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Delirium tremens – Marcello Giannini

Marcello Giannini
A poco più di un anno dal triste annuncio della ‘pausa di riflessione’ presa dagli Slivovitz non si può certo dire che Marcello Giannini, protagonista di quella formazione, si sia ritirato in un eremo in meditazione. Al contrario, nell’ultimo biennio il chitarrista ha inanellato una serie di esperienze con Flo, Nu Guinea, Guru, Psychè, muovendosi da un ambito all’altro, al limite dell’iperattività. Sarà probabilmente questo uno dei motivi  che oggi, a due anni di distanza dal precedente Digital Desert, gli fanno intitolare Delirium tremens la sua terza prova solista, pubblicata per l’etichetta NoWords in streaming e download su tutte le piattaforme digitali e su supporto fisico dal 30 gennaio. Solista ma non troppo, dato che ogni brano ha una specifica formazione costruita ad hoc, coinvolgendo vecchi e nuovi compagni di strada, alla ricerca del giusto suono. A partire dall’Intro retta dal tarhu di Peppe Frana, strumento a corde che conferisce al brano un’atmosfera magica e arcaica, pur essendo un’invenzione relativamente recente del musicista e artigiano australiano Peter Biffin, con quei bassi profondi da musica celtica e quei fischi che riecheggiano il Banco di Canto di Primavera e l’Hendrix di If six was nine. L’album sembra, tuttavia, muoversi principalmente attraverso coordinate visive: Movimenti è emblematica in tal senso. Se l’arpeggio cadenzato e pulito della chitarra potrebbe far pensare ad esperienze post-rock, il whistle di Stefano Costanzo riprende esplicitamente celebri colonne sonore del cinema italiano degli anni ’60 e ’70. da Umiliani a Morricone, sulla scia di quanto fatto dai Junkfood & Enrico Gabrielli con Italian Masters. Ma poi quando attacca la batteria, imprimendo una inaspettata accelerazione che va a infrangersi in mille rivoli di asimmetrie jungle, ci si accorge che alla visione del film si sono uniti i Radiohead e che siamo agli sgoccioli della seconda decade del nuovo millennio. E allora l’elettronica si fa largo come una Marea che nel portare in superficie le percussioni di Michele Maione, si addentra nei territori oscuri e rarefatti, frequentati nel precedente album Digital desert. Emersi dalle acque si trova riparo al chiuso di un piccolo teatro dove sono in corso le prove di Hubrys (richiamo all’album degli Slivovitz dal titolo simile?), musica da camera per trio d’archi e chitarra, da gustare come una bevanda calda fumante. Un conforto poco durevole, giacché la successiva Running, col suo loop angosciante, disegna un tunnel oscuro nel quale corre il protagonista al ritmo di una chitarra anni ’80 che fa venire in mente il futuro distopico del film L’Implacabile (banale traduzione italiana per l’originale The Running Man, uscito nel 1987, ma ambientato, guarda caso, in un ipotetico 2019), in cui i protagonisti di uno spietato reality corrono in diretta TV per salvarsi la vita inseguiti da killer spietati. Jakko è uno straordinario omaggio tripartito al progressive, con un tema principale, che sa ancora una volta di cinema, sviluppato nella prima parte con tanto di vocalizzo muto, per la voce dello stesso Giannini, richiamandosi tanto alla felice stagione vissuta dal genere in Italia, tanto alla scuola di Canterbury; la divagazione centrale, introdotta da un break atonale che richiama alla mente la soluzione impiegata dal chitarrista in Cassandra di Flo, si infuria con l’assolo free dei due sassofoni di Luigi Di Nunzio e Pietro Santangelo, con Giannini già negli Slivovitz, che rimanda all’esplosiva parte strumentale di 21St century schizoid man e ad analoghe escursioni delle Mothers of Invention, forte anche della dinamica offerta dalla doppia batteria di Marco Castaldo e Salvatore Rainone, sezione ritmica dei Guru, al momento band principale di Giannini; si chiude infine con la ripresa, calante e malinconica del motivo iniziale. L’elettronica ossessiva e claustrofobica di Xanax, sviluppata in collaborazione con Jim Hawkins dei Baaristi Muuti, piuttosto che alle proprietà curative del noto ansiolitico, appartenente alla famiglia delle benzodiazepine, pare ispirata agli stati d’animo che ne atterriscono i consumatori prima dell’uso. Ma il farmaco si rivela inefficace giacché subito dopo la sua assunzione arriva il Delirium Tremens, che sembra scaturire dal surreale mondo di pulsazioni di The Cage dei Genesis, scandito com’è dal basso ossessivo di Vincenzo Lamagna, anche lui negli Slivovitz, sul quale si dipanano le angosce dei sassofoni, le frustate distorte della chitarra, ma soprattutto il tremulo e inquietante assolo di sintetizzatore di Gino Giovannelli, che arriva fischiando come nelle migliori prove di Tony Banks. Fuori dal vortice dell’ossessione, ci si illude di trovar pace in Stagioni, che grazie agli archi intrecciati di Arcangelo Michele Caso, potrebbe essere la colonna sonora di un dramma in costume come L’età dell’innocenza di Scorsese, in cui si innesta un arpeggio che discende direttamente da Guinnevere di David Crosby. Ma il delirio non è ancora svanito, trovando la sua ineluttabile conclusione in Ossimoro, rarefazione cerebrale in libera collisione con la batteria rumoristica, specchio della ricerca di equilibrio impossibile che regola la vita moderna.

Credits

Label: NOWORDS – 2019

Line-up: Marcello Giannini (guitar, synth, programming, vox) – Peppe Frana (tarhu) – Dario Deidda (bass) – Stefano Costanzo (drums, whistle, voice fx) – Michele Maione (percussions) – Davide Maria Viola (cello) – Bruno Belardi (double bass) – Alfredo Pumilia (violin) – Luigi Di Nunzio (alto sax) – Pietro Santangelo (tenor sax) – Davide Costagliola (bass) – Marco Castaldo (drums) – Salvatore Rainone (drums) – Gino Giovannelli (synth) – Jim Hawkins (guitar, piano, noise, programming) – Vincenzo Lamagna (bass) – Arcangelo Michele Caso (violin, viola, cello)

Tracklist:

  1. Intro
  2. Movimenti
  3. Marea
  4. Hubrys
  5. Running
  6. Jakko
  7. Xanax
  8. Delirium Tremens
  9. Stagioni
  10. Ossimoro

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