Lost Highways » Videoclip http://www.losthighways.it Seek your mood, Find your lost highways! Fri, 29 Mar 2024 12:50:39 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.2.37 Atomic Living in Dread and Promise: il documentario musicato dai Mogwai http://www.losthighways.it/2016/03/31/atomic-living-in-dread-and-promise-il-documentario-musicato-dai-mogwai/ http://www.losthighways.it/2016/03/31/atomic-living-in-dread-and-promise-il-documentario-musicato-dai-mogwai/#comments Thu, 31 Mar 2016 14:49:03 +0000 http://www.losthighways.it/?p=35390 Atomic Living in Dread and Promise

Il problema oggi non è l’energia nucleare, ma il cuore dell’uomo” – Albert Einstein. Il terrore islamico ha fatto dimenticare questa minaccia del passato: il terrore della bomba atomica e di una guerra nucleare. Il documentario di Mark Cousins, prodotto dalla BBC, riesce a percorrere il viaggio della perdita di innocenza di un mondo che non si è mai più ripreso dagli orrori di Hiroshima e Chernobyl. E’ stato musicato magistralmente dalla band scozzese Mogwai. Il loro post-rock è più cinematico che mai, sinestetico per completare emotivamente il documentario. Di seguito riportiamo il documentario intero in streaming su youtube. Le immagini e la colonna sonora parlano da sole.

Atomic Living in Dread and Promise – Documentario

 

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D’autunno si fanno promesse: intervista d Alia per la presentazione del videoclip Lana http://www.losthighways.it/2013/11/18/intervista-alia-videoclip-lana/ http://www.losthighways.it/2013/11/18/intervista-alia-videoclip-lana/#comments Mon, 18 Nov 2013 09:41:02 +0000 http://www.losthighways.it/?p=23965 Alia è Alessandro Curcio, un’anomalia del sistema. Si potrebbe pensare così a lui. Perché salta le regole, le attese, le pretese. Cantautore esordiente in quel mondo spesso asfittico dell’indie nostrano, lui scrive, intona le sue parole, le lascia scorrere per il puro piacere di esplorare la propria emotività nel segno di una sensibilità purissima, innamorata di poesia e natura. A pochi mesi dall’uscita dell’ep Ària, Alessandro sceglie, tra le sue primissime gemme, Lana, canzone che si fa video e saluto, al passato recente e al futuro imminente. Da un lato un contenuto tragico ovvero il riferimento al suicidio del poeta Celan, e dall’altro la leggerezza di una sequenza di immagini tiepide e autunnali. Vi presentiamo in esclusiva questo video (regia di Valentina Villa), in attesa del nuovo lavoro in studio (in sinergia con G. Dottori e Neverlab) che saprà mantenere le promesse finora lasciate intendere.

Qualche mese dopo l’uscita di Ària, il tuo ep d’esordio, arriva il video per una delle canzoni. Perché questo tempo d’attesa e perché Lana, tra le altre?
Così come l’ep, è stato un modo per presentarmi da un punto di vista “sonoro”, sentivo che era importante “metterci la faccia” ed avere un biglietto da visita anche in immagini. Lana è forse il pezzo che più si prestava ad un racconto fotografico: considerando la voracità degli internauti, ha dinamica e timing più attraenti.

Raccontami i luoghi del video. Sono casuali e scelti per pura fascinazione o hanno un significato nella tua vita?
Più volte ho raccontato della mia natura un po’ anfibia, il mio amore per i corsi d’acqua. Il video è stato girato in parte nei luoghi leonardeschi del fiume Adda, sullo  sfondo compare la storica centrale elettrica Taccani di Trezzo risalente a primi del ‘900, e in parte presso i Navigli milanesi.  Sono luoghi molto suggestivi che invito a visitare.

E raccontami i colori, l’autunno che la sintassi visiva svela…
Il fatto che il video sia stato girato con l’approssimarsi dell’autunno è assolutamente incidentale. Però devo ammettere che i colori dell’autunno sono particolarmente indicati a narrare momenti di passaggio importanti. Un po’ come se la natura, prima di trasformarsi, volesse dare il meglio di sé.

Il video porta la firma di Valentina Villa. Come nasce la vostra collaborazione?
Ho conosciuto Valentina lo stesso giorno in cui, con la mia ex band, ho aperto un concerto di Giuliano Dottori. Ho avuto modo di guardarla lavorare e di apprezzarne il gusto visivo. Tuttavia per me è fondamentale che le persone che mi accompagnano in questa esperienza siano sulla mia stessa lunghezza d’onda e che siano amiche. Poiché non amo interferire su competenze non mie, devo potermi completamente fidare delle persone a cui consegno i miei progetti.

Ti conosciamo bene. Sappiamo quanto la musica sia vissuta da te come un’amante da amare senza pretese, senza troppe attese. Questo ti sgancia da pressioni e frustrazioni. E un video? Dimmi cosa aggiunge? Cosa vuol dire per te?
Lana è una canzone che racconta una storia tragica. Averla ritradotta in immagini utilizzando spazi e colori vivi ha fornito un’ulteriore e più propositiva chiave di lettura. Il video è semplice nella sua narrativa, pieno di sorrisoni se vogliamo, ma è proprio questa semplicità voluta che permette al brano di scardinarsi  da un immaginario del dolore per fornire larghi scorci di “libertà”.
Penso che un video debba poter essere anche questo.

Mi piace pensare che Lana sia la linea che separa il primo capitolo della tua storia cantautorale e guardi al prossimo. Perché ci sarà un prossimo, giusto?
Esatto, l’approccio visivo di Lana è già  il “prossimo che avanza”. Sto per entrare in studio con Giuliano Dottori per
registrare un album con tutti i crismi. Ho scritto pezzi molto diversi fra loro. In qualche modo anche questi  “omaggeranno” qualcosa o qualcuno, tuttavia il tono sarà nel complesso più leggero e disincantato.

Credits
Parole e musica di Alia
Produzione di Giuliano Dottori

Regia di Valentina Villa
www.valentinavilla.com
Girato tra:
Nviglio della Martesana (MI)
Centrale elettrica di Trezzo sull’ dda (MI)
Casa di Alia
grazie a: Laurent Marcolivio

Lana – Video

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L’arte della stop-motion, sognando tra Steven Wilson e Tim Burton: intervista a Jess Cope http://www.losthighways.it/2013/04/09/intervista-jess-cope/ http://www.losthighways.it/2013/04/09/intervista-jess-cope/#comments Tue, 09 Apr 2013 11:20:16 +0000 http://www.losthighways.it/?p=21796 Una delle principali ricerche di LostHighways è sempre stata la sinestesia, quella strana sinergia d’arte che si crea tra immagini e suono in modo da coinvolgere totalmente il fruitore. L’uscita del  recente video di Raven that refused to sing  dal terzo album solista di Steven Wilson è stata la scusa per approdondire l’arte della stop-motion con l’animatrice Jessica Cope, colei che ha collaborato anche alla realizzazione di Frankenweenie, l’ultimo film di Tim Burton. Questa intervista si è rivelata uno scrigno di segreti del mestiere!

Come è nata l’idea alla base del video di The Raven that refused to sing di Steven Wilson?
Dopo aver realizzato il video di Drag Ropes, Steven mi ha chiesto se fossi  interessata a lavorare al suo progetto solista, mi aveva raccontato di un album basato su storie di fantasmi e accompagnato da un libro d’illustrazioni. Steven mi ha fatto conoscere il lavoro dell’artista Hajo Muller, e sono stata davvero entusiasta di lavorare sia con Steven che con  Hajo. La storia del Corvo era già stata abbozzata da Steven. Lo storyboard era quasi completato  dalle opere d’arte di Hajo. Steven mi ha lasciato la libertà di riutilizzarle o di partire da queste come fonte d’ispirazione. Ho coinvolto il mio amico Simon Cartwright e abbiamo deciso di modificare un po’ la storia, ma riutilizzando il designo di Hajo per Eliah, il personaggio principale. Abbiamo cambiato Lily, ma cercando di rimanere il più vicino possibile alla visione di Hajo, soprattutto per gli sfondi. Tutti sono stati molto entusiasti dell’idea proposta e abbiamo ottenuto il via libera per iniziare a fare il video.

