In occasione dell’uscita dell’ottavo album solista di Tim Bowness, abbiamo approfondito le tematiche e gli aspetti compositivi di Powder Dry in un’intervista speciale. Tim Bowness è noto soprattutto per essere la voce del progetto No-man, che condivide con Steven Wilson, e per collaborazioni internazionali (come con la nostra Alice). Tim Bowness è un notevole songwriter ma anche un grande compositore di ambientazioni che oscillano tra elettro-pop e industrial rock. Ama i chiaroscuri, i rimbalzi bellezza-orrore come accade spesso nei sogni e nel cinema di David Lynch.
Iniziamo prima di tutto dal titolo. Perché Powder Dry?
Powder dry è anche il titolo di un brano del disco. Proviene da un vecchio modo di dire inglese “Mantieni le polveri asciutte prima di agire“. Quindi è come dire “mantieni la calma”, ma il brano parla proprio di una persona che non riesce a mantenerla. Le strofe della canzone sono abbastanza melodiche e abbastanza dolci per poi esplodere in rabbia nei ritornelli. In un certo senso rappresenta concettualmente l’album. Viviamo in un’epoca molto divisiva, politicamente. Viviamo in un periodo piuttosto violento a livello globale con Gaza, Israele, Ucraina, Russia. L’album parla di chi vive in questi tempi molto turbolenti, ma che cerca di mantenere il controllo delle proprie emozioni, del proprio temperamento, e di vedere tutto in un modo più obiettivo ed equilibrato. Quello che ci serve è appunto conservare il nostro senso di equilibrio e non lasciare che il mondo ci faccia deragliare definitivamente.
Quali sono le principali differenze in termini di suono tra il tuo penultimo lavoro Butterfly Mind e quest’ultimo? Questo album sembra definirti maggiormente…
La differenza principale consiste nel fatto che in questo disco ho scritto, prodotto e suonato tutto. E di solito questo è il mio approccio con i demo. Io ho sempre realizzato da solo i demo per i No Man o per i miei altri album solisti. Questo è semplicemente il mio modo di suonare le mie idee. Questa volta è stata la prima volta che ho pubblicato/mantenuto questo approccio anche sul disco finale.
L’idea era quella di non perdere l’intensità dei demo, che forse si ottiene quando si suona tutto da soli. Tendo a scegliere musicisti migliori di me, ma forse c’è una qualità nel mio modo di suonare che mi rappresenta fino in fondo. Quindi, in un certo senso, è stato così, è stato seguire le mie idee dall’inizio alla fine. Questo ultimo lavoro è molto diverso in quanto sono interamente io e mi è sembrato il momento giusto per fare qualcosa del genere.
Dal punto di vista dei testi, questo disco sembra un viaggio introspettivo di un uomo che è alla ricerca di emozioni legate al passato, in una sorta di fuga dall’ineluttabile nulla del presente sullo sfondo dell’apocalisse ecologica e degli estremismi ideologici..
Trovo interessante questa lettura anche se i testi riguardano personaggi diversi, come punti di vista di un sentire umano in generale. C’è anche il futuro. C’è la paura dell’eco-apocalisse. C’è il presente in cui le persone sono divise dalla politica, dalle credenze e così via. E poi ci sono anche persone che sono così spaventate dal presente e dal futuro da perdersi nel passato con quella nota di nostalgia, che citi. Ci sono personaggi che forse non riescono a gestire la vita nel presente e si perdono nel passato a causa di questo. Spesso anche nei miei testi degli altri lavori ci sono aspetti nostalgici, perché penso di essere sempre stato attratto da ciò che abbiamo perso, sia a livello personale che come società.
Mi affascina il legame tra le dimensioni del tempo.
L’estate ricorre in due canzoni: When Summer Comes e Summer Turned. Cosa significa l’estate per Tim Bowness?
