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Archive Material – Silverbacks

Silverbacks - Archive materialIl secondo album del quintetto di Dublino, fondato dai fratelli Daniel and Kilian O’Kelly, che segue l’esordio Fad del 2020, per quanto centrato a livello testuale sull’esperienza pandemica, segna un ulteriore sviluppo di una visione musicale in cui Television, Pavement e Sonic Youth si innestano su un solido bagaglio che spazia da Zappa a Davis, passando per i Beatles. Archive material, la title-track, è un frullatore impazzito di garage rock delle origini sixties, chitarre pulite e squillanti dei Byrds, ritmo pop blues degli Yardbirds, new wave dal canto parlato dei Television, scazzo indie accidioso e deviazioni sperimentali art rock, che dà in apertura la cifra di un album in continua mutazione. Così, mentre A job worth something miscela chitarre e cori in una riedizione solare e spensierata dei Clash, Wear my medals monta una melodia assorta su un riff punk dei Police che sfocia in un ritornello in richiamo all’ultima Cate Le Bon, per lanciarsi in una coda di vocalizzi malinconici in tono calante. They Were Never Our People, invece, stratifica chitarre sul pattern quasi svogliato e indolente che ne regge l’incedere sordo, trovando un ritornello a due voci da cantare tutti in coro a dispetto di un timbro ieratico e assente. Rolodex city ritma la rudezza punk della voce di Daniel, che attinge al Lou Reed più sporco per muoversi in parallelo con quanto fatto da Ollie Judge degli Squid, scontrandosi con l’armonia vocale della sorella Kilian, mentre le sei corde si fanno via via più affilate. Different kind of holiday ricalca la wave dei primissimi Cure nella costruzione strumentale, variata da divergenti inserimenti di chitarre lisergiche, droni scomposti e campanacci sul battere, laddove la voce si muove ritmicamente in dissonanza, incalzando le note con fraseggio onomatopeico e arrabbiato. Carshade è l’intermezzo strumentale che non ti spetti, spiazzante con le sue tastiere evocative e vibranti di brezze bucoliche e fischi pastorali che rivelano gli ascolti vasti e formativi dei due O’Kelly, che appena possono preferiscono il post-punk liberatorio di Central Tones, il ritmo sostenuto, gli accordi pieni lasciati a risuonare, con una cura negli arrangiamenti di segno totalmente opposto che cerca continuamente suoni, licks, fraseggi e ipotesi da afferrare al volo per costruire articolate code strumentali. Il gioco di armonici tipico di The Edge, posto in apertura del grezzo punk di Recycle Culture, è l’unico omaggio all’Irlanda degli U2 in un album che riesce a spaziare tra i numerosi riferimenti con fresca nonchalance. Lo prova il riff cadenzato di Econymo che si spezza in un grido disperato e teatrale da cui viene fuori un coretto pop che ribalta la scena portando il brano all’aria aperta di un prato assolato, ma nel quale la follia può spuntare a sorpresa in forma di canto schizofrenico e arpeggi ossessivi. E lo prova ancor più Nothing to Write Home About, che sembra di nuovo un prestito da Lou Reed, ma improvvisamente cambia risultando in un pastiche di istanze diverse tenute insieme dal ritmo andante sul quale si sviluppano diverse tendenze vocali e strumentali, che prendono il volo nella coda tanto luminosa quanto nevrotica. Il timbro di Kilian determina l’assetto finalmente rilassato di I’m Wild in cui la band ritrova una forma canzone più lineare, ma non per questo meno innovativa, in cui si conferma la capacità di variare l’impianto con tastiere crepuscolari, divagazioni insistite, atmosfere cinematiche e oniriche. Insomma il rock in Irlanda è vivo e vegeto, e ci piace tanto!

Credits

Label: Full Time Hobby – 2022

Line-up: Daniel O’Kelly (Vocals/Guitar) – Kilian O’Kelly (Guitar/Vocals) – Emma Hanlon (Bass/Vocals) – Peadar Kearney (Guitar) – Gary Wickham (Drums)

Tracklist:

  1. Archive Material
  2. A Job Worth Something
  3. Wear My Medals
  4. They Were Never Our People
  5. Rolodex City
  6. Different Kind of Holiday
  7. Carshade
  8. Central Tones
  9. Recycle Culture
  10. Econymo
  11. Nothing to Write Home About
  12. I’m Wild


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