Perché hai scelto la Cutout Animation per realizzare questo video?
Il brano dura otto minuti circa ed in termini di animazione si tratta di una quantità enorme per una realizzazione in soli tre mesi. Quando ho collaborato per l’animazione di Frankenweenie l’obiettivo era di produrre due secondi di animazione al giorno. Per guadagnare tempo volevo adottare la stesso approccio di Drag Ropes basato sulla giustapposizione di livelli. L’anno prima io e Simon eravamo riusciti a creare l’effetto dell’animazione con la ripresa a più livelli delle ombre, ottenendo un fantastico risultato. Anche per questo video volevo utilizzare una tecnica simile perché ci aveva permesso di chiudere il processo di riprese in sole tre settimane. Per The Raven that refused to sing ho voluto realizzare la profondità attraverso più strati di vetro. La fotocamera puntando il vetro in basso fa acquistare profondità alla scena, poi lo sfondo va su un altro piano di vetro e le figure su altri riquadri di vetro separati. Il risultato è fantastico, nonostante i tanti problemi dovuti ai riflessi di luce, alla polvere sul vetro (si possono effettivamente vedere i peli e lanuggine se si guarda abbastanza da vicino il video!). Questa imperfezione però a me non dispiace perché dà l’idea di un capo filato con un telaio artigianale e quindi vivo e non freddo e seriale. Oltre a questa scelta dettata soprattutto da un punto di vista pratico, abbiamo considerato anche l’opera di Hajo che si adattava perfettamente al taglio stile burattino. Il personaggio Eliah era cosi divertente, dà come un taglio fuori carattere, con quella sua grande testa per l’animazione era perfetto. L’animazione del corvo era un po’ più difficile, ma una volta adattato opportunamente il disegno è stata una gioia assoluta animarlo.

Ho apprezzato anche il tuo precedente video Drag Ropes per gli Storm Corrosion. In questo caso perché hai scelto la Silhouette Animation?
La band aveva fissato una suggestione che voleva creare, piuttosto che un’idea reale. Avevano come punto di riferimento i vecchi film di marionette antiche della loro infanzia. I film che sono stati pensati per i bambini, anche se piuttosto oscuri e spaventosi. Sapevo esattamente cosa intendevano comunicare, e così le silhouette/bambole ombra erano la sola forma per rispondere alla loro richiesta.

Poi c’è quel straordinario video The Astronomer’s Sun, vincitore di 16 premi ai festival internazionali. Me ne parli?
Per me e Simon è stato il primo film dopo la laurea. Una grande occasione per noi perché ci ha aperto le porte a nuove cose. Ha dimostrato agli altri che io e Simon possiamo essere una grande squadra. Abbiamo lavorato un anno  insieme, lui ha scritto la sceneggiatura ed io ho realizzato i puppazzi animati ed il set. Ripensandoci ci sono tante cose che oggi farei in modo diverso, però quest’esperienza mi ha fatto scoprire tanti aspetti di questo lavoro che poi hanno permesso a me e Simon di arrivare dove siamo ora. È stato un grande piccolo film e sono  fiera di averlo realizzato.

Quando ti sei innamorata della tecnica di animazione stop-motion?
Ti posso dire il momento esatto, credo! Era il Natale del 1994, avevo 10 anni, mio padre portò a casa un video intitolato The Nightmare Before Christmas. L’ho visto sdraiata su un fianco sul pavimento. Non so perché ho scelto di guardarlo in quel modo, ma quando ripenso a quel momento mi rivedo sempre in quella posizione. In ogni caso, è stato proprio lì che ho capito che cosa volevo fare. Sapevo di voler lavorare ad un film di Tim Burton. Ovviamente a 10 anni si ha bisogno di eroi e Tim Burton è stato uno dei miei. Amavo già la stop-motion, perché avevo già apprezzato le animazioni di Wallace e Gromit e  Postman Pat. Mi ricordavano del mio tempo trascorso in famiglia quando ero in visita in Inghilterra (sono cresciuta in Sud Africa). Vorrei riavvolgere la pellicola più volte e incantarmi davanti agli schizzi di marmellata su Wallace, mi sembrava così reale. Dannazione, li amo ancora tanto oggi, a 28 anni!

Ci puoi parlare di Frankenweenie di Tim Burton?
Lavorare  per Frankenweenie è stato un sogno che si è avverato. Tutto questo grazie a  The Astronomer’s Sun (TAS). Lavorando per TAS chiesi alla Mackinnon & Saunders di poter realizzare il personaggio principale da loro. Accettarono e così passai due settimane meravigliose a lavorare a fianco dei migliori costruttori di marionette/pupazzi del mondo. È stato incredibile. Dopo aver terminato TAS mi è stato chiesto di contribuire alla realizzazione di armature per Frankenweenie. Naturalmente risposi di sì! Ho trascorso 8 mesi di lavoro con loro. Una volta terminato il mio contratto alla Mackinnon & Saunders mi è stato chiesto di andare a Londra per fare armature lì. Questo era il luogo dove il film veniva girato. Quindi ho deciso di tentare la mia fortuna e ho chiesto se potevo fare un test di animazione. Erano alla ricerca di animatori assistenti, e così ho pensato che potesse essere la mia occasione. Ho fatto il test e ho ottenuto il lavoro! Io nel ruolo di animatore assistente per il film per 5 mesi. È stata un’esperienza fantastica e terrificante. Ho lavorato con persone  di gran talento quindi è stato una momento di apprendimento per me. Ho finalmente avuto la possibilità di fare quello che avevo sempre desiderato sin da quando avevo 10 anni.

Sogni di poter realizzare un film tutto tuo un giorno?
Io spero che accada un giorno. Ho un’idea pronta ed aspetto!

Che genere di musica sei solita ascoltare?
Sono un po’ eclettica per quanto concerne la musica. Ho dei gusti un po’ strani… mi piace il grunge anni novanta, i NIN ed i Deftones, ma mi piacciono anche cose folk e roba alternativa jazz e blues… Questa è sempre stata una questione difficile per me!I gusti musicali ti svelano una persona… e quindi non riuscendo a focalizzare i miei… forse sono una persona piuttosto vaga!

Cinqua album e cinque film che suggeriresti al tuo migliore amico…
Un’altra domanda tosta!
I miei cinque album sono: Before these crowded streets (Dave Mathews Band), Grace (Jeff Buckley), Diamond Eyes (Deftones), With Teeth (NIN), Vs (Pearl Jam).
Per i film è altrettanto dura e siccome amo tanti film… ti indico invece le cinque serie TV che amo di più: True Blood, Dexter (ne sono ossessionata!), Game of Thrones, Breaking Bad, Full Metal Alchemist.

The Raven That Refused To Sing – Video

The Astronomer’s Sun – Video

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La tempesta è in arrivo: intervista a Marco Pianigiani, regista del nuovo video degli Afterhours http://www.losthighways.it/2012/03/09/la-tempesta-e-in-arrivo-afterhours-pianigiani/ http://www.losthighways.it/2012/03/09/la-tempesta-e-in-arrivo-afterhours-pianigiani/#comments Fri, 09 Mar 2012 11:55:58 +0000 http://www.losthighways.it/?p=17754 Questo marzo ha salutato un nuovo brano degli Afterhours: La tempesta è in arrivo. Anticipo di Padania ovvero l’attesissimo nuovo disco in studio in uscita il 17 aprile secondo la formula della completa autoproduzione, La tempesta è in arrivo ha subito scatenato l’attenzione di critica e pubblico. Un testo capace di svelare ancora una volta uno sguardo lucido e consapevole che sgorga diretto dalla disperazione che soffoca i nostri tempi: corriamo, come guerrieri che hanno scordato ogni motivo della lotta, pronti ad ottenere tutto tranne che la realizzazione profonda e (umana?) di noi stessi. La scrittura di Agnelli è in perfetta armonia con architetture di suono che puntano su una ritmica precisa e densa e un muro chitarristico tagliente. Essenzialmente rock come va fatto. Ad accompagnare il brano che segna il ritorno degli Afterhours un videoclip realizzato per i titoli di testa di Faccia d’angelo, miniserie in due parti (produzione Sky Cinema, in onda 12 e 19 marzo alle 21.10 sul canale 301) incentrata sulla figura del boss della Mala del Brenta con protagonista Elio Germano. Alla regia del video (anche alla direzione dell’intero montaggio della miniserie) Marco Pianigiani, toscano che a soli 34 anni vanta già premi internazionali vinti ai World and Europe Promax, ai Telly Wards, e al New York Film Festival, definendo il suo posto di riguardo nell’ambito della pubblicità televisiva (autore, montatore, regista) e nella realizzazione di trailers per film e serie tv. Abbiamo incontrato Marco perché dietro un video di pochi minuti c’è molto di più di quanto pigramente si possa pensare! (Si ringrazia per la collaborazione Roberta Accettulli – Management Afterhours)

