!
Sì. Per ora è ancora così. Il Festival della canzone italiana? Ovvero del mercato locale in crisi?
Si dovrebbe parlare di cultura europea, seppur ancora riduttivo e tristemente definitorio.
Il mito frantumato della tecnica o del bel canto è solo un’abitudine, il frutto di un meccanismo di associazionismo storiografico tutto nostro.

I JoyCut hanno un’identità di scrittura, di composizione, d’emotività. Le matrici come le spieghiamo a quelli che hanno un approccio superficiale alla vostra musica?
Ovviamente va detto che un approccio superficiale è frutto di vulnerabilità caratteriale. Chi ha pregiudizi è spaventato dalla fragilità del proprio ego. E questo tipo di avvicinamento [?] che non è certo curiositas attiva, per fortuna non è quasi mai degli appassionati autentici, ma di quegli addetti ai lavori ai quali non sentiamo di dover spiegare niente.
Noi difendiamo semplicemente la famiglia cui apparteniamo. Che i nostri referenti radicati siano i Cure, i Joy Division non è soltanto noto, è soprattutto vero! Soprattutto per i meno attenti.
Caratura e cifra filologica dovrebbero necessariamente permettere di investigare tutto il resto. Di riconoscere nei JoyCut un universo indeterminabile. Ma non lo prescrive nessun Architetto. Ben venga pertanto che, ingenuamente, ci associno solo a quella scena; perché ne siamo comunque parte integrata. Ci sentiamo fortemente abitati da quel mondo e continuiamo a toccarlo (non compierlo) partecipandovi con la musica che facciamo.
In Italia domina questa virulenta necessità del trovare il “riferimento” di un progetto, di associarlo per forza a qualcosa che conosciamo, per approssimazione, rendendolo così più decifrabile, più vicino, meno “estraneo” al fantasma dell’appartenenza; perché siamo un popolo perduto, abbiamo bisogno di Itaca, di un ritorno a casa. Chissà se per sfoggio di una cultura di comprensione antropologica.
Alla fine del giorno resta il residuo positivo dell’originalità e del linguaggio. Purtroppo solo questo. Ogni vita appare unitamente irripetibile. E chi racconta lo fa secondo la propria unicità compromessa. Noi sviluppiamo il nostro suono originario e basta.

In Italia non siamo liberi, ma condizionati… a tutti i livelli rispetto alla musica…
Penso e cito spesso il caso degli Athlete. Un ultimo disco stroncato. Di certo non all’altezza dei precedenti. Avendo abituato il pubblico ad una continua scoperta delle loro annunciate potenzialità. Ma i concerti sono comunque devastanti. Seguitissimi dalla gente. Perché c’è Curiosità, Affetto, Fiducia. Riconoscenza. Al di là di un giudizio del momento, della critica, al di là di un singolo disco.
Qui scegliamo ancora soltanto fra ciò che c’è, fra ciò che quei pochi fanno arrivare a molti. Siamo ancora deficitariamente legati ai piani promozionali, alle etichette, ai video, ai circoli virtuosi di un paradigma dimenticato, mai davvero consolidatosi. Scegliamo tra ciò che viene portato alla luce. Bisogna andare in TV per essere visti. Ed il problema etico non è farlo o andarci; il dilemma cruciale è doverlo fare per forza.
Pare che non vi siano alternative. Ma le alternative non ci sono per chi non vuole trovarne. Quanto è triste osservarli tutti cadere. Anche gli insospettabili compagni di viaggio. Servi di un sistema di produzione “industriale”. Ma c’è molto altro che rimane nascosto ed integro. La Coerenza non è per i Deboli. Nel nostro mondo ideale si butta via l’orologio per affrancarsi dalla volontà. Salvaguarderemo l’essenza del progetto, senza mai alterarla, sviluppandola rallentata, a dispetto di una controversa velocità malsana.
L’invito è scoprire, cercare, vedere. Autonomamente. Fidarsi di se stessi e non di ciò che gli altri ci offrono di gustare.

Infatti finiamo col consumare la musica, non la viviamo…
Vedete? Il problema del tempo è cruciale. Anche, semplicemente, per un ascolto profondo.
E le dinamiche che accompagnano la costruzione di un progetto sono torbidamente immerse in una velocità assurda. Fai un disco e lo consumi in un attimo. Qualche recensione. Cicli variabili di appetito. Si divora tutto presto, dopo di che c’è bisogno di sangue nuovo.
Mi vengono in mente due facce dell’amore: l’amore che si consuma e l’amore che si alimenta. Il primo senza dubbio più eleggibile dal consenso comune: affascinato, misterioso, passionale, voluttuoso e utilitaristico. Preferisco concedere la vita all’amore naturato. Che debba alimentarsi, consolidarsi, toccando il fondo per risalire.
Ascoltarla, ogni mus[ic]a, dovrebbe invasarci seriamente, accompagnarci nel più denso e profondo sentimento.

