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Mezmerize – System of a Down

System of a Down - MezmerizePrimavera 2005. Avevo ventun anni, una Peugeot 205 che ufficialmente era di mia madre, ma che guidavo praticamente sempre io. Bastava trovare una scusa qualsiasi per uscire di casa e partire: non importava dove andassi, l’importante era muovermi con la musica giusta a bordo. Ogni CD infilato nello stereo diventava un compagno di viaggio, un rifugio, una colonna sonora per l’età in cui tutto sembra ancora possibile. E poi è arrivato Mezmerize. Non ricordo dove lo comprai, ma ricordo bene la prima volta che lo ascoltai in macchina, da solo, con i finestrini sigillati e il volume alto quanto bastava per ignorare il mondo esterno. Già dalle prime battute capii che non era un album qualsiasi. I System of a Down erano già noti per la loro capacità di mescolare potenza e sarcasmo, impegno e follia. Ma qui facevano un salto ulteriore: Mezmerize era breve, compatto, ma sembrava contenere dieci dischi in uno. Un concentrato di urgenza creativa, di ironia tagliente, di ritornelli che ti restavano in testa e strofe che ti scuotevano l’anima. Ogni traccia era un pugno nello stomaco e un’occhiata complice.
B.Y.O.B., con quell’attacco che sembrava uscito da un videogioco e poi si trasformava in una marcia arrabbiata, era impossibile da ignorare. C’era qualcosa di assurdo e geniale nel modo in cui urlavano “Why do they always send the poor?” trasformandolo in un ritornello pop. Una critica feroce travestita da festa, come se ti costringessero a ballare mentre ti aprivano gli occhi. Revenga e Question! oscillavano tra lirismo e furia, tra rabbia e delicatezza. Ti obbligavano a restare lì, incollato all’altoparlante, a cercare di capire dove volessero andare a parare, salvo poi sorprenderti con un cambio di tempo, un arpeggio orientale, un coro surreale. Il caos non era mai casuale: era calcolato, costruito, necessario. Poi c’era Cigaro, il brano che ti faceva sentire di più la loro irriverenza, la totale assenza di compromessi. Le sue chitarre taglienti e la voce furiosa di Serj Tankian sembravano un invito a sfidare ogni autorità, ogni convenzione. Un inno anarchico che, pur tra il sarcasmo e il cinismo, riusciva a essere incredibilmente divertente, ma anche un po’ inquietante. Eppure tutto funzionava: il caos diventava una forma di liberazione. E Lost in Hollywood, la chiusura amara e malinconica, quasi sussurrata. Una canzone che rallentava tutto, come se il gruppo stesso sentisse il bisogno di respirare, di lasciarti con una riflessione più intima. Un saluto disilluso che, paradossalmente, era forse il momento più sincero dell’intero viaggio.
Riascoltarlo oggi, a distanza di vent’anni, è come risalire su quella vecchia 205, con i sedili consumati e lo stereo un po’ ballerino, ma ancora capace di farti battere il cuore. Mezmerize è invecchiato bene. Ha mantenuto intatta la sua energia, la sua urgenza, il suo spirito dissacrante. Non sembra figlio di un’altra epoca: sembra semplicemente un disco fuori dal tempo. E quella macchina, la mia vecchia compagna di strada, non c’è più da un pezzo. Ma ogni volta che parte B.Y.O.B. o Radio/Video, è come se tornasse a vivere per un attimo, tra le curve della memoria. Buon compleanno, Mezmerize. Dopo 20 anni sei ancora un gran casino. E io ti voglio ancora bene come allora.

Credits

Label: American Recordings – 2005

Line-up: Serj Tankian (voce, tastiera), Daron Malakian (voce, chitarra), Shavo Odadjian (basso) e John Dolmayan (batteria).

Tracklist:

  1. Soldier Side – Intro
  2. B.Y.O.B.
  3. Revenga
  4. Cigaro
  5. Radio/Video
  6. This Cocaine Makes Me Feel Like I’m On This Song
  7. Violent Pornography
  8. Question!
  9. Sad Statue
  10. Old School Hollywood
  11. Lost In Hollywood


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