Quale strada ti ha portato alla regia de La tempesta è in arrivo?
È stato Manuel stesso, con mio grandissimo onore,  a volermi come regista del suo video.
Racconto in breve.
Mesi fa ho girato per Sky Cinema la sigla di testa del film Faccia d’Angelo, film di cui poi in un secondo momento ho dovuto anche dirigere il montaggio. L’idea visiva era basata sui dettagli materici del processo di fusione di gioielli rubati in lingotti da parte del rapinatore interpretato da Elio Germano. Ho voluto raccontare la potenza del fuoco, il bagliore ipnotico dell’oro, il verde infernale delle fiamme, la bellezza del materiale fuso, i dettagli dei guanti e del volto di Germano. Nel finale questo “fabbro” criminale svela tutta la sua soddisfazione mentre ammira il risultato della sua instancabile opera di fucina: una sterminata distesa di lingotti.
Una sigla molto “grafica” ed inusuale per il mercato televisivo italiano, vagamente ispirata dagli opening titles di serie tv americane come Six Feet Under e Dexter, entrambe dei capolavori nel loro genere.
La sigla, nella sua operosità ed ossessività, era ispirata ai muri di energia musicali strumentali degli Afterhours, che sin dall’inizio del progetto erano stati coinvolti per la musica dei titoli di testa e di coda. Manuel Agnelli quando ha visto il risultato finale della sigla è rimasto molto colpito da come l’impatto visivo si coniugava con la base strumentale de La tempesta è in arrivo e ha detto: “Ecco, voglio il mio video esattamente così”.

Cosa hai pensato del brano, una volta ascoltato?
Ho pensato che era potente e attuale, molto metaforico. Mi ha colpito l’energia che sprigiona: le parole di Manuel sembrano quelle di un profeta dell’Apocalisse, un angelo nero venuto ad annunciare la distruzione di questa nostra moderna Sodoma e Gomorra.
La melodia? Due parole: ipnotica e possente.

Quali sono stati i criteri che hai adottato per mantenere un collante tra il videoclip e la serie? E quali sono state invece le libertà che ti sei concesso per spingere il video anche oltre la serie?
Non era facile, avevo un personaggio, quello di Elio, già ben definito a cui dovevo per forza fare riferimento.
Ho pensato agli angeli de Il cielo sopra Berlino di Wenders, ad esseri che osservano l’operato umano e lo giudicano, ed anche ad angeli-demoni che profetizzano il futuro e l’Apocalisse, superiori ed intoccabili
Ascoltando il testo della canzone mi sono inoltre stupito di come l’ossessione per l’oro si prestasse a una serie di parallelismi interessanti.
La tempesta cantata dagli Afterhours poteva essere interpretata come metafora del personaggio di Elio Germano, pieno di geniale e perversa energia e portatore di un’incredibile “tempesta di criminalità” che condiziona per vent’anni la vita di un’intera regione d’Italia.  Ma la tempesta si può interpretare anche in un ambito più generale ed esistenziale, più attuale e in linea con il valore universale della canzone, come un vento apocalittico e purificatore destinato a spazzare via lo spirito corrotto della materialità e dell’avidità che Germano, nella sua efferatezza e nel suo mettere l’ingegno al servizio del male, incarna alla perfezione.
Da qui a giocare di metafore il passo era breve ed ecco che le collane d’oro in mano a Germano si trasformano in  catene di ferro nelle mani degli Afterhours, l’oro si trasforma in terra, il bagliore dei gioielli non può che nascondere il putridume degli scarafaggi, metafora anche di un’umanità che inutilmente si affanna alla ricerca della materialità.
Gli Afterhours sono come degli angeli neri, dei profeti invisibili e disincarnati, spiriti del fuoco e dell’ombra che osservano l’accumulo della ricchezza da parte del criminale-Germano e lo denunciano mostrando allo spettatore l’oro che diventa terra, guardando direttamente in macchina con intensità e sfida. Ci mostrano ciò che sono le manciate di gioielli in mano a Germano: nient’altro che un pugno di scarafaggi putridi. (Complimenti tra l’altro a Manuel, Xabier e Rodrigo che si sono prestati a tuffare le mani in vasche piene di blatte, cosa tutt’altro che gradevole!)
La tempesta è in arrivo nella sua accezione purificatrice in questo caso visivamente è rappresentata dagli Afterhours stessi che, nel momento di massima esplosione musicale, spezzano le catene del materialismo e fracassano i gioielli, travolgendo i miseri uomini-insetto schiavi dell’oro.
Ma contemporaneamente il criminale interpretato da Germano innalza le mura delle sua fortezza, fatta di lingotti d’oro e l’ultima parola è la sua, il video si chiude con la sua distesa di lingotti. La sua fortezza è inespugnabile e nemmeno la tempesta evocata dagli Afterhours è riuscita ad abbatterla, perché la corruzione e l’avidità sono elementi indissolubili dell’animo umano, eterni come l’uomo stesso.
Non si sa chi vince e chi perde: gli Afterhours, dopo un ultimo sguardo triste, di giudizio, ritornano nell’ombra da dove sono venuti e il destino di Germano, per quanto questi sembri beffardo e sicuro di sé, è comunque segnato: e alla fine  la tempesta travolgerà anche lui, e ancora una volta una delle mille interpretazioni che si può dare alla canzone è quella della spada di Damocle che pende sulla testa del protagonista o più in generale di chiunque scelga di seguire una via di valori fallaci.
E questo più o meno è quanto sta dietro il video. Però! Mi sembra di essere ritornato alle mie vecchie lezioni universitarie di semiotica del testo piene di sovrainterpretazioni e intellettualismi funambolici! La verità è che avevo in cantina un paio di scatoloni pieni di bigiotteria e che non vedevo l’ora di usarli in qualche modo, tutto qui!

Cosa vuol dire lavorare sull’immagine di un gruppo rock come gli Afterhours? Parliamo di un’immagine che ha uno specifico spessore comunicativo. Quanto ti ha influenzato?
Volutamente mi sono concentrato solo sull’ispirazione musicale del brano e ho ignorato l’immagine del gruppo nel loro passato o nell’immaginario collettivo.
La tempesta è in arrivo è una canzone dura, insinuante, rock, apocalittica, cupa e così li volevo: rock, essenziali, non circensi, non barocchi: angeli neri, entità assolute che cantano del destino umano. Volevo che fossero il più possibile naturali, secchi, senza fronzoli e orpelli.
Per non trasformare il gruppo in ciò che non è (non volevo certo far diventare gli Afterhours un gruppo heavy metal) ho scelto semplicemente da alcune loro foto i vestiti che ritenevo più adatti e ne ho discusso proprio con loro. Ci siamo trovati subito d’accordo, anche perché quasi tutti i vestiti che volevo corrispondevano a quelli usati nel photo-shooting per l’ultima copertina di Repubblica XL e quindi erano perfettamente in linea con il loro look attuale.

Da regista, quale volto ti ha maggiormente colpito per espressività?
Devo dire che i volti degli Afterhours sono tutti a modo loro particolari e bucano lo schermo. Manuel, con i suoi lunghi capelli lisci ed il suo sguardo melanconico, mi ricorda uno sciamano indiano: non a caso gli ho fatto cantare il pezzo accucciato a terra vicino al fuoco della fucina, come fosse accanto ad un falò.
Altri che mi hanno colpito particolarmente? Il luciferino Xabier, quasi una sorta di zingaresco e diabolico Houdini; Giorgio Ciccarelli che ha degli occhi spiritati e una mimica incredibili, da vero divo del cinema muto; Giorgio Prette, presenza fisica potente e gigantesca (è molto alto) dallo sguardo indecifrabile e misterioso, una forza della natura compressa e pronta ad esplodere.

