La vista notturna del porto di Brindisi con le sue navi attraccate, le luci adagiate sul velo dell’acqua e soprattutto con quella lentezza e solitudine che, specie d’inverno, sembra contemplare, mi ha sempre suscitato un senso di stranezza, di malinconia forse mista ad un certo disagio. Lo costeggiamo anche stasera per giungere nel posto dove si esibirà un artista inglese che da tempo attendevo con una certa ansia e curiosità e che risponde al nome di Roger Quigley. Non conoscevo il locale in questione e dopo una serie di vani tentativi per le improbabili strade, vie e viottole del centro brindisino, maledettamente affogate di segnaletiche a dir poco diaboliche, finalmente riusciamo a trovarlo.
Davanti alla porta un’insegna, (Filodrammatico C.Goldoni) a introdurci in un posto alquanto bizzarro, che visto dall’esterno dà tutta l’aria di qualcosa a metà tra un circolo ricreativo ed uno scantinato adibito all’arte drammatica. All’interno una sala con dei tavoli ed in fondo un palchetto su cui band e artisti si esibiscono settimanalmente e su cui si intravedono la custodia di un violoncello, una chitarra ed un pc portatile. Seduto al bancone, attrae la mia attenzione un uomo sui trentacinque anni, biondo e dalla corporatura esile e asciutta; beve qualcosa parlando con una ragazza seduta di fronte a lui, anche lei biondissima e sfoggiando un perfetto inglese: non poteva non essere lui, l’uomo di At Swim-Two-Birds. Direttamente da Manchester, Roger Quigley è l’attore protagonista di questo progetto che prende in prestito il nome da una novella irlandese degli anni ’30 sotto la firma di Flann O’Brien, anche se i più forse lo ricorderanno come metà del duo indie-pop dei Montgolfier Brothers o per alcuni lavori solisti prodotti verso la fine degli anni ’90. Roger è un cantautore dalla penna oscurissima e crepuscolare, autore di una musica intimistica e minimale e che, in questa parentesi, si dimostra ancor più spoglia d’ogni contorno e aggrappata soltanto a pochi sottili ritagli acustici, quelli che hanno vestito l’ultimo lavoro anziché il vivere quotidiano di un animo, al solito, troppo sensibile per affrontare il mondo. Ritornano alla mente nei vari brani Nick Cave, Tom Waits o il suo conterraneo Morrissey, maestri sensibili del rock dell’intimismo, eroi controvento dei quali Roger Quigley rappresenta uno degli eredi oggi più ispirati. Alla fine del concerto ti senti ancora troppo fragile per uscir fuori, tornare a tutto il resto, a costeggiare ancora nella via del ritorno quel porto bruno di aspettative e sogni che stasera, per la prima volta, si sarebbe tinto di colori più caldi del solito. Avresti bisogno di più tempo per farlo. Forse giusto il tempo di realizzare di aver assistito al live di uno degli autori più profondi del nostro tempo.