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Manuel Agnelli: una questione di verità

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Ho usato un po’ di tempo per prendere le distanze dai fatti e dai pensieri. Ho lasciato scorrere qualche giorno dall’ultima puntata tanto discussa del talent di Sky.
I talent, in generale, non mi piaciono. Sono soltanto contenitori dentro un altro contenitore. Intrattenimento che non mi interessa, incluso X Factor, che però ho guardato per l’immenso rispetto che ho per Manuel Agnelli, perché mi piace il cortocircuito generato dalla sua ironia, dalla sua saccenza motivata dell’ignoranza degli altri, dallo sberleffo e dalla leggerezza sfrontata di cui è capace. Mi piace che lui trovi sempre il modo per portare fuori da ogni definizione un linguaggio alternativo alla media. Zittire gli altri, prendersi il proprio spazio, proteggerlo, offendere nel caso, portare nello spettacolo una visione nel nome dei propri gusti ha un valore immenso. Ma questa è una storia vecchia per me, magari pure per i sordi di cuore e cervello. Sta di fatto che lui giovedì, in prima serata, duettando con i  Little Pieces of Marmelade sulla sua Veleno, si è preso un pezzo di televisione e se l’è mangiato, sputandolo poi in faccia a chi critica e non fa niente di niente che abbia valore puro, tra stampa, colleghi e pubblico, in ordine sparso!

Agnelli ha aperto letteralmente il programma, lo ha tagliato, lo ha squarciato, mettendo bene in chiaro cosa sia la musica suonata e sudata e cosa sia il calcolo a tavolino, il compitino iperprodotto che cancella anche il talento più cristallino e promettente, e il vincitore di questa edizione 2020 ne ha dato esempi più che eloquenti. Agnelli ha portato sul palco del talent il suo modo di concepire un concerto. Chi ne ha avuto esperienza negli ultimi trent’anni avrà avuto la mia stessa sensazione, all’improvviso un varco spazio-temporale: ecco il leader degli Afterhours nella sua dimensione naturale, quella live, affamata, furente, prepotente, romantica. Per alcuni minuti abbiamo ritrovato la nostra musica, la nostra verità: la mancanza disperata di ritrovarci sotto un palco, stretti, emozionati, liberi. Incantesimo che si è ripetuto nel corso della puntata, quando gli Afterhours hanno lasciato che fosse la magnificenza di Quello che non c’è a mostrare il senso reale e intenso del fare musica. La presenza di Agnelli e dei suoi Afterhours ha avuto questa simbolica valenza: strappare il velo dell’autotune, delle mode urban style delle reginette italiche, delle produzioni che vogliono somigliarsi sperando di adattarsi alla mediocrità in un gioco all’involuzione, necessario al mercato e allo streaming concepito ad uso e consumo del gusto piatto e omologato. Dicevo di un lato romantico, ne vedo forte la luce e lo trovo disarmante, affascinante perchè in esso ho colto una narrazione così estrema e consapevole da aver ovattato, offuscato l’intero corso dello show.

Quanto accaduto tra il mondo dei social e della stampa mi ha alquanto dato fastidio. Porre l’accento sul “torso nudo”, sulla tonicità over 50, sul microfono roteante, sui paragoni con l’Iguana (al secolo, Iggy Pop) e tutto il resto a corollario l’ho trovato avvilente. Riusciamo a recepire così poco? La nostra informazione ha così tanto bisogno di titoli composti sui cliché? Posso comprendere il clamore dell’attimo, ma se il rock ci sconvolge in questa forma… siamo davvero la provincia del mondo. Le scelte di Agnelli messe in scena giovedì hanno una semantica di anni, non certo contestuale. Credo che ancora una volta abbia vinto lui, ci ha dimostrato quanto sia piccola e impreparata la platea nostrana, soprattutto quella dell’informazione. Agnelli ha mostrato un pezzo del suo mondo live “abituale” e la stampa, complice certo pubblico, ha ricamato di luoghi comuni e delirio frettoloso acchiappaclick, come sempre. Sto andando per il sottile, cerco il pelo nell’uovo! Tutti ne hanno parlato in modo esaltante, ma focalizzando troppo sul contorno.

L’accento va sulla fame di dominare un palco, sulla visione che tende la mano a certi giovani e al talento, sull’asso nella manica di brani costruiti con una verità e una potenza tali da stare in piedi dopo anni e risultare più coinvolgenti e moderni di tante proposte in circolazione. L’accento va sulla bellezza romantica di questa verità che Agnelli ha dentro gli occhi. Poi, che sia comodo prendere solo ciò che fa spettacolo… è un dato di fatto che lui avrà messo in conto come conferma di una banalità di cui non riusciamo ancora a fare a meno.

Complimenti, Manuel. Hai vnto tu, come sempre.

 

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