Azzardo un parallelismo, alieno dai generi e dai budget. Il forte impatto mi ha portato alla mente i titoli di testa di Millennium (Immigrant Song, cover dei Led Zeppelin, ndr), frutto della collaborazione Treznor/Atticus-Fincher. Cosa vuol dire lavorare ad un video che ha quel tipo di ruolo, di intro?
Innanzitutto ti ringrazio per il paragone. I titoli di testa di Millennium sono un capolavoro assoluto e anche solo il fatto di essere citato nella stessa frase insieme a David Fincher devo dire che mi mette in imbarazzo: Fincher è un genio visivo totale e i titoli di testa dei suoi film fanno scuola dai tempi di Seven.
Posso dire che i due video, con i dovuti paragoni, hanno forse in comune la ricerca di un senso di inesorabilità e ossessività dato dall’utilizzo di inquadrature molto strette e claustrofobiche, dall’uso di dettagli non sempre “gradevoli” e dal montaggio serrato. Detto questo, il video di Fincher è pura video-arte, il mio non poteva e non doveva esserlo: lavorare ad un video come questo, che ha più funzioni (deve essere un video musicale, ma anche pubblicizzare una serie, non può essere troppo autoriale e oscuro perché nasce per una televisione mainstream com’è Sky, ma neanche banale o didascalico), è una faccenda delicata: si rischia sempre di scontentare tutti e di non accontentare nessuno.
Considera poi che tempi e budget di queste produzioni sono molto più limitati di quello che comunemente si crede.
Fincher non ha di questi problemi, può spingersi molto oltre e creare nuovi standard mondiali, ma anche Sky Cinema nell’ambito della realtà televisiva italiana è il network più all’avanguardia e mi ha permesso, nei limiti del buon senso, di osare abbastanza. Dopotutto associare visivamente l’ossessione avida e lo spirito criminale di Faccia D’angelo a degli scarafaggi schifosi che brulicano sull’oro penso sia abbastanza coraggioso, no?!

Lo è di sicuro! Il nuovo disco degli Afterhours è un lavoro gestito in completa autoproduzione, veicolando un concetto di indipendenza pieno. Anche il video ha avuto una lavorazione secondo le stesse dinamiche…
È stato molto divertente lavorare con una squadra messa su appositamente dal Direttore creativo di Sky Cinema Roberto Amoroso, che è stato il più grande promotore della collaborazione tra gli Afterhours e Sky. I due fantastici produttori che mi ha affiancato, Sonia Rovai ed Emiliano Martorana, mi hanno permesso di lavorare in modo il più autonomo possibile, in piena sintonia con lo spirito indie degli Afterhours.
Posso dire che lo spirito dell’intera produzione era quello fresco ed entusiasta tipico delle piccole produzioni da film indipendenti, non certo da lavoro routinario televisivo.

La tempesta è in arrivo – Video

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E quell’ombra dietro i personaggi: intervista a Nunzio Gringeri, regista video You should wear a dress – King Me http://www.losthighways.it/2011/11/29/intervista-nunzio-gringeri/ http://www.losthighways.it/2011/11/29/intervista-nunzio-gringeri/#comments Tue, 29 Nov 2011 09:18:00 +0000 http://www.losthighways.it/?p=16512 Ormai un anno fa abbiamo incontrato la musica della band belga King Me e ne siamo rimasti affascinati (Them brawlers, 2010). Oggi LostHighways ha l’onore di presentare il video di You should wear a dress incontrando per l’occasione il suo regista.
Una rapida chiacchierata con Nunzio Gringeri, impegnato in diversi lavori legati al mondo dell’immagine, ci consente di comprendere meglio alcuni dettagli, oltre che l’approccio alla realizzazione di un videoclip  perfettamente integrato e complice del clima surreale ed onirico del brano. (Si ringrazia Gianluca Maria Sorace – A cup in the garden per la collaborazione.

Andiamo con ordine: come è nato l’incontro tra te ed i King Me, che anche solo dal punto di vista geografico non pare così immediato?
L’incontro con i King Me nasce attraverso Barbara Tomasino (critico musicale e conduttrice di Stereo Notte), componente della John Doe Production che aveva già lavorato con i King Me per il video di Pretty Girls girato a Roma. Da qui la proposta di lavorare ad un pezzo del nuovo album dei King Me.

Il video di You should wear a dress lo trovo molto affascinante principalmente per due motivi: le continue interazioni dei soggetti con degli oggetti, spesso attraverso le mani (una bambola, un rossetto, un nastro, la sabbia, i bordi di una vasca, i capelli), ed i luoghi nei quali avvengono queste azioni (mare, una stanza, una vasca da bagno). Come sono state scelte queste immagini e cosa si è voluto cercare?
Abbiamo lavorato molto sul brano, tenendo conto del testo ma concentrandoci principalmente sulle suggestioni che creava. Il testo è surreale. Fin dal primo ascolto era prevalsa la sensazione che ci fosse dentro una grande malinconia, una felicità spezzata. Lavorando per sensazioni e concentrandoci sulle possibili figure che potevano restituire questa idea, abbiamo focalizzato l’attenzione su una struttura narrativa che dichiarava dalle prime battute questi intenti.

Il colore rosso è indubbiamente un dettaglio importante del video. Cosa rappresenta in questa narrazione?
Il rosso è il mio colore preferito e in questo lavoro è simbolo di vitalità e consapevolezza più o meno traditi.

Il cantante appare nel video con un abbigliamento eccentrico ed un ghigno quasi irrisorio. L’impressione è che sia lui il giostraio che decide i movimenti, le emozioni dei personaggi. Mi sbaglio?
No, non sbagli. Lui è il cantore, il perno della narrazione, l’ombra dietro i personaggi.

Il video è fluido ed onirico come la canzone: quali sono state le difficoltà nell’approccio ad un brano di questo genere?
L’unica difficoltà è stata limitarsi, perché il brano continuava a darci nuovi spunti e possibili immagini

Sei solito lavorare per immagini con la musica? Come si è differenziato il lavoro per questo video rispetto alle precedenti tue opere?
Musica e immagini sono la mia ossessione. E’ magico il momento in cui le immagini si poggiano sul suono, l’iterazione di questi due modi espressivi genera sempre nuovi significati. In questo lavoro riporto molte delle mie esperienze fatte nel campo della videoart e nelle performance, i fili rossi, le bambole, ma chiaramente il campo di gioco è diverso.

Se ne parla tanto, ma è ancora difficile capire veramente il fenomeno: ogni evento viene ripreso con i più disparati mezzi (smartphone, telecamera compatta). Si crea così un surplus di dati, di immagini, spesso di scarsissima qualità. Credi che questo eccesso vada a discapito della qualità delle produzioni professionali? Mi spiego: c’è il rischio di “abituarsi” alla bassa qualità?
Credo che la democratizzazione tecnologica sia un bene, e secondo me non intacca le produzioni professionali. La marea di immagini che produciamo e digeriamo in un solo giorno sono specchio della nostra società. Per quanto riguarda la bassa qualità devo dire che ultimamente ho visto degli ottimi lavori in low-fi. Lo scarto, secondo me, lo fa l’idea.

Il videoclip è sempre stato un qualcosa di ambivalente: da una parte il lato “commerciale” (spiccato negli anni ’90) e dall’altro quello più artistico e complementare alla musica. Questo binomio è ancora così marcato? A tuo parere c’è un avvicinamento tra queste due componenti, o un allontanamento radicale?
Il videoclip è un terreno fertile per le idee e la sperimentazione. La tendenza negli ultimi anni è quella di ammorbidire l’aspetto commerciale, non facendolo svanire ma trasformandolo, a favore della creatività.

