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III – Paul McCartney

McCartney-IIIPassano gli anni, i decenni, ma la voglia di fare di Paul non rallenta mai. Avrebbe potuto tirare i remi in barca da tempo e campare di allori e gloria e invece dimostra ancora una volta quanto la composizione sia la sua dimensione naturale, un bisogno incontenibile da assecondare inesorabilmente, pazienza per le accuse di sovrapproduzione (ad avercelo un surplus così). Forte di una longeva facilità di scrittura che nessun’altro della sua generazione ha mostrato (tolto Neil Young) e approfittando come molti dell’isolamento imposto dal lockdown, McCartney si è cimentato nel vecchio gioco a lui caro della one-man-band, sperimentato sin dagli ultimi tempi dei Beatles (anche se le royalties poi erano sempre divise col sodale Lennon), giocando e divertendosi as usual nel suo studio privato in Sussex. “Gioco”, play in inglese, la stessa parola che indica il suonare e il recitare, il segreto della verve musicale di Macca, il piacere di godere nel far musica, scrivere canzoni e suonarle, con immediatezza ineguagliata. Così, senza un programma preciso ne è venuto fuori un lavoro che per analogia compositiva è intitolato III, in linea di discendenza diretta con il suo esordio solista del 1970 e col seguente II del 1980, che celebrava con sperimentalismo sintetico d’avanguardia il decennale di distacco dalla casa madre del quartetto di Liverpool, completando, infine, una trilogia che è anche una sorta di cabala mccartneiana. Il terzo capitolo della serie è certamente più scarno dei precedenti, quasi a voler rivelare nella sua nudità il segno del tempo che ora muta il timbro della voce di Paul con lievi rughe nasali e polveri di ere passate che tratteggiano la sua incredibile umanità. Long Tailed Winter Bird è l’emblema della libertà compositiva di Paul, che si concede di aprire un nuovo album di inediti con una sortita strumentale (quel coretto che si ripete un paio di volte è fondamentalmente un nonsense ritmico) concepita come colonna sonora di un film immaginario, un duello tra le sabbie aride del West, con un tema di chitarra acustica degno di Morricone, una lama tagliente che risuona in improvvisi calchi alle tastiere prog, frantumato da pennate sulle corde stoppate di un’elettrica, inseguito dai flauti lontani e stonati di una tribù di indiani sul piede di guerra. Una dinamica che rimbomba negli accordi pieni e i corposi brass di Find My Way, che fonde il suo groove british di moderno mods e frizzanti controcanti (“you never used to be afraid of days like these”) con l’esotismo di chitarre scivolate caraibiche e soliste dal leggero e sanguigno bending. L’arpeggio brioso e melanconico di Pretty Boys accompagna dolcemente un canto dimesso che si fa racconto da declamare attorno a grandi tavole di quercia, al suon di quelle corde squillanti e rotonde, mentre il coro della quiete familiare si libra nell’aria come un fumo d’incenso. Fumo che addensa nella cappa oscura di Women and Wives e si arrotola nella sua struttura ciclica dal sapore black, ispirata da un libro su Lead Belly, in un raro fraseggio blues nell’enorme discografia di McCartney, che ritrova la sua vena britannica nel rock ruvido in stile Kinks di Lavatory Lil, con quel tempo sostenuto, il riff discendente e gli inserti graffianti che sarebbero piaciuti a Ray Davies, mentre il testo accenna a Polythene Pam nel ritratto di un personaggio che è solo uno qualsiasi, un’apparizione fugace e casuale presto dimenticata. Posta al centro dell’album, di cui costituisce l’episodio più lungo e complesso, Deep Deep Feeling ne descrive il mood introspettivo ed esplorativo attraverso un collage di trame oscure dipanate sul tempo cadenzato da possenti colpi sui tom, che scorrono quasi in ralenty scavando nel profondo dolore del sentire “the deep, deep pain of feeling“, il senso di sospensione e angosciata inafferrabile indecisione di una vita irrisolta “Sometimes I wish it would stay / Sometimes I wish it would go away“. Un gravoso e oppressivo disagio che un caldo vibrato degno di Gilmour traghetta verso un coro che balena tra vapori sulfurei, che si dissolvono nelle viscere della notte per ritrovare il tema iniziale e portarlo a un radioso epilogo acustico. Slidin è invece l’unico episodio a vedere la collaborazione di Rusty Anderson alla chitarra elettrica e Abe Laboriel Jr. alla batteria, per ottenere quella pienezza di suono power pop che caratterizza gli arrangiamenti dei live di Paul negli ultimi anni, ed è proprio da una jam di “riscaldamento” prima di uno show a Dusseldorf che viene fuori il riff granitico tirato ora fuori dal cassetto di Egypt Station. E ci sta bene dopo questa sbornia di feedback e saturazione la dolce ballata acustica The Kiss of Venus, il suo ritmo suadente e il canto confidenziale, aperto da una spinetta che risale fino alle prodezze di George Martin nei Beatles di In my life. Il ricordo del produttore rivive in tanti spunti di Seize The Day, l’equivalente inglese di carpe diem, dall’intro in scivolata del Rhodes alle note di chitarra in battere, dal fill dei tom che passa sotto traccia tra i canali stereo agli archi saettanti che modulano la tensione, alle aperture liquide che tanta presa fecero sui Queen alle chiusure profonde ed epiche dei giri armonici. Ma con Deep Down Macca ricorda di aver lavorato con tanti altri produttori e tra questi Greg Kurstin cui strizza l’occhio l’atmosfera da club chic liquoroso e quel beat da hip-hop sofisticato, cui si aggiungono come tocchi del genio di Paul l’inquietante acuto introduttivo, quella chitarra alla Santana, i coretti gustosi e quel canto da crooner elegante che si apre infine alle sue grintose origini soul e rock. E affondando profonde nel terreno quelle antiche radici ritrovano una ballata perduta, Winter Bird/When Winter Comes, immaginifico ricordo di una infanzia felice, leggero come i pastelli del video che ne mette in scena la dimensione bucolica, fatta di allegre fattorie, volpi e galline, cervi e cicogne, anatre e grilli, e di un magico volo di una famiglia, unita da un animo hippie, che si staglia speranzosa contro il sole “When winter comes and food is scarce / We’ll warn our toes to stay indoors / When summer’s gone, we’re gonna fly away / And find the sun when winter comes“. Un gioco, si diceva, il gioco di Paul. Per favore, continua a giocare per noi.

Credits

Label: Capitol -2020

Line-up: Paul McCartney (vocals, electric and acoustic guitars, bass guitar, double bass, acoustic piano, harpsichord, mellotron, harmonium, Fender Rhodes, synthesizers, Wurlitzer electric piano, drums, percussion, recorder, producer) – Rusty Anderson (electric guitar: track 7) – Abe Laboriel Jr. (drums: track 7)

Tracklist:

    1. Long Tailed Winter Bird
    2. Find My Way
    3. Pretty Boys
    4. Women and Wives
    5. Lavatory Lil
    6. Deep Deep Feeling
    7. Slidin’
    8. The Kiss of Venus
    9. Seize the Day
    10. Deep Down
    11. Winter Bird / When Winter Comes

Link: Sito Ufficiale Facebook

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