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Sperimentare una nuova Area

Erano anni difficili in Italia, gli anni 70. C’era insoddisfazione, il boom economico dei 60 aveva creato nuovi ricchi e tanti nuovi poveri; c’era la presa di coscienza della classe studentesca e operaia che sarebbe sfociata negli scontri di piazza, c’era la voglia di fare di una generazione che non aveva ancora capito di aver perso in partenza contro se stessa. E c’erano incubi nuovi per le strade, i primi fuochi terroristi, preludio agli anni di piombo, c’era qualcosa che strisciava nelle vene di qualcuno e che si chiamava eroina, c’erano incomprensioni fra padri e figli, madri e figlie, fra realisti e sognatori. C’era movimento. Un movimento violento e, come ogni cosa genuina e violenta, quel movimento diede i suoi frutti in campo artistico. Pittori, attori, artisti, cantautori e gruppi rock sbucavano come funghi dopo la pioggia di Agosto. Alcuni sarebbero scomparsi nel breve volgere di una stagione, altri sarebbero rimasti nei cuori dei ragazzi di allora e sarebbero stati traghettati come idoli nel duemila da quegli stessi ragazzi, una volta diventati uomini. Le voci della coscienza del ‘68, ha detto qualcuno, per quel che vuol dire.

Eppure c’era, al tempo, un gruppo che ora non c’è più e che, a tutt’oggi, resta il miglior esempio di come l’anima del musicista rock sia un’anima in viaggio, alla ricerca di continui orizzonti e quindi soggetta a continui mutamenti. Un gruppo in cui militavano strumentisti eccezionali, volti al suono “altro”, e un cantante che cambiò radicalmente il senso della parola “cantare”: insieme diedero vita a una delle stagioni più prolifiche e vitali della nostra musica. Un gruppo il cui nome è ancora una granitica presenza nel nostro panorama musicale. Un mostro musicale di indomita potenza, di raffinata e spesso troppo avanguardistica ricerca. Loro, per chi non l’avesse ancora capito, erano gli Area.
Gli Area sono stati forse una realtà talmente a sè stante nel nostro panorama musicale che definirli un gruppo di rock progressivo è riduttivo se non offensivo. Di sicuro sono stati il gruppo che più di ogni altro ha cambiato il senso della ricerca musicale e ha aperto strade nuove a coloro che battevano sempre la stessa via.
Fariselli, Djivas prima e Tavolazzi poi, Tofani e Capiozzo erano dei ricercatori e dei musicisti eccelsi e la voce e la voglia di sperimentare di Demetrio Stratos resero gli Area sempre inafferrabili, sempre difficili al grande pubblico, sempre un passo avanti agli altri.
Dal rock di matrice classica al jazz, gli Area hanno scoperto e mischiato orizzonti che poi sarebbero stati suonati da realtà quali PFM, Balletto di Bronzo, Banco del Mutuo Soccorso.
Dal loro primo lavoro, quel monumentale Arbeit Macht Frei che stravolse il pubblico italiano sin dal titolo, al loro ultimo e postumo disco, Event 76, non una volta si è caduto nel già sentito. Si è spaziato dal jazz, al rock progressivo toccando punte di elettronica, il tutto miscelato, se si cerca bene, con una dose di stile tipicamente italiano nella forma cantautorale, ma sempre con la voglia di sperimentare.
Ed è per questa ragione che la musica degli Area non è né facilmente inquadrabile né facilmente assimilabile.
Il loro primo album risulta di impatto granitico e, a volte, ha delle derive verso il free-jazz che lasciano esterefatti e che ne sottolineano la preparazione tecnica dei musicisti. Un disco difficilissimo ma germinale, in cui la loro vena polemica risulta chiara già dal titolo di quel Luglio, Agosto e Settembre (nero) che divenne, insieme forse a Gioia E Rivoluzione, la vera colonna sonora di un certo ambiente negli anni 70.
Gli Area, dopo Arbeit Macht Frei, non si fermano e sfornano un disco, se possibile ancora migliore del primo, Caution Radiation Area. Più difficile, anche questo risulta indecifrabile a suo modo, anche questo necessario di attenzione e preparazione. E’ qui che il gruppo inizia a sperimentare davvero tutta la potenzialità, è qui che Stratos capisce cosa gli ha donato madre natura. La sua voce si arrampica, si alza, si abbassa, stride, gorgheggia, graffia, tutto finalizzato ad un canto come parte strumentistica integrante dell’intera struttura del brano. Crac! è solo un gradino più in basso di Caution Radiation Area ma non per questo meno coinvolgente. Seppur meno riflessivi e ricercati, i suoni sono allucinati e diretti e il disco presenta quella La Mela Di Odessa che diventerà uno dei brani più rappresentativi degli Area.
Sono gli anni dell’impegno sociale che spingerà Stratos a dichiarare che il loro è uno stile di musica prettamente “internazionalista”, con chiari riferimenti allo schieramento di sinistra; sono gli anni dei massacranti concerti in giro per la penisola di cui ne rimarrà traccia nello stupendo disco live Are(a)zione, sono gli anni della defezione di Djivas che entrerà nella PFM.Intanto, fra concerti e impegno sociale, ecco uscire Maledetti che farà parlare più per i titoli e per le collaborazioni esterne che per le atmosfere angoscianti e difficili. Con Gli Dei Se Ne Vanno, Gli Arrabbiati Restano inizia una fase forse calante degli Area (non per questo stilisticamente non valida).
E all’improvviso tutto finisce.
E’ inutile raccontare come, sarebbe scendere ancora una volta nell’agiografia e non mi sembra il caso, si sappia solo che tutto finì bruscamente e in modo triste e drammatico.
Forse si chiuse un periodo, una stagione di gioia e rivoluzione che non avrà pari in Italia.
Con Stratos e lo scioglimento degli Area si è chiusa quella finestra su orizzonti sconosciuti ma invitanti che avrebbero avuto ancora tanto da mostrare. Forse quegli orizzonti sono ancora dietro la finestra che aspettano di essere cantati, ma dov’è ora il Maestro della Voce? Forse ci starà facendo le boccacce dall’alto di qualche nuvola.

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2 commenti

  1. Toccante e sentitissimo report. Complimenti ad Cristiano che è riuscito a far vibrare nella mia mente nuovamente quelle magiche corde che solo Stratos possedeva.

    Band come questa non vanno dimenticate, anzi, vanno omaggiate, continuamente.
    Così come tutt’ora continua a fare la PFM, con la loro Maestro della voce dedicata a Stratos, che viene sempre suonata in ogni live. I Quintorigo hanno anche suonato insieme al Christian Capiozzo (figlio di Giulio) alla batteria in Luglio, Agosto e Settembre (nero).
    Tra tutti i “suonatori di voce” il più autorevole è John De Leo, che come nessuno sembra essere il moderno successore di Stratos.

    Una storia finita, che rivive in altri corpi, non lasciandoci mai. Per nostra fortuna.

    “Se pensi che il mondo sia piatto allora sei arrivata alla fine del mondo. Se credi che il mondo sia tondo allora sali, e incomincia il giro tondo!”

  2. fratello io ho un loro lp…
    grande d’anna
    tu sei un grande ohè…gente…fai la diffrenza!

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