E’ anche per questo che nella musica che fate convogliano messaggi precisi, come quello legato all’ecologia. Un messaggio che è azione. Voi siete schierati, proponendo una scelta netta. Questo è alimentare amore. Ne parliamo in una zona vicinissima a quella di Chiaiano che, come altre zone campane, vive il dramma di una discarica a cielo aperto, emblema di scelte d’urgenza e non di campagne preventive e di rispetto per l’ambiente…
Noi abbiamo sempre cercato di lottare in difesa dell’ambiente.
Garden Grey, una delle tracce dell’Album è Manifesto Senziente di questa attitudine.
Mi fai pensare ad un fotogramma del nostro fumetto: Mr.Man è proprio sopra una discarica. Ci sono chitarre, delle tastiere che fanno capolino retorico dai rifiuti. Quella era una denuncia nata da una posizione reale che sosteniamo nella vita di tutti i giorni. Bisogna schierarsi. Siamo schierati. Non amiamo l’Epoché. Nessuna sospensione del giudizio se non è risolutiva. Certo c’è sempre una fase analitica prima di qualsivoglia comprensione ma poi diviene fondamentale scegliere, soprattutto se ne si ha la facoltà e la necessità.
Molti insegnanti educano ed invitano i propri allievi alla raccolta differenziata, mettendo in atto un vero e proprio circuito sensibile. Senza alcun fondo dell’istituto. Senza nessuna norma istituzionale. Infatti nessuna legge può dominare la nostra ragione. Nessuno deve continuamente dirci cosa fare. Alcuni dovrebbero essere comportamenti degni della virtù di ogni cittadino.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo… il farlo davvero.
JoyCut non si veste di un messaggio. Non dobbiamo debitamente il peso di questa responsabilità. Tanto da doverci sforzare per esercitarla coerentemente. Noi mettiamo in atto. Non siamo nati ecologisti, abbiamo compiuto un percorso, ci siamo arrivati scegliendolo. Il nostro è un invito esemplificativo: si può avere un comportamento sano nel rispetto dell’ambiente, è un bene per noi stessi e per gli altri.
Pensiamo alla Germania. La auto-distruzione dell’Idealismo li ha resi capaci di permettersi il rispetto dell’ambiente come criterio con cui è concepita la vita dell’intera comunità.
Il nostro paese è indietro perché non c’è nessun interesse culturale. Innaturalmente neoliberisti non coltiviamo il seme del benessere se non in una visione volta all’acuizione del profitto. Una conversione virtuosa dei rifiuti costa troppo in termini economici, di redistribuzione delle ricchezze. Ancora una volta si pensa soltanto al beneficio vantaggioso di “quei pochi su molti”.

Passiamo alla forma con cui viene veicolato il messaggio. Hai uno stile di scrittura molto evocativo, procedi per immagini. Hai un tuo codice, non facilmente fruibile. Quali sono i referenti che influenzano le connessioni tra le tue parole?
E’ facilissimo risponderti, senza scomodare i rami secolari nascosti nelle influenze della mia estrazione intellettuale. Ungaretti.
Al liceo non ho mai studiato ciò che mi chiedevano di studiare. Sempre stato il peggiore. Mai acquistato i testi didattici. Respinto. Un giorno, a casa da scuola, ho incontrato il libro nella biblioteca di mio padre. Ho cominciato. Mai smesso. Vedevo poesie brevi. Contemporaneamente sperimentavo anche altre letture sedimentose come l’Ulisse di Joyce. Però è stato proprio Ungaretti a smuovermi. Emozioni mai sentite prima. Le sue parole mi massacravano. Ancora oggi lo fanno. E sempre più ferocemente. Nonostante sia interessato poligamicamente al resto non riesco a tradire quella folgorazione.

joycut_inter031010Ermetismo. Ciò che è  paradossalmente più aperto nella scrittura…
Esatto. Per me è così. L’essere si vela per rivelarsi, no? Coprendoci ci proteggiamo dalla bassa temperatura e nello stesso tempo riconosciamo di aver freddo. Ci si chiude per svelare una parte vulnerabile. La riservatezza comunica molto di più. Una persona che mette autonomamente in piazza se stessa distoglie l’attenzione dal sé profondo. Perché non lo conosce.
Quindi sì, sono d’accordo; è giusto interpretare un codice sintetico come una grande apertura. Nella chiusura semini sempre una chiave di comprensione per qualcuno che si accinge a voler aprire uno scrigno.

Le porte chiuse a chiave vogliono essere spalancate…
Meraviglioso. E’ vero. E’ assolutamente così. L’essenziale è sovrabbondare di quello che si è, senza definirsi, vivendo il tempo che abbiamo.

Credits Video >
Girato, Riprese, Ambientazioni, Realizzazione e Produzione di > SciroccoCinematografica.
Montaggio ed Edificazione del Plot Soggettivo a cura di > Marcello Di Noto, Antonio Canestri, Giuseppe Volonnino.

JoyCut – Preview

W4U – Video

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