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La voce del padrone – Franco Battiato

His master’s voice è un dipinto di Francis Barraud, che raffigura un cane intento ad ascoltare il suono prodotto da un grammofono. Si tratta del cane del defunto fratello del pittore, che ascolta devoto ed inebetito la voce registrata del compianto padrone. Fin qui nulla di speciale, ma se si aggiunge che questa raffigurazione fu comprata dalla casa discografica Gramophone (confluita poi nella EMI), che ne fece il proprio marchio pubblicitario, e che sotto contratto con la stessa casa Battiato pubblica nel 1981 La voce del padrone, l’equazione è presto risolta. Lo spirito dissacrante dell’autore siciliano emerge da subito.
L’opera è pregna di immagini, istantanee come polaroid scattate lungo un viaggio. Ogni canzone ha delle proprie precise visioni, a partire dalle sensazioni estive di Summer on a solitary beach, con quel desiderio di evasione che ci introduce all’album, cullati dal rumore morbido delle onde del mare. Battiato ci guida attraverso atmosfere molto diverse, dipinge per  noi scenari provenienti da ambienti lontani. Racconta colori d’Oriente e mondi che non ci appartengono, ma di cui ci vuole partecipi. “Per le strade di Pechino erano giorni di maggio /  tra noi si scherzava a raccogliere ortiche”. Il suo sguardo artistico coinvolge tutte le cose: il volo degli uccelli nel cielo, per esempio, assume connotazioni quasi magiche, svela una tensione all’infinito, l’invidia dell’uomo incollato alla terra che osserva: “cambiano le prospettive al mondo / voli imprevedibili ed ascese velocissime / traiettorie impercettibili / codici di geometria esistenziale” (Gli Uccelli).  Bastano poche note di pianoforte e una distesa d’archi, e sembra davvero di seguire le acrobazie di queste creature. Nulla è solo quel che sembra, nemmeno l’amore ed il sesso sono soltanto ciò che fisicamente sembrano: “La passione nella gola / l’eros che si fa parola. La tua voce come il coro delle sirene di Ulisse m’incatena / ed è bellissimo perdersi in quest’incantesimo” (Sentimiento Nuevo). Usando sue stesse parole, si può dire che la voce del padrone che esce dal grammofono ci regala racconti di vita, Segnali di vita. Attenzione particolare merita la parola: lo sguardo lungimirante e disincantato, la critica precisa e diretta rendono l’artista maestro di uno stile inconfondibile, che hanno poi in parte seguito anche artisti come Morgan e Bianconi (Baustelle). Giochi di citazioni più o meno colte, appigli a culture vicine e lontane, a mondi diversi rendono la sua scrittura un rebus a volte difficile da districare, leggibile su diversi livelli. Senza timore alcuno, nei testi si mescolano riferimenti sacri e profani, in diversi ambiti: in musica ad esempio si va dai Beatles di With a little help from my friends alle Mille bolle blu di Mina; si scivola dai concetti di infinito, cosmo e tempo, fino al sesso, senza farsi mancare le critiche per qualche collega colpevole di aver svenduto il proprio talento per cercare la gloria con canzoni fin troppo facili: “Siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro” (Bandiera bianca). Con questo lavoro, Battiato raggiunge un traguardo mai ottenuto prima, né da lui né da altri: è il primo long playing italiano a superare il milione di copie vendute e resterà in classifica per moltissimo tempo; milioni di persone ascoltano le sue canzoni e cantano i suoi ritornelli, pur senza necessariamente capirne il senso. Il successo è inevitabile e va di pari passo con le critiche, ma rimane comunque un fattore quasi collaterale. Ciò che rimane è un’opera magistrale, che brilla per la cura negli arrangiamenti ma anche per l’intelligenza e l’arguzia dei testi; 31 minuti di aperture melodiche divertenti e ritornelli ipnotici. In questo album le contaminazioni non mancano: sulle melodie semplici si inseriscono le strumentazioni elettroniche e le tastiere che Battiato tanto ama, accostati ad archi e strumenti classici. Centro di gravità permanente prende il ritmo da note di sassofono ormai indimenticabili e marcia trionfante grazie al coro di madrigali che ne canta il ritornello, lo stesso coro che incupisce anche Cuccurucucu, riprendendone l’ultima strofa. Giocando con la voce e attingendo alla strumentazione classica, a quella basica del rock, all’elettronica, l’artista ci dimostra che allontanarsi dalle taglienti sperimentazioni di Fetus, dalle ricerche sonore di Clic, non significa inseguire la facile fama, né adagiarsi su un unico stile.
Conferma di un talento poliedrico, di un’instancabile innovazione, La voce del padrone è un disco Pop, nell’accezione più bella del termine: arte che conquista le persone, che diventa parte della cultura comune, patrimonio personale di ognuno e allo stesso tempo condiviso da tutti. Allo stesso modo Franco Battiato, nonostante abbia dato contributo fondamentale al prog e alla musica elettronica, è a pieno titolo un artista Pop, nello stesso meraviglioso modo in cui Andy Warhol lo è stato: un precursore, visionario, eclettico, geniale, che con le sue opere raggiunge tutti. Destinato ad essere non solo un artista eccezionale, ma un vero e proprio fenomeno di costume.

Credits

Label: EMI – 1981

Line-up: Franco Battiato (testi, musiche, voce, arrangiamenti) – Giusto Pio (arrangiamenti, direzione d’orchestra) – Alfredo Golino (batteria) – Paolo Donnarumma (basso elettrico) – Phil Destrieri (tastiere) – Alberto Radius (chitarra) – Claudio Pascoli (sassofono) – Donato Scolese (vibrafono) – Coro dei madrigalisti di Milano

Tracklist:

  1. Summer on a solitary beach
  2. Bandiera bianca
  3. Gli uccelli
  4. Cuccurucucu
  5. Segnali di vita
  6. Centro di gravità permanente
  7. Sentimiento nuevo

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Un solo commento

  1. complimenti… la recensione scorre con le note e le immagini del disco. stupenda

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