You should wear a dress – Video

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Chemmie – Joas As A Police Woman: il video http://www.losthighways.it/2011/11/27/chemmie-joas-as-a-police-woman/ http://www.losthighways.it/2011/11/27/chemmie-joas-as-a-police-woman/#comments Sun, 27 Nov 2011 07:47:32 +0000 http://www.losthighways.it/?p=16458 Non chiedermi perché. Non chiedermi cosa. È, voce del verbo accadere. Conta poco il senno e ancora meno conta il senso. Questione di odore, probabilmente. Questione di sangue. La mia pelle che acquista un senso nuovo se sovrapposta alla tua: la chimica dei sensi arresi ad uno sguardo. Non abbiamo niente in comune. Non abbiamo niente. Siamo materia grezza nelle mani di un istinto che preme ai fianchi, che trascina la lingua dalla gola alle tempie, capace di noi più di noi stessi. Proviamo a difenderlo il castello che siamo, duomo sfacciato nel deserto che abitiamo. Ci siamo scelti a dispetto dei modi, a dispetto dei se. Tu animale, io animale. Due animali, di razze diverse. A strapparti dal branco ho quasi sorriso, l’ho fatto più di una volta. Al sicuro fra le nostre pareti: due idiomi diversi e un solo corpo, due calori diversi e una sola tensione. È lì che ti avrei condotto, ancora e ancora. Anche adesso, ora che sento i segni delle unghie sulla schiena, ora che sei solo un animale che mi manca, un animale lontano che guardo da lontano. Non chiedermi perché e nemmeno cosa: resta il ma, un ma velenoso e mancino. Lo restituisco alle formule, al gioco, alla fuga: restituisco al mondo un ma claudicante, quello di chi, con le spalle nude, ha seguito la rotta del costato e non del buon senso. Mi tengo la forza nelle mani: mi tengo il coraggio e le sue sventure, quelle di chi, con le spalle nude, ha provato a lasciarsi mordere la carne dalla vita. We don’t have to die to get to heaven: qualcuno lo chiama Amore.

Chemmie è il terzo singolo tratto da The Deep Field di Joan Wasser (Joan as a Police Woman). Il video, affidato alla regia di Ben Reed ed uscito lo scorso agosto, parafrasa il pezzo con eleganza ed azzardo: l’ottava dimensione dell’amore, l’amore indocile, che innalza e consuma, viene  rappresentata con la favola romantica fra un licantropo ed una donna bellissima. È Joan la protagonista femminile dei quattro minuti di video, un video interamente giocato sulle dicotomie: ragione e non-senso, bellezza e ribrezzo, violenza e tenerezza. Si parte dall’epilogo per ricostruire i dettagli di un incontro che non trova nelle apparenze alcuna giustificazione. L’assoluta mancanza di grazia dell’uomo lupo e del branco che lo domina stana con prepotenza la malinconia dagli occhi della donna che ha amato senza una ragione, che avrebbe ucciso per conservarsi quel paradiso. La sensazione e l’atto si scontrano, quasi fosse nella lotta per possedere il significato, non nell’oggetto del desiderio. In assoluta sintonia con il pezzo, le immagini si compongono attorno al fulcro-sguardo: gli occhi di Joan, gli occhi dell’uomo lupo. I luoghi svuotati del girato indovinano l’umore di tutti i poi dell’amore con le tinte di grigio tipiche di certa solitudine. Il tempo e le immagini scorrono in sincrono in rare occasioni ed è una scelta precisa, che rimanda alla sospensione che precede il senno del poi. Un piccolissimo diamante grezzo, da vedere: intrigante.

Chemmie – Video

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Le Gros Ballon – What’s left of dreams: anteprima video http://www.losthighways.it/2011/09/30/le-gros-ballon-what%e2%80%99s-left-of-dreams-anteprima-video/ http://www.losthighways.it/2011/09/30/le-gros-ballon-what%e2%80%99s-left-of-dreams-anteprima-video/#comments Fri, 30 Sep 2011 12:52:40 +0000 http://www.losthighways.it/?p=15633 Le Gros Ballon sono Marco Capra e Francesco Campanozzi. Ecco cosa resta dei sogni è uno dei primi pezzi che hanno composto. La canzone li ha seguiti nel percorso creativo che li ha visti produrre un disco omonimo (Le Gros Ballon, CasaMedusa, aprile 2010) ed un EP (La Nuit, CasaMedusa, novembre 2010) in poco più di un anno. A lanciare l’EP fu la title-track La Nuit, accompagnata dal video realizzato da Stefano De Ponti. Oggi Ecco cosa resta dei sogni si veste della voce di Denise e prende forma d’immagine. Losthighways è lieta di ospitare l’anteprima video di What’s left of dreams, per la regia di Stefano De Ponti. Le Gros Ballon ce lo presentano. Buona visione.

Mi permetto di usare l’aggettivo gentile riferendomi al video. Come è nata l’idea?
Grazie, gentile è un bel modo di descrivere il video. In effetti volevamo che le immagini rispettassero in qualche modo l’atmosfera delicata e sognante, quasi immateriale, della canzone. L’idea del video di What’s left of dreams è nata insieme a Stefano De Ponti, videomaker, musicista e amico di lunga data. Ci piaceva l’idea d’animare una storia che avesse uno sviluppo ciclico, una  metafora della vita stessa: l’attesa attraverso il sonno; la nascita attraverso il risveglio; le esperienze che viviamo quasi fossero aspirazioni, miraggi; la fine che ci insegue e che poi fine non è, perché forse è ancora un sogno in divenire. Anche il cinema che amiamo si ispira molto spesso al sogno, così come fanno Michel Gondry o Spike Jonze. Stefano è riuscito a tradurre molto bene il progetto che avevamo in mente in immagini, affidandosi alla tecnica del passo uno e facendo un lungo e minuzioso lavoro.

È molto interessante la sua evoluzione, come l’incipit e la chiusa riescono a coincidere nello spazio segnato da simboli. Immancabile, il pallone…
Sì, il pallone – la mongolfiera rossa, come ci piace chiamarla – è il nostro simbolo ed è uno dei possibili significati del nostro nome, Le Gros Ballon. Ci piace immaginare questo pallone volare, senza peso, in terre sconosciute, così come la nostra musica cerca di fare. Fin dall’inizio del progetto l’idea di associare il nostro nome alla mongolfiera ci ha rapito: è un mezzo che permette di volare piano, dall’alto si possono avere punti di vista differenti da quello che si ha ancorati a terra. Tornando al video, ecco il gufo, simbolo antico di saggezza, ma anche di morte, che ci accompagna nel cambiamento. I pesci nuotano in un’acqua viva, così fertile da nutrire la terra e l’albero dell’illusione, e sono anche loro simbolo di mutamento, poiché testimoni del viaggio. Le foglie nel loro tempo rigoglioso e nella loro caduta: potremmo essere noi queste foglie, protagonisti fluttuanti di una strana realtà, sospesi tra il reale e l’apparenza. Ecco i sogni, le nostre aspirazioni, una rivoluzione ciclica che sentiamo iniziare e finire nel tempo di una notte, di cui ci rimane una impercettibile scia nella memoria, pochi istanti chiarissimi che poi si fanno nebbia.

Rappresentazione e musica. Quali scelte presuppongono? Può l’immagine definire una direzione nel percorso musicale di un artista?
Immagini e musica hanno per noi un intreccio stretto. Nei live sul palco con noi c’è Antonello Raggi (Yellow Capra, Matita, Satanismybrother) che, oltre ad intervenire musicalmente con synth e percussioni, si occupa della parte visuale curando le immagini che accompagnano il live, anche creandole ad hoc mentre stiamo suonando con riprese in tempo reale. Antonello riesce a trasporre ciò che avviene tra noi e i nostri strumenti in qualcosa che altrimenti non si potrebbe vedere. E’ l’immediatezza della rappresentazione ad interessarci: noi siamo parte di qualcosa che viene riprodotto anche nello stesso momento in cui avviene. E’ un invito a non guardare a noi mentre suoniamo: ciascuno, all’interno di questa visione, è libero di seguire il proprio film, di immaginare la propria trama. La nostra musica si è prestata varie volte a diventare colonna sonora. Due documentari hanno scelto i nostri brani: Il lupo in calzoncini corti di Nadia Dalle Vedove e Lucia Stano (delle quali andiamo fieri, perché vincitrici del Premio Migliore Documentario al Festival Mix 2011 di Milano) e Ciao Italia di Fausto Caviglia e Barbara Bernardi. Per un terzo documentario girato in Sudan, Testimoni occasionali, Ruggero Longoni ci ha affidato la composizione dell’intera colonna sonora; sono almeno una trentina di brani che ci piacerebbe pubblicare in futuro.

What’s left of dreams vede la partecipazione di Denise. È lei a dare voce al sogno. Come ha preso vita la canzone?
What’s left of dreams è in realtà uno dei primissimi brani che abbiamo composto, nel caldo luglio milanese di due anni fa. Il brano è nato nella prima sessione di pura improvvisazione, quella che ha dato vita al progetto e che ci ha portato a realizzare il nostro primo e omonimo album. Tra le quattordici tracce del disco, Ecco cosa resta dei sogni è piaciuta molto a Denise. All’epoca ci siamo conosciuti tramite MySpace  e dopo uno scambio stimolante di mail si è arrivati ad un provino in versione cantata. Ci siamo finalmente incontrati di persona nello studio di CasaMedusa (il nostro quartier generale a Milano). Lì è nata What’s left of dreams nella versione che sentite nel video e che è contenuta nell’EP La Nuit. E’ stata una collaborazione spontanea e piacevole. Ci siamo poi incontrati di nuovo l’anno scorso sul palco della rassegna musicale Neverland d’inverno e lì abbiamo presentato il brano insieme per la prima volta dal vivo.

