“Perchè siam tutti soli ed è nostro destino tentare goffi voli d’azione o di parola, volando come vola il tacchino…”
Se esistono le categorie, quella dell’artista è la categoria più ambigua. Di chi partorisce figli di emozioni e per questo può essere osannato o distrutto. Ed è l’unica categoria nella quale questi figli possono essere vivisezionati, scrutati e scavati da chiunque. Senza rispetto o con troppa devozione. Snaturando il senso, che è la naturale creazione. C’è chi è artista e chi non lo è per mancata convinzione, per mancata visione. Perché ognuno può tutto, se lo sa vedere. Se ammette il senso della parola Tutto in contrapposizione al niente.
La prima volta che ho ascoltato L’avvelenata di Guccini ho percepito l’ironica tristezza dell’incomprensione. La solita rassegnazione dietro ad un messaggio non colto o addirittura stracciato. Ho letto la pazienza e la lotta dolcemente feroce. Le vene sulle tempie gonfie di rabbia e di costruzione. Di amore. Banalmente. Di amore. Di godimento nell’ostinazione. Ostinarsi e godere, e tollerare, e umiliarsi con la dignità dei poveri affamati di maestà e di regni a piedi scalzi.
Via Paolo Fabbri 43 è un album che parla di scelte e di conseguenze, di Vita nella concezione più ampia che conosciamo. Di nauseante dovere e responsabilità, ed esilarante ed inebriante libertà di esser folle, di essere fallibile umano.
Piccola storia ignobile è, come ogni brano di Guccini, una vera e propria storia. Che crea immagini e riflessioni. Il tema è quello dell’aborto. Di quanto possa passare in secondo piano il dolore di chi deve decidere per se stessa e per qualcun altro, mentre il mondo intorno cuce atteggiamenti su una vita piatta e falsa per non essere giudicato, per non perdere una dignità mai avuta. Pesando le azioni senza immedesimarsi. E seppellendo il dolore nel silenzio. Rassicurante più delle urla.
Canzone Di Notte N. 2 è un brano contro il potere, scritto al buio nell’illuminazione più folgorante. Dove Bologna è lo scenario rosso di vino e di compagni di passi lenti, sentendosi diversi e identici. Sentendosi soli, cercando le proprie colpe per rimediare ed essere degni di vivere un nuovo giorno da sovrani di se stessi. “ognuno costruisce il suo sistema di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali, scordando che poi infine tutti avremo due metri di terreno…”.
Ed ecco L’avvelenata, purissima e corrotta dalla vita. Estrema ed estenuata, la necessità e il diritto di esprimersi senza paure. Liberi di pensare ed essere pacificamente ribelli e normalissimi. Brano che nasce come risposta, cinica ed ironica, a Riccardo Bertoncelli, che nel 1975 scrisse su Gong una recensione dell’album Stanze di vita quotidiana, stroncandolo. Nasce da lì la necessità di sorridere alle critiche e scrollarsele di dosso, perché niente si può insegnare se non si ha la volontà di imparare. Che senso ha rompere strutture fragilissime e far finta di non vedere i propri mostri? Quanto è vigliacco distruggere con le mani il frutto emozionale di altre mani? Chi può giudicare la bellezza se nessuno la possiede, la conosce? Rispondere ad una critica non è sempre e solo dettato dall’orgoglio ferito, dalla presunzione. Così come non è sempre difesa, protezione. Ma è reale presa di coscienza, convinzione, che nulla nasce dal nulla, che l’arte si può scegliere, come la vita. Che la saccenteria è mancanza di potenza. E’ rabbia grigia di bende e di bavagli. “Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po’ di milioni, voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i coglioni… Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate! “
Molti artisti hanno sottolineato la triste propensione al niente di alcuni giornalisti. Per citare una figura costante nella nostra rivista, lo stesso Paolo Benvegnù nel brano Giornalismo, con il quale si è presentato al V-Day di Beppe Grillo il 25 Aprile, parla di questo. “Adoro questo post capitalismo, stiamo inventando la turbo informazione…sapere tutto e non capire niente…”, ma anche la più popolare Vado al massimo di Vasco Rossi è una reazione a quei giornalisti che lo avevano giudicato un incapace ed un drogato, “meglio rischiare che diventare come quel tale che scrive sul giornale…”, oppure Milano e Vincenzo di Alberto Fortis, che fa riferimento a Vincenzo Micocci, discografico e talent scout, che negli anni ’70 fondò a Roma la IT, una casa editrice ed un’etichetta discografica che vide anche il debutto di Venditti e di De Gregori, ma che aveva come radicata abitudine quella di mettere sotto contratto giovani musicisti senza mai, magari, produrre un loro lavoro. E a questo ingiusto trattamento si ribellò Fortis. “Oh Vincenzo io ti ammazzerò, perché sei troppo ladro per amare.”.
