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Quando la passione anima un sogno: storia della Vox Pop

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 la musica sembrava dover provenire solo ed esclusivamente da Seattle e dintorni. Erano gli anni in cui nascevano gruppi come i Nirvana, i Pearl Jam, i Soundgarden o gli Alice In Chins. Erano gli anni di suoni duri, cattivi, della rabbia tradotta in note, delle chitarre sporche. E in Italia? Noi non stavamo certo a guardare! Partendo soprattutto da Milano, Torino e dintorni, nasceva, cresceva e prendeva forma una scena musicale che per il momento era ancora sotterranea, nascosta.

Muovevano i loro primi passi gruppi come Mau Mau, Afterhours, Casino Royale, Prozac +, Ritmo Tribale, Africa Unite, Persiana Jones, (P)itch, tutti artisti destinati, in un modo o nell’altro, a scrivere un pezzo di storia della musica italiana. E se guardiamo bene la discografia di questi musicisti , notiamo che dietro gli esordi di tutti c’è un nome: Vox Pop. Ma cos’è la Vox Pop? La Vox Pop è una casa discografica milanese, fondata nel 1989 dal cantante degli Afterhours Manuel Agnelli, da Giacomo Spazio e da Carlo Albertoli, anche se le prime produzioni risalgono al 1988. La musica che esce sotto il marchio Vox Pop è varia, con gruppi che toccano un po’ tutti i generi: si passa dal rock degli Afterhours o dei Ritmo Tribale all’hip-hop dei Sottotono. Il capitale iniziale è di 6.000.000 di lire e i mezzi pochi. Carlo Albertoli ci descrive così la sede della casa discografica: “Un negozio, scatoloni, un pc, due scrivanie, due telefoni.” Perché è nata la Vox Pop? Ce l’hanno spiegato proprio gli stessi Agnelli e Albertoli nel dvd pubblicato lo scorso anno dalla EMI, Non Usate Precauzioni Fatevi Infettare. Volevano dare spazio a quei gruppi italiani che secondo loro erano validi, ma che nessuno sembrava notare e così hanno deciso di unire i loro (scarsi) capitali e mezzi per cercare di fare qualcosa. L’idea era quella di impegnarsi per chi voleva fare della musica un mestiere: Manuel e Carlo non volevano perdere tempo e, soprattutto, denaro con chi non si sarebbe impegnato seriamente. Da questa esperienza hanno imparato ad “ascoltare la musica senza barriere culturali, attitudinali e di gusto” e che “c’è qualità anche nelle cose che non ti piacciono” (Manuel Agnelli). Era un bel sogno. Era “un luogo dove si ritrovavano persone che avevano le stesse idee, lo stesso modo di vedere le cose e si scambiavano le idee” (Manuel Agnelli). La Vox Pop era nata e viveva su un’idea un po’ romantica e, nel suo piccolo, è anche riuscita a fare grandi cose. Come scrive lo stesso Albertoli nella vecchia pagina web dell’etichetta: “La microscopica casa discografica indipendente (staff: 2 persone) nel corso di pochi intensi anni ha scoperto e/o lanciato numerosissimi artisti”.
Come tutti i bei sogni, purtroppo, anche l’avventura della Vox Pop era destinata a durare poco: la mancanza di fondi, unita a problemi di natura personale, causano la fine di questa bella storia. Nel dicembre del 1996 Carlo Albertoli, dopo alcune trattative prive di risultato con la BMG, trova un accordo per la vendita alla Flying Records, ma con il fallimento di quest’ultima l’accordo sfuma e la Vox Pop cessa ufficialmente la sua attività. Carlo Albertoli ci spiega così la fine: “Ha chiuso perché fare dischi costa, e non ce lo possiamo più permettere: costa denaro (anche se non spendiamo molto: la Polygram ha speso per i Soon l’equivalente di un anno e mezzo di fatturato VoxPop!); costa fatica (sui giornali ci paragonano ad una major ma qui siamo sempre stati in due a fare tutto il lavoro); costa frustrazioni (sviluppi un progetto ma solo fino ad un certo punto perché finiscono subito i soldi…e i gruppi si incazzano). Costa soprattutto se si pensa che Vox Pop ha fatto la scelta di lavorare solo ed esclusivamente con la discografia, senza mettere in piedi distribuzioni, senza agenzie per concerti, senza intrallazzi e senza capitali strani o l’Arci alle spalle. Questo perché per noi era fondamentale concentrarci su una scena vitale ma ignorata. Ebbene, tutto questo non è bastato a fare in modo che una major decidesse di rischiare lo 0,8 per cento del proprio fatturato per finanziare la visione e la professionalità di VoxPop. La BMG ci ha preso per il culo per un anno e mezzo. La EMI ci ha riso in faccia, andando poi a spendere circa 1.000.000.000 (sì proprio 1 Miliardo) sui Cattivi Pensieri… Gli altri? Boh! Il fatto è che non avremmo mai firmato con loro un accordo che non garantisse a noi e agli artisti la massima libertà. E allora chiudiamo. Chiudiamo perché non ha senso andare avanti e chiudiamo perché siamo stanchi.” Era il 25/02/1997 e la Vox Pop chiudeva i battenti. Si spegneva così una voce importante nel panorama musicale indipendente, ma che comunque era destinata a lasciare un segno. Sempre sul vecchio sito della casa discografica, Albertoli scriveva così: “Vox Pop muore, ma il suo spirito è vivo e lotta insieme a noi.” E che questo spirito sia vivo lo dimostrano le produzioni di Manuel Agnelli: gli Afterhours oggi possono essere tranquillamente considerati uno dei migliori gruppi rock in Italia e stanno sdoganando la musica indipendente del bel paese con tour in giro per l’Europa e l’America e, tra l’altro, l’attività di produttore di Agnelli ci ha permesso di scovare vere e proprie perle come Marco Parente e Cristina Donà. Gli Afterhours non sono gli unici rimasti della Vox Pop: i (P)itch continuano la loro carriera producendo album splendidi come l’ultimo A Violent Dinner, i Ritmo Tribale stanno tornando alla ribalta dopo aver comunque scritto un bel pezzo di storia degli anni ’90, gli Africa Unite sono uno dei punti cardine della scena torinese, anche grazie alle produzioni e alle collaborazioni di Madasky (N.A.M.B., SteelA). Non vogliamo arrivare a dire che tutto questo non sarebbe stato possibile senza la Vox Pop, ma questa piccola casa discografica ha fatto sicuramente la sua parte. La cosa certa è che da questa storia possiamo imparare che i sogni possono anche finire, ma se sono animati da una vera PASSIONE rimane sempre qualcosa. I sogni non muoiono mai completamente.

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Un solo commento

  1. …porcaeva!
    i bei sogni sono quelli che durano sempre meno.
    E, in verità, a pensarci bene, sono quelli che lasciano di più l’amaro in bocca.

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