Il pezzo è tratto da La nuit, EP uscito nel 2010 per CasaMedusa. Dobbiamo aspettarci un prossimo album? Quali altri progetti avete in fieri?
Certamente! Dopo l’album omonimo e l’EP La Nuit arriverà a breve un nuovo disco. Per ora possiamo anticipare che, come il primo, è frutto dell’improvvisazione allo stato puro: raccoglie le idee, le ispirazioni e gli strumenti più diversi. Stiamo ultimando sovraincisoni e mix dei brani in studio proprio in questi giorni, saranno una ventina circa. Contiamo di fare uscire l’album quest’inverno. E’ stato concepito sulle rive del lago di Bolsena, in giornate di totale immersione nella musica, accompagnati dal cibo e dal buon vino della Tuscia, e dalla placida calma delle rive del lago. Questa cornice ha influenzato molto l’ispirazione delle improvvisazioni. Esiste infatti tra i brani un filo conduttore, almeno è quello che percepiamo noi, visto da diversi punti di vista: l’acqua e la sensazione di navigare verso qualcosa di sconosciuto. Un nuovo viaggio, insomma.

What’s Left Of Dreams – Video

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Lunedì: nuovo video per i Virginiana Miller http://www.losthighways.it/2011/03/17/lunedi-virginiana-miller/ http://www.losthighways.it/2011/03/17/lunedi-virginiana-miller/#comments Thu, 17 Mar 2011 07:57:31 +0000 http://www.losthighways.it/?p=13731 Le sillabe del cambiamento non conoscono latitanza. Conoscono la lingua gentile delle stagioni di mezzo, traducono in azione le sfumature e gli orizzonti. E’ sottile il filo che separa la fine dall’inizio. Spesso coincidono. Talvolta si confondono. Meglio così. I piccoli gesti del sopravviversi sono in se stessi sostanza di vita nuova. Ogni volta. Un lunedì alla volta. A noi decidere quale eleggere primo fra tanti: quel giorno venuto dopo ma da cui ripartire. Naufraghi e salvi, salvati. Da qui in poi, da un tempo improprio al senso delle proprie mani. Come accade all’alba perché il tramonto possa tremare tutti quei colori. Così per noi. Fino a che ri-torni la primavera.
Vede la luce, ad un anno dall’uscita de Il primo lunedì del mondo (Zahr Records/Edel, 2010), quinto album in studio per i Virginiana Miller, il video di Lunedì. Il videoclip, realizzato con infinita cura e fedeltà alla propria ispirazione da due giovanissime registe, Ludovica Di Bendetto e Claudia Tittarelli, racconta attraverso il trasformarsi continuo della materia la possibilità stessa che ha la condizione umana di compiere scelte, di operare nel mondo, di lasciarsi alle spalle il vuoto della domenica per ritrovarsi con forza al centro di un’azione in cui finalmente possa ritrovare il senso stesso dell’esistenza. Lunedì sarà presentato in anteprima giovedì 17 marzo alla serata d’inaugurazione del Trick Festival di Milano, uno dei festival dedicati all’animazione più importanti d’Europa (www.trickfestival.it), mentre dal 18 marzo sarà in esclusiva sul sito del mensile Repubblica XL prima di arrivare in radio, sul web e in tv lunedì 21 marzo.
LostHighways ha avuto il piacere di incontrare Ludovica e Claudia. Ludovica Di Benedetto, 23 anni, laureata all’accademia Albertina delle belle Arti di Torino in grafica d’arte, è studentessa alla Scuola Sperimentale di Cinema d’Animazione di Chieri. Claudia Tittarelli, nata a Desenzano del Garda (BS), 24 anni, è laureanda all’Accademia Albertina delle belle arti di Torino, corso specialistico di grafica d’arte. La freschezza del loro estro, la spontaneità della loro verve comunicativa, non possono che essere uno stimolo per chi crede sempre e fermamente nella bellezza come valore, non solo aggiunto. La loro abilità creativa è un fiore all’occhiello per chi indossa gli abiti della qualità come scelta a prescindere. Eccole.

L’idea del video. Come è nata? Come siete entrate in contatto con la band?
Siamo state contattate dal gruppo dopo la pubblicazione sul web di un nostro precedente video in stopmotion, l’avevano visto e ci hanno chiesto se eravamo interessate a lavorare per loro realizzando il videoclip di un brano del loro nuovo album.

La tecnica di montaggio e la storia. Parlamene.
Siamo partite, sotto richiesta del gruppo, dal concetto guida “ricominciare da zero”. Abbiamo così sviluppato una storia basata sull’evoluzione dell’uomo. Partendo dalla semplicità rappresentata da un’alba, una spiaggia, l’uomo si riveste di complicazioni pian piano maggiori quali il tempo, il lavoro e le costrizioni alle quali si deve assoggettare. I luoghi cambiano e dalla spiaggia iniziale si passa alla campagna per arrivare ai palazzoni di periferia di una città industriale. Il nuovo senso di oppressione lo porterà alla fuga. Tramite una corsa sfrenata e liberatoria riuscirà a svincolarsi dagli indumenti e dagli elementi acquisiti nel tempo per tornare alla semplicità dell’inizio.  La maggior parte del video è stata realizzata in stop-motion a passo 2 alla  quale sono state integrate scene girate in ripresa video dal vero. La scelta della stop-motion è dovuta alla sua capacità di creare effetti in grado di simulare una vera e propria evoluzione/creazione dei materiali  (sabbia, carta, ferro ecc.) in modo da evocare l’idea di uomo passivo rispetto ai  cambiamenti e a ciò che lo circonda; gli oggetti difatti si formano e si muovono senza il bisogno di alcun intervento diretto del protagonista. Si è anche cercato di privare il più possibile l’uomo della sua identità, per sottolineare la natura simbolica del racconto.

E’ un piacevole caso il (riuscitissimo!) lavoro con i Virginiana Miller o vi piacerebbe crescere nel mondo dei videoclip musicali?
Inizialmente ci siamo avvicinate al mondo dei videoclip musicali in un modo piuttosto casuale ma è stata una bella esperienza che ci piacerebbe avere l’opportunità di ripetere presto.

Siete molto giovani. Qualcuno vi supporta o avete investito da sole nel vostro progetto, nelle attrezzature?
Essendo studentesse e non avendo nessuno che ci supporti per il momento stiamo lavorando con dei materiali usati o di riciclo e con le nostre attrezzature personali (macchine fotografiche, obiettivi, cavalletti ecc.), la telecamera l’ abbiamo presa in prestito da un amico.

Un aneddoto sulle riprese. Ce lo regalate?
La parte con i Virginiana Miller l’abbiamo girata i primi di dicembre, faceva freddissimo e viste le condizioni in cui li abbiamo costretti (camicia, pantaloni risvoltati e piedi nudi), ti lascio immaginare le reazioni del gruppo al clima (scrupolosamente documentate nel backstage), in più la barca che avevamo deciso di utilizzare come relitto era piena di acqua e si trovava in una zona della spiaggia che non andava bene, così l’hanno dovuta svuotare e trascinare fino al punto designato, il tutto reso più complicato da una larga pozza d’acqua (non abbastanza profonda da far galleggiare la barca) che si frapponeva tra il relitto e il luogo delle riprese, c’è voluta tutta la mattina!