L’estate in Inghilterra porta con sè tristezza e nostalgia perché raramente coincide con il bel tempo. Ricordo le disastrose vacanze scolastiche che erano la promessa di qualcosa di speciale che però non è mai avvenuto. When Summer Comes è una delle canzoni più nostalgiche dell’album. Parla di qualcuno che ha vissuto un’esperienza terribile e ha promesso a sè stesso di cambiare, ma sappiamo che non accadrà. Commetterà lo stesso errore ancora e ancora. Summer Turned è una canzone piuttosto politica. Parla della Primavera di Praga del 1968 nella Repubblica Ceca, usando due persone che hanno una storia d’amore. Quindi, da un certo punto di vista, è una canzone d’amore davvero felice in cui due persone si divertono come non mai mentre la Repubblica Ceca sta diventando più libera. Ma man mano che la canzone va avanti, ti rendi conto che ci sono carri armati sovietici intorno a Praga che stanno per trasformare questa storia d’amore e questa libertà. In generale la canzone evoca la sensazione contemporanea che le nostre libertà siano più fragili di quanto pensassimo.
Quali sono i principali riferimenti del passato dal punto di vista musicale di questo disco? Io ci ho visto molto il David Bowie della trilogia berlinese e Sparklehorse per alcune canzoni come A stand up for the dying e This way now…
Ho letto la tua recensione e ho pensato che fosse molto, molto buona. Hai colto certe influenze. Penso che ci sia un certo periodo, dalla fine degli anni ’70 all’inizio degli anni ’80, in cui molti artisti producevano un lavoro molto fluido e creativo. E penso che tu abbia ragione. La trilogia berlinese è stata un’enorme influenza per me, lo è sempre stata, ed ho adorato anche l’ultimo lavoro di Bowie, Blackstar. Lo trovo un lavoro brillante. Tornando al periodo berlinese, quello è stato un periodo molto eccitante e rivoluzionario. E il suo uso dell’elettronica era unico. Quindi sì, quello era sicuramente nel mix di Bowie, Fripp, Eno, anche, sai, alcuni della fine degli anni ’70, quella combinazione di qualcuno come Peter Hamill della vecchia scuola o John Fox della nuova scuola, dove questi artisti erano in una posizione simile. Ma provengono da contesti diversi. Sì.
Ma ho intercettato anche qualcosa di Trent Reznor…
Sì. Interessante che tu lo dica perché sono un grande fan dei Nine Inch Nails. Hai colto, soprattutto quelle influenze di The Downward Spiral e The Fragile. Ci sono così tanti elementi che mi piacciono nella loro musica. Adoro l’uso dell’elettronica che si scontra con una sorta di musica rock organica. Trent Reznor combina bellezza e orrore in maniera magistrale. Cosa che riesce a David Lynch nelle immagini.
Lost Highways deve il nome e l’attitudine a Lynch…
Per me, David Lynch è un grande genio. Ho scoperto David quando ero un adolescente, ho visto Eraserhead e sono rimasto assolutamente sbalordito. Era diverso da qualsiasi cosa avessi visto prima. Sono un grande fan di tutta la sua filmografia, da Velluto Blu a Lost Highway e così via. E ovviamente senza dimenticare Twin Peaks. Quello che amo di David Lynch è che poteva produrre cose che sono di una bellezza inquietante e poi distruggerle con una singola idea o inquadratura. Penso a Velluto Blu, dove vedi quel bellissimo giardino e poi la telecamera ti porta sotto il giardino e vedi i vermi e l’orecchio. E si passa da qualcosa di normale e bello a qualcosa di orribile e cupo. Registi come Lynch hanno sicuramente avuto un’enorme influenza sul modo in cui vedo la musica, il cinema e l’arte.
Per quale film del passato il tuo album potrebbe essere la colonna sonora?
Ottima domanda. Con la mia musica vado in periodi diversi. A volte passo attraverso periodi in cui è molto più simile a una sorta di istantanea in bianco e nero. È quasi come i film britannici degli anni ’60. Penso a Billy Liar o a Look Back in Anger. E a volte ha un’istantanea molto domestica, quasi sociologica. E poi altre volte c’è questo tipo di approccio panoramico e colorato che va dalla bellezza all’oscurità, che penso sia più alla Velluto blu. Questo album è decisamente sulla scia di David Lynch. Un film che amo e di cui mi sarebbe piaciuto realizzare la colonna sonora potrebbe essere Magnolia.
