Dieci anni dopo Outsider e dopo tanta musica per il cinema, tra cui quella del pluripremiato Ammore e malavita dei Manetti Bros, Nero Nelson decide finalmente di pubblicare un nuovo album a suo nome dal titolo programmatico Canzoni per tornare insieme o lasciarsi per sempre, registrato all’Auditorium Novecento di Napoli con l’attenta produzione di Gnut, con Fabrizio Piccolo e Paolo De Rosa, per la rinata e storica etichetta Phonotype. Un disco concepito come un (solo all’apparenza spensierato) giro in scooter, anzi in motorino, parola che racconta meglio l’orizzonte geografico e temporale della memoria, personale e di un’intera città, in cui vaga il protagonista, con la leggerezza di un’ironia a tratti surreale, come i semafori di piazza Mazzini, che sfiora garbatamente le corde più profonde della propria interiorità. A partire dall’iniziale Francè, che mette in scena l’allegra malinconia del ricordo di avventure scolastiche, in compagnia di un migliore amico che forse ha imboccato strade sbagliate: “per non restare solo, che era sabato, finisti con quegli altri che se la dovevano sparare“. In Chiagne femmena, ‘o surdato ‘nnammurato ormai reduce dalla Grande Guerra si rivolge ancora alla sua amata con dramma desertico, reso ancor più arido dalla voce prosciugata di Raiz, affranto sotto gli archetti dei violini di Michele Signore che disegnano una passione mai consumata, che brucia e incenerisce con la sua assenza. Pipistrelli è uno scioglilingua a due voci, Nelson e Tartaglia, gustoso elettro pop che sarebbe piaciuto ai Righeira, per una semplificazione anni ’80 (con in mente le mitiche sigle dei cartoon dell’epoca) che affonda nella dimensione del ricordo e poi si complica nel break percussivo, preludio al coro fanciullesco del finale. Poi si spegne la luce e lentamente Tonino si schiude piano con morbido dialogo tra chitarra e violino, imbastendo una ballata avvolgente scaldata dal timbro assorto di Gnut, e suonerebbe quasi come un inedito dall’ultimo suo album se Nelson non raccogliesse la seconda strofa con voce diametralmente opposta e un diverso tono di affetto, dando una sterzata all’atmosfera che, senza stravolgere la struttura armonica, la indirizza verso il vissuto di quotidiana sofferenza del protagonista del brano: “je nun ce credo ca piglia ‘a pensione pecché tene ‘e pensieri scuncicati“. Non devi avere paura, a dispetto della sua concisa brevità, scorre come in un viaggio estivo in autostrada, col ritmo della strada libera al tramonto verso una sfida da affrontare con coraggio, in esortazione corale. Luce in cucina plana sui tasti d’un piano elegante in giro armonico circolare per sussurro affranto, da cui si stacca un ritornello accorato, da poter urlare piangendo, pensando a quei piccoli gesti all’apparenza insignificanti che invece nutrono silenziosamente l’amore. Ragazzo mio torna ai ricordi dell’adolescenza, alla sua fine e alla scoperta della fine: “nessuno ce l’aveva detto che poi Maradona sarebbe caduto sotto il peso del gesto compiuto“. Ha un gusto obliquo per il racconto che rimonta a Rino Gaetano, come il brio delle strofe scosse da un refrain che si fa imperativo, colpendo alle viscere con forza e speranza, “non mi son più suicidato“. L’addore forte d’o mare con la sua trama dolorosa svela una certa affinità coi Foja che modernizzano La Gatta Cenerentola, ondeggiando in balia di una corrente contraria, mentre L’amore non basta è una ballata aperta come negli episodi più solari di Claudio Lolli, che lentamente sale nel suo ironico disincanto, di misurate chitarre sanguigne, canto ebbro e quieta disperazione, “maledico le 10000 canzoni che mi hanno fatto credere questo“. La divertente Carta igienica rimanda al sarcasmo spregiudicato di certo noir nostrano alla Buscaglione con sound western da saloon sgangherato e voce alcolica che ricorda Capossela per l’approccio istrionico. Le chiavi di casa precipita il nostro in un vortice di smarrimento sommesso che gravita intorno a due note acute ripetute con ritmo ossessivo dall’inizio alla fine del brano. E quello che un attimo prima era un deserto nordamericano diventa sabbia del Mediterraneo con l’intervento di percussioni saettanti, sostegno di una voce disperata, che rischia di annegare e si aggrappa alle fioche luci di chitarre argentine, che scintillano sulla superficie dell’acqua. Il finale è affidato alla trama sbilenca di L’IVA e l’amore, monologo d’amore, dichiarazione e ringraziamento, che procede per piccoli sbalzi, tra una chitarra arpeggiata piano e una fisarmonica lenta e distante, per una drammatica e forse ineluttabile consapevolezza, “come vedi in fondo è tutto qua, amarsi e alzarsi alle sette, spegnere le sigarette“. Ma scesi dal motorino sul quale siamo saliti all’inizio dell’ascolto la sensazione che rimane è invece quella di essere felicemente vivi, refrattari alla cenere che abbiamo raccolto per strada, pronti a partire per un altro giro.
Credits
Label: Phonotype – 2025
Line-up: Alessandro “Nero Nelson” Garofalo (chitarra, voce) – Claudio “Gnut” Domestico (chitarra, voce, cori) – Raiz (voce) – Tartaglia (voce) – Gianluca Capurro (chitarre, cori) – Valerio Mola (basso e contrabbasso) – Lorenzo Campese (pianoforte, tastiere) – Francesco Capriello (pianoforte, tastiere) – Stefano Costanzo (pianoforte, tastiere) – Sara Sossia Sgueglia (Cori) – Lorenzo Piccolo (Cori) – Francesco Paolo Piccolo (Cori) – Norma Riccardi (Cori) – Marco Caligiuri (batteria) – Stefano Costanzo (batteria) – Michele Signore (violini, arpa celtica) – Luigi Scialdone (mandolini)
Tracklist:
- Francè
- Chiagne femmena
- Pipistrelli
- Tonino
- Non devi avere paura
- Luce in cucina
- Ragazzo mio
- L’addore forte d’o mare
- L’amore non basta
- Carta igienica
- Le chiavi di casa
- L’IVA e l’amore
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