Lunedì – Trailer

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Una visuale aperta sull’anima dei protagonisti: intervista a Luca Pivetti, regista del videoclip Il cielo, Facciascura feat David Moretti (Karma) http://www.losthighways.it/2011/02/24/intervista-luca-pivetti-videoclip-il-cielo/ http://www.losthighways.it/2011/02/24/intervista-luca-pivetti-videoclip-il-cielo/#comments Thu, 24 Feb 2011 16:47:00 +0000 http://www.losthighways.it/?p=13490 Luca Pivetti è un giovane regista che ha realizzato un videoclip di notevole impatto e qualità. Il brano che prende forma davanti al suo obiettivo è Il cielo, pezzo degli storici Karma nella versione dei veronesi Facciascura (Quanti ne sacrificheresti?, Vrec 2010) proprio insieme al front-man della band milanese, David Moretti. La decadente e claustrofobica ambientazione del video suscita curiosità che non potevano rimanere insolute ed è per questo che abbiamo incontrato lo stesso Pivetti, regista e sceneggiatore del video in questione, per indicarci una chiave di lettura del suo lavoro, e perchè no, ricordarci ancora una volta (mai abbastanza) quante ore di lavoro richiede produrre un video di qualità che poi viene famelicamente consumato in pochi minuti. (Si ringraziano DavveroComunicazione e Facciascura per la collaborazione)

Innanzitutto come e quando è nato l’incontro tra Luca Pivetti ed i Facciascura?
E’ nato nello studio di David Bonato che si occupa del management per i Facciascura. Mi disse che sapeva dell’intenzione del gruppo di fare un videoclip de Il cielo. Avevo già sentito parlare della band qui a Verona ed incuriosito ho ascoltato il pezzo; con mio grande piacere ho scoperto che si trattava proprio di quel brano: la canzone dei Karma che io stesso avevo amato nel lontano ’94. Era tra i miei pezzi preferiti, quindi mi sono sentito subito in dovere di contattare la band per propormi per il video.

Per la band veronese si tratta di un esordio discografico: il video de Il cielo lo si può considerare un esordio anche per te o hai già avuto esperienza in ambito di videoclip?
Avevo già girato altri due videoclip, oltre ad un corto, istallazioni video ecc. ma l’approccio per Il cielo è stato completamente diverso. Ho avuto infatti la fortuna di lavorare con Francesco Cappiotti (autore dei testi e delle musiche dei Facciascura), persona splendida e davvero sensibile al lavoro altrui, che mi ha lasciato carta bianca per il soggetto senza mettermi quei paletti che solitamente nelle produzioni video trovi sempre; l’unico obbligo era mostrare almeno i due cantanti coi relativi playback, cosa che ho fatto a fatica e con scarso risultato a mio avviso: le parti di playback sono le più deboli, avrei dovuto studiarle meglio. Al di là di questo ho potuto scrivere in totale libertà ciò che la canzone mi trasmetteva, e già la prima stesura del soggetto mi è stata approvata da Francesco: credo abbia fatto non poca fatica a capire cosa avevo in mente ma è stato talmente lungimirante da lasciarmi fare, con mio grande sollievo.

Parlami della nascita del video: curatissimo e ricercato, non si può pensare che sia improvvisato. Qual è stata la sua genesi ed il suo sviluppo?
Sono partito da una singola immagine: la foto nella home page del sito dei Facciascura. C’è questo primo piano di un volto di donna completamente in ombra, non si distinguono i lineamenti, e ho pensato fosse una buona idea per il make up. Da lì l’idea del suo doppio che invece della macchia scura ne ha una bianca nello stesso punto, che ben si sposava col passaggio del testo “uomo senza nome, senza età”; quindi ho iniziato a costruire una storia con questi caratteri speculari sempre cercando di interpretare visivamente i singoli passaggi del testo della canzone.

La location è tutt’altro che un dettaglio, tanto che sembra ci sia continuità tra gli attori, la band ed il luogo che li contengono: quasi non si distinguono, sembrano legati indissolubilmente a quelle luci soffuse, alle foglie che calpestano, alle finestre rotte…
Ero proprio alla ricerca di questo effetto: l’ambiente doveva rappresentare lo stato interiore dei personaggi, un misto di malinconia e decadenza. Mentre tutti gli stipiti rappresentano una visuale aperta sull’anima dei protagonisti: non ci sono porte e altri ostacoli che ci impediscono di “vedere”. Dopo tanti sopralluoghi nei siti più disparati ho trovato una stalla presso un villa antica a Bovolone, in provincia di Verona. Abbiamo composto la scenografia con le foglie del giardino circostante che vogliono rappresentare, oltre questa rovina interna dei personaggi, la stagione dell’albero posto al centro del tavolo; un albero evidentemente più grande della scultura che lo rappresenta, così come la sua ombra suggerisce.

Quali sono state le collaborazioni che ti hanno accompagnato in questo lavoro?
Tutti i membri della troupe hanno dato un contributo fondamentale con un impegno e una devozione davvero emozionanti per me. Da mio fratello Oscar che ha costruito la scultura dell’albero e si è occupato di tutta la scenografia, alla truccatrice Sara Campagnari che ha studiato il make up, alla troupe tecnica composta da Alberto Sturiale come capo elettricista ed Enrico Simoni come capo macchinista. Massimo Costanzi, il direttore della fotografia, ha dato l’apporto più significativo: non solo ha creato questa splendida atmosfera con le poche luci che avevamo a disposizione e si è occupato di tutte le riprese come operatore ma ha unito tutta la troupe contribuendo a creare un’atmosfera piacevole e rilassata per tutta la lunga lavorazione del video. Il lavoro con lui è stato il più soddisfacente.

Entriamo un po’ nel tecnico: come è stato girato il videoclip e quali sono le caratteristiche salienti del lavoro svolto?
Il video è stato girato in HD con una Canon 5D in circa 20 ore di ripresa. Avevamo solo un giorno a disposizione e alla mattina la scenografia non era ancora pronta di conseguenza abbiamo avuto dei gravi ritardi. A parte questo primo inconveniente, si è svolto tutto senza problemi. Diciamo che la caratteristica saliente del lavoro è stata la pre-produzione: circa un mese e mezzo di documentazioni, disegni, provini, preparazione di sculture, elementi di scena; la post-produzione invece è stata più leggera anche se ho fatto un po’ impazzire il montatore, Andrea Sonzio, con diversi cambiamenti.

Tornando al soggetto del video, il bizzarro gioco di simmetria indica l’idea del personaggio ed il suo doppio: puoi spiegarci il significato?
I due attori rappresentano la stessa persona, c’è un unico personaggio che compie le stesse azioni ma in maniera diversa. Volevo rappresentare la specularità insita in tutti gli elementi della natura: dall’uomo, ai rami dell’albero, alle ali della farfalla, e come questa si riproduca all’infinito come suggerisce il finale. E’ come quando si osservano le venature di una foglia: la stessa linea è ripetuta innumerevoli volte.
Credo che i due attori abbiano incarnato perfettamente questo concetto e la loro interpretazione è risultata molto naturale; Guglielmo (Cappiotti, macchia nera in volto) non aveva mai recitato prima mentre Domenico Curci è un vero attore nonché mio interprete preferito, siamo già al terzo video insieme, con lui ogni scena diventa speciale, ha un non so che di malinconico che mi appassiona sempre.

Può apparire banale, ma per un brano dal titolo Il cielo l’immediata associazione figurativa è appunto uno spazio aperto, al contrario è stato scelto un luogo angusto, povero di luci. L’unico riferimento al quale riesco ad appigliarmi sono le farfalle e loro bellissima rielaborazione nel video. Cosa rappresentano nella loro versione fisica ed in quella rappresentata nei centinaia di fogli appesi alla parete?
C’è un passaggio nel testo della canzone “uomo racconta la tua storia”: avevo bisogno di rappresentare visivamente questa storia senza ricorrere ad esempio ad una penna che scrive su un foglio. Cercavo qualcosa di interessante, un essere vivente in grado di muoversi liberamente nell’aria; la farfalla con l’ala malata che viene riparata per poter volare di nuovo mi è sembrata una scelta appropriata. Inoltre quella determinata specie ha dei meravigliosi colori che ricordano un cielo al tramonto (si chiama infatti Sunset Moth ed è in realtà una falena: vive solo di notte). La sua versione “cartacea” non è altro che l’essenza speculare di quella fisica, proprio per rispettare quel concetto di doppio che pervade tutto il video. Ci sono centinaia di fogli: ha/hanno riparato e salvato centinaia di farfalle e lo faranno eternamente.