E proprio a proposito di Venditti e De Gregori, nel brano seguente, Via Paolo Fabbri 43, che dà il nome all’album e che è l’indirizzo reale di Guccini, all’epoca, c’è un chiaro riferimento polemico ai due cantautori e a De Andrè, evidente nella citazione dei nomi femminili portati in auge dai loro successi: “La piccola infelice [Lilly] si è incontrata con Alice / ad un summit per il canto popolare. / Marinella non c’era, fa la vita in balera, / ed ha altro per la testa a cui pensare.”.
Anche qui è evidente l’ironico rancore per i critici. “Gli arguti intellettuali trancian pezzi e manuali,
poi stremati fanno cure di cinismo. (…) ma pensa se le canzonette me le recensisse Roland Barthes!”
Ma vanta anche momenti dolcissimi nella quotidianità di un canto che è Guccini in tutto e per tutto. Sprezzante e morbido, glaciale e bruciante. “Se tutto mi uscisse, se aprissi del tutto i cancelli, farei con parole ghirlande da ornarti i capelli, ma madri e morali mi chiudono…”
E poi c’è Canzone quasi d’amore, che è la conferma di quanto sia indiscutibile un moto di mille sensazioni, di quanto basso sia sparare sui voli e godere della caduta. Ma non si può macchiare la verità narrata dagli angoli, la meraviglia delle riflessioni di un contadino di dolori. “Non posso farci niente e tu puoi fare meno, sono vecchio d’ orgoglio, mi commuove il tuo seno e di questa parola io quasi mi vergogno…” Lo stesso Guccini schietto e a tratti scurrile, comprende e insegna la sacralità dietro ad un’immagine e la purezza di una parola quasi impronunciabile.
L’album si chiude con Il Pensionato, in cui è commovente ogni singolo fotogramma che ci riporta alla mente ogni sconosciuto passeggero nella nostra vita troppe volte distratta.
“Io ascolto e i miei pensieri corron dietro alla sua vita, a tutti i volti visti dalla lampadina antica.”
E ancora sgorga furente la considerazione che se l’uomo si accostasse all’uomo con rispetto e tenerezza, e stupore per la vita e per il respiro non nostro, non ci sarebbe nulla di ciò che smantella l’opera esatta di chissà quale Dio, né la stupida pretesa di un piccolo uomo di essere onnisciente e di scolorire il viso acceso dell’arte.
Credits
Label: EMI Italiana – 1976
Line-up: Ellade Bandini (batteria) – Francesco Guccini (chitarra acustica) – Riccardo Grigolo (armonica a bocca) – Deborah Kooperman (chitarra, banjo) – Massimo Luca (chitarra classica) – Alfredo Mancini (armonica a bocca) – Giorgio Massini (chitarra elettrica, flauto dolce, dulcimer) – Maurizio Preti (percussioni) – Ares Tavolazzi (contrabbasso, basso elettrico) – Vince Tempera (tastiere acustiche, elettriche, elettroniche) – Maurizio Vandelli (chitarra, tastiere).
Tracklist:
- Piccola storia ignobile
- Canzone di notte n. 2
- L’avvelenata
- Via Paolo Fabbri 43
- Canzone quasi d’amore
- Il pensionato
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