Sì, molto bello. La famosa scena della pioggia di rane dal cielo è una scena incredibile.
Penso che per quel tipo di film mi piacerebbe realizzare una colonna sonora perché è molto personale, molto emotivo, ma poi parla di qualcosa che va ben oltre i personaggi. C’è qualcosa che accomuna tutti. È complesso. È strano. Eppure è anche abbastanza personale. C’è uno spazio d’azione, ma non perde mai di vista l’intimità.
Steven Wilson in questo album?
Steven ha solo mixato l’album.
Quindi nessun suggerimento in termini di produzione?
No! Steven è straordinario. Mi fido di lui. Io riesco a mixare fino ad un certo punto. Se sto facendo un lavoro più ambient o un lavoro semplice, riesco a fare un mix. Steven può portare a compimento le idee. Lui è molto bravo in questo. Ma questa volta è stato anche molto bravo nel convincermi che in questo album non doveva intervenire nessuno, che doveva essere il mio album solista. Quando io pensavo a contributi al sassofono o alla chitarra… lui mi ha detto: “no, vai esattamente con quello che hai!”. Quindi è stato davvero incoraggiante in questo senso. “Attieniti alla tua idea originale!”: sono state le sue parole più importanti. E l’unico tipo di contributo che ha dato, direi in un paio di tracce è stato un taglia e incolla… ha suggerito di allungare qualche ritornello per far funzionare meglio il brano.
Quindi è stato un contributo a livello di assemblaggio…
Solo su un paio di pezzi, in realtà perché tendevo a ridurre io stesso le cose ed avevo alcune demo più lunghe e magari tagliavo troppo. Ogni pezzo ha una sua vita. Penso che ogni pezzo sia abbastanza distinto l’uno dall’altro. Volevo che questo disco funzionasse come un album di 40 minuti, quasi come un continuo flusso di coscienza in cui passare da uno stato d’animo all’altro molto rapidamente prima di annoiarsi. E quando stavo mettendo insieme l’album, spesso tagliavo le lunghezze delle tracce. Il periodo di tempo più lungo che ho trascorso su questo album è stato scegliere la sequenza giusta, perché avevo scritto circa 30 pezzi e ne ho eliminati molti. E a volte lasci cadere anche il materiale migliore perché vuoi che l’album scorra in un certo modo. Questo è stato il periodo di gestazione creativa più lungo.
Uscirai anche con una versione Dolby surround del disco. Cosa aggiunge lo spatial-sound in termine di fruizione dell’ascoltatore?
Steven fa ottimi mix surround ed Atmos perché è molto musicale. Quando ascolti un surround a 5.1, è tutto per l’effetto. Sai, è un po’ come se fosse un suono più avvolgente e tridimensionale. Quello che mi piace dei suoi mix 5.1 e Atmos è che sta cercando di creare un’esperienza musicale totale in cui ti perdi. E sì, penso che come al solito, abbia fatto un lavoro particolarmente meraviglioso.
Sì. Io credo che è il vero futuro per la musica perché forse è l’unico modo, diciamo, per creare un contatto molto diverso in termini di esperienza audio per l’ascoltatore. Quello che forse è stato un pò perso con l’approccio dello streaming per le nuove generazioni. Potrebbe essere un riavvicinamento all’acquisto della musica su supporto fisico..
Lo spero, perché penso che inconsciamente le persone quando fruiscono musica in streaming per il semplice fatto che sia quasi gratuita non prestano la necessaria attenzione nell’ascolto. E penso che ci sia una connessione importante tra il fisico e la musica. Io compro ancora CD, ancora vinili, e in parte è perché quando ho comprato quel disco, ci passo più tempo. Molta della musica che amo, inizialmente non mi piaceva. E forse perché l’ho comprata, ho insistito e insistito e insistito nell’ascolto. E penso che a volte ti faccia lavorare di più il cervello ed il cuore. Quindi sì, personalmente, sono un grande fan dei supporti fisici, quindi spero che tu abbia ragione.