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Latlong – Campos

cover_Campos Latlong_lowAl terzo lavoro, che segue di due anni il precedente Umani, vento e piante, il trio pisano mette a punto un suono assolutamente personale, un immaginario sonoro che sottrae e scarnifica la saturazione che appiattisce lo spettro stereofonico odierno. Scelgono invece una lenta profondità, i Campos, in cui la ricchezza di invenzioni sonore fluttua in uno spazio ampio e naturale, che fa di quest’album un piccolo gioiello di elettronica bucolica. Dai sinistri disturbi di una radio fuori uso emerge un arpeggio acustico teso su un tappeto di percussioni palpitanti che tolgono il Sonno, ma un lampo improvviso di tastiere elettrizza quegli strani marchingegni domandoli con morbido fraseggio. Come morbida e passionale è la ballata Figlio del fiume, che si apre con tastiere montanti come certi guizzi di Tony Banks e rullanti che respirano come mantici preparando il decollo verso gli abissi del cosmo. Intanto a Santa Cecilia c’è una densa aria malsana, come avvisano i rumori di fondo di una periferia notturna nostrana percorsa da percussioni africane, ma un coro che viene fuori da The Wall annuncia una possibile via di fuga, sebbene su gambe malferme e ingranaggi poco oliati, superando ostacoli intermittenti. L’eterea circolarità dei Portishead di The Rip rivive nelle trame acustiche immerse nell’elettronica di Ruggine, illuminando vecchi ingranaggi con fasci di luce psichedelica risucchiati da un improvvisa spirale techno. Scorre lento, quasi immobile l’Arno, mentre i riflessi di un cielo argenteo luccicano sulle sue acque cremose, un sogno ad occhi aperti con in mente gli echi dei Pink Floyd di Meddle, dal quale ci si desta tuffandosi nel mare Blu. Distesa e solare canzone di orizzonti dilatati in cui ricadono riverberi elettronici anni ’80 e soluzioni armoniche degne di Dalla. Le pesanti corde glissate del riff di Addio ne rendono palpabile, quasi onomatopeica, la sensazione di lacerante separazione, uno smarrimento alla deriva che si specchia nelle tremule tastiere del passaggio centrale e in chiusura del brano. “Sicuro che esploderà, prima o poi“, tanto vale fregarsene e inseguire l’amore, indifferenti al pericolo incombente, con in cuore un battito ostinato e inarrestabile, mentre tutto va a rotoli, che ti tiene la Mano quando il fiume scorre nella notte tra le lucciole e le canne di bambù. Per questo sulla barca che scivola sulla corrente calma si accende un tenero Lume e rischiara solo il bordo fatto di pochi scarni accordi, lasciando in una nebbia soffusa i suoni variopinti di una natura benigna che culla dolcemente come in una ninna nanna. E al risveglio si intona l’inno Dammi un cuore che rimanda agli ultimi Verdena ma poi li annega in fiotti di esotiche tastiere orientali, in un crescendo epico e misurato a un tempo. “Se tu non ti fossi mai drogato non ti avrebbe mai deluso il Paradiso“, approdo caraibico di umorismo nero, leggerezza, gustoso minimalismo e inaspettate e nevrotiche ghost-tracks. Ben fatto Campos, se c’è ancora posto veniamo con voi.

 

Credits

Label: Woodworm / distr. Universal Music Italy – 2020

Line-up: Simone Bettin – Davide Barbafiera – Tommaso Tanzini

Tracklist:

    1. Sonno
    2. Figlio del fiume
    3. Santa Cecilia
    4. Ruggine
    5. Arno
    6. Blu
    7. Addio
    8. Mano
    9. Lume
    10. Dammi un cuore
    11. Paradiso (con ghost track Cane)

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