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Fleet Foxes – Fleet Foxes

Dalle parti della gloriosa ed ancor prolifica Sub Pop questo mese si presenta ai nostri occhi ed alle nostre orecchie un miraggio accecante, una gemma dai contorni talmente completi e complessi, luminosi ed epici che fatichiamo persino a parlarvene con senso critico e con quel minimo di distacco necessario che si dovrebbe avere quando ci si propone di recensire un disco. Perché questo omonimo d’esordio dei Fleet Foxes, eclettica e preparatissima formazione neo-folk di Seattle, è un capolavoro. Inutile girarci intorno. Amano definire la loro proposta come un pop barocco fortemente influenzato dalle atmosfere dei fantasy movies, il risultato sorprende dopo i giusti ascolti, oltre che per la grande ispirazione del lavoro di composizione ed arrangiamento, anche per la spiccata capacità di questi undici brani di catturare l’ascoltatore e portarlo in itinerari di grande fascino, collocati da qualche parte in un’epoca lontana. Undici brani che s’appropriano di fonti disparate, dal pop anni ’60 di ispirazione west coast (i freschissimi echi Beach Boys di Ragged Wood, la ballad a ritmo sostenuto di Quiet Houses che evolve in un’austera danza medievale dal retrogusto psichedelico, o l’inno dagli echi gospel di White Winter Hymnal che ricorda l’ultimo Panda Bear) al folk pastorale (l’apertura di Sun It Rises che introduce agli affascinanti esercizi corali e barocchi di Robert Pecknold, gli arpeggi di chitarra di Blue Ridge Mountains) e a quello intimista (la bellissima Tiger Mountain Peasant Song, dove il canto di Pecknold si fa vibrante e intenso, commuovente e teso come le corde di un liuto). La tenue ballad sognante Meadowlark è una ninna nanna (con tanto di cori polifonici finali) che si estende solenne e posata come un’aurora sulle prime luci del mattino di un antico villaggio. He Doesn’t Know Why si avvale di crescendo corali maestosi, solo per rendere più barocca una fragile melodia celtica. La voce di Robert Pecknold è la grande scommessa vinta del disco, atmosferica, intensa ed al contempo sinuosa a filare le non immediatissime trame di un lavoro di quasi quaranta minuti di durata che si dimostra sempre più affascinante ascolto dopo ascolto. Non rinunciano allo sfarzesco i Fleet Foxes, a costo di sembrare ridondanti, ma il loro barocco conserva in ogni istante una freschezza non comune (così è nell’accorato canto classicheggiante di Heard Them Stirring), ed il segreto non può che essere merito di una grande ispirazione melodica e di un esaltante sostegno ritmico. La chiusura acustica quasi cantautorale di Oliver James si confronta con misurati interventi a cappella che fanno da cornice ad un lavoro che definire ben fatto è davvero poco, perché sa essere elegante, paziente, dagli umori variegati e insoliti. Come un dipinto di cui via via, sguardo dopo sguardo, ci si innamora dei dettagli. E noi non possiamo non collocare quest’opera tra le migliori uscite del 2008.

Credits

Label: Sub Pop – 2008

Line-up: Robert Pecknold (chitarra, voce) – Skyler Skjelset (chitarra) – Bryn Lumsden (basso) – Nicholas Peterson (batteria) – Casey Wescott (tastiere)

Tracklist:

  1. Sun It Rises
  2. White Winter Hymnal
  3. Ragged Wood
  4. Tiger Mountain Peasant Song
  5. Quiet Houses
  6. He Doesn’t Know Why
  7. Heard Them Stirring
  8. Your Protector
  9. Meadowlarks
  10. Blue Ridge Mountains
  11. Oliver James

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