Il videoclip legato al brano dei Karma era un bellissimo e semplice omaggio al fenomeno del grunge, dove i musicisti incarnavano una tendenza, o comunque un modo di vivere la musica e non solo. Ora la questione è diversa: con i Facciascura, slegati da questi fenomeni culturali, c’è stato modo di narrare anche con il videoclip. Pensi che sia questo il vero ruolo dei videoclip musicali, o si tratta di un caso “fortunato”?
Il videoclip è un ottimo strumento espressivo per un videomaker e sarebbe bello se si potesse sempre narrare una storia in modo artistico; purtroppo ciò non è spesso possibile. Nella stragrande maggioranza dei casi al videoclip si chiede solo di essere un veicolo promozionale base, ossia mostrare bene i musicisti e farli sembrare più belli possibile, e se non c’è una storia poco importa perché comunque porterebbe via più soldi e più tempo. Tutto ciò è sbagliato secondo me: investire artisticamente ed economicamente in un videoclip è importante in quanto più lo rendi interessante più accresci la pubblicità alla canzone e all’artista stesso; sembra un concetto scontato ma spesso in realtà non lo è. Inoltre narrare una storia, magari anche slegata dalla musica, non fa che allargare l’universo della canzone stessa rendendola più spendibile anche in altri contesti.

Il cielo – Video

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Il nido (videoclip): intervista a Lorenzo Vignolo http://www.losthighways.it/2010/12/13/intervista-lorenzo-vignolo/ http://www.losthighways.it/2010/12/13/intervista-lorenzo-vignolo/#comments Sun, 12 Dec 2010 23:54:48 +0000 http://www.losthighways.it/?p=12392 Una luce calda, metafora del cuore e del legame. Sfida il grigio del cemento e il rumore del traffico.
Il nido contro la velocità urbana. Fatto di oggetti-memoria, di sguardi complici, di fiori- speranza, di silenzi-parola.
Così scorrono i minuti che la regia di Lorenzo Vignolo inventa per il videoclip del primo singolo estratto da Nuove esperienze sul vuoto ovvero secondo capitolo solista di Lele Battista. Abbiamo incontrato Vignolo, per entrare ancora una volta nel suo mondo speciale. Se la poesia vive di piccole cose e gesti lenti, questo video vi sorprenderà perchè ne respira come un incanto, come l’Amore possibile.

Il nido è un brano di grande intensità e intimità. Raccontami la location…
Quando ho ascoltato per la prima volta Il nido ho avuto da subito ben chiaro come poteva essere il video. Per certi versi mi era venuta in mente un’atmosfera che avrebbe proseguito il percorso iniziato con il nostro precedente Le ombre. Forse il suo fratello diurno. Le parole mi facevano venire in mente un paesaggio urbano e ho immaginato un piccolo loft nel bel mezzo di una strada di città, le cui pareti sarebbero stati i palazzi e i cui limiti sarebbero stati i marciapiedi. Con Angelo Stramaglia, produttore e direttore della fotografia, abbiamo vagliato molte soluzioni logistiche, ma alla fine, per uno strano destino, abbiamo girato a pochi metri dal luogo dove girai Le ombre, giusto ad un “piano superiore” di Genova, sotto la sopraelevata. Questa enorme strada, che taglia la città, può essere un monumento orribile o meraviglioso a seconda dei punti di vista. Quel che è certo è che regala ai passanti una lunga e inimitabile panoramica sulla città e il suo porto. Noi abbiamo girato lì sotto, nel punto in cui si interseca con il ponte dell’elicoidale. Un groviglio incredibile di strade, cemento e rumore. Ma non è forse vero che i nidi si trovano nei posti più inaspettati?

Tutti quegli oggetti, d’arredo e di memoria, contribuiscono a richiamare un clima personale. Da chi sono stati scelti?
Una delle priorità nella scelta della location era quella di girare in un luogo facilmente raggiungibile da uno scenografo di gusto. Gli oggetti della casa erano estremamente importanti. Girando a Genova mi sono accorto che la persona più adatta per questo lavoro delicato poteva essere proprio la mia compagna Serena Zanardi, che dedica la sua vita all’arte contemporanea, facendo mostre in cui coesistono scultura, pittura, fotografie e arti visive. Lei ha preso in mano la situazione, un giorno siamo andati a trovare Lele nel suo bellissimo appartamento a Milano, con vista sulla città delle ombre. Poi siamo andati tutti insieme in un luogo immenso, dopo Monza, dove vendono mobili e oggetti di seconda mano, abbiamo trovato soluzioni bellissime e capito quale fosse la direzione da perseguire. In realtà tutto il lavoro di ricerca di Serena si è concentrato sul levante ligure, da amici comuni. Ha scelto i pezzi uno ad uno, è perfino andata in un bosco il giorno prima a strappare interi cespugli da seminare qua e là nel marciapiede, trovato oggetti particolari, come il cartello dei gelati anni ’70, ha tagliato una lampadina e l’ha riempita d’acqua, una sua personalissima interpretazione di “esperienza sul vuoto”. Altri bellissimi oggetti sono presenti tra i frames, perfino i fiocchi che volano nel video sono opera sua. L’elenco sarebbe molto lungo. Qualche oggetto è arrivato anche direttamente dalla casa di Lele: il pianoforte, che abbiamo voluto riprendere nella sua meravigliosa versione scoperchiata, è proprio il suo.

Dal video emerge un messaggio molto importante: il legame vince la velocità, il cemento, la distrazione…
Se sei in grado di crearti un nido e lo vivi, tutto il contorno passa in secondo piano. Allo stesso tempo la poesia che racchiudi dentro, trovando il luogo dove esprimersi, si estenderà contaminando tutto ciò che è intorno e il “secondo piano” diventerà necessariamente parte di questa bellezza. Abbiamo vissuto un briciolo di questo anche sul set, i cronisti che sono venuti non capivano come potessimo aver scelto uno degli scorci più degradati e rumorosi di Genova, ma durante le riprese un po’ di magia è entrata. Intorno a noi gli automobilisti e i passanti  iniziavano a fermarsi, a interrogarci e ritornavano a sbirciare.

Ami leggere i volti delle persone. Cosa ti hanno detto il volto di Lele e quello della protagonista?
Il volto e il corpo di un musicista sono spesso trasfigurati nel momento in cui interpreta un pezzo molto sentito. Ce ne accorgiamo spesso ai concerti dei nostri musicisti preferiti, così succede per quello di Lele. Rispetto al video de Le ombre,  volevo dare più spazio al volto di Lele, ritengo sia la miglior firma visiva della poetica che riesce a racchiudere in note e parole. In generale, col tempo i miei video si sono avvicinati sempre più ai volti dei musicisti, utilizzare una macchina fotografica leggera invece di una pesante macchina da presa, mi ha aiutato molto. Questo è senz’altro il videoclip dove ho indugiato maggiormente sotto questo aspetto, ma il video è anche segnato da una presenza femminile importante, quella di Elisabetta che accettato di farsi riprendere e di accompagnare Lele anche in questa avventura.

In questo video la luce è molto calda. Raccontami le scelte che hai seguito in proposito…
Questo è un video particolarissimo, per la prima volta, in accordo con Angelo Stramaglia, non ho fatto alcuna color correction. Tutto ciò che si vede è l’immagine “flat” esattamente come è stata girata. L’immagine è sempre sporcata dalla cosiddetta “luce in camera”, a volte c’è quella della luce del sole, che è la più arancione, a volte sono le luci che faccio tenere sul set e sparo direttamente nell’obiettivo. In questo video eccezionalmente ci sono anche alcune luci che ho ripreso in un secondo momento passando una torcia davanti all’obiettivo su sfondo nero e che poi ho applicato al montaggio. La luce in macchina è volutamente l’elemento che scalda di più la temperatura dell’immagine, uno dei miei più caldi di sempre, ma la base è piuttosto neutra e tendente al freddo.

Gli ultimi fotogrammi sembrano estrapolati da un film e non da un videoclip!
Sì, è tratto da un lungometraggio di fantascienza di prossima uscita in cui Lele è protagonista insieme a Ted Danson… no, scherzo!

Lo so che scherzi! Scegli tu una sola parola per questo videoclip.
Vediamo… sono indeciso tra “sottosopraelevato” e…. “nido”!

Credits
Regia di Lorenzo Vignolo
Produttore: Starlight Film Factory per Mescal s.r.l.
Produttore esecutivo: Angelo Stramaglia
Dr. di produzione: Enrico Bonino
Fotografia: Angelo Stramaglia
Montaggio: Larry Wine
Scenografia: Serena Zanardi
Durata: 3′.45″/stereo
Anno: 2010

Il nido – Video

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