Home / Editoriali / La strada è lunga: intervista a Marino Severini (Gang)

La strada è lunga: intervista a Marino Severini (Gang)

intervista_gang_img1_201610

Quella di Marino Severini dei Gangg è una voce sempre molto attuale, il suo è uno sguardo ancorato alla realtà che sa analizzare e anche prendere un po’ in giro. Dopo aver assistito al concerto del 9 Settembre a Mirafiori, noi di Losthighways lo abbiamo incontrato per scambiare quattro parole sulla musica ed il suo rapporto con i problemi sociali, il territorio e il futuro. Un incontro di parole, vero e profondo, che offre diversi spunti di riflessione per comprendere il ruolo della musica ieri, oggi e domani.

Cominciamo dalle novità: tra poco uscirà il vostro disco di cover di canzoni anni ’70 che avete realizzato tramite raccolta crowdfunding. Da dove nasce il bisogno di riscoprire vecchi brani?
Più che di riscoprire in questo caso si è trattato di rivitalizzarli, poichè di fatto sono tutte canzoni che sia io che Sandro suonavamo e cantavamo nella seconda metà degli anni ’70 alle manifestazioni, durante le occupazioni, al circolo giovanile ma anche ai giardinetti o sul muretto del paese. Erano canzoni che allora trasmettevano “lo Spirito del 77” , ovvero Gioia e Rivoluzione!
Adesso, dopo tanto tempo, c’è venuta la voglia di ricantare e incidere queste canzoni per raccontare la nostra gioventù, un po’ come farebbe un padre con i propri figli.
Questo disco è anche un modo per dire la nostra sugli anni 70: è stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto, come quella definizione estremamente riduttiva degli “anni di piombo”. Ma non c’è stato solo il piombo. Abbiamo assistito alle moltiplicazioni dei Pani e abbiamo visto fiorire migliaia di giardini di Rose. Custodivamo e lottavamo per quella vittoria esistenziale e sociale, eravamo vivi ed è stato, probabilmente, uno dei periodi più belli della mia vita.
Con questo pugno di canzoni rivisitate vorrei ricordare che all’interno di un Movimento e di un Proletariato Giovanile come quello degli anni ’70 riuscivano a convivere molte culture, molti linguaggi e immaginari. Cantiamo il ’77, cantiamo la stagione del ritorno di un nuovo grande Umanesimo!

L’artista che chiede al suo pubblico di finanziare il suo lavoro: come lo vedi questo fenomeno degli ultimi anni?
Lo vedo come una grande opportunità per liberare il proprio lavoro, come una sorta di “bene comune” che si infiltra e prolifera nell’egemonia del Mercato del profitto e del denaro . Lo strumento del crowdfounding ci ha dato la possibilità per la prima volta di creare un Bene, non una merce, in completa libertà e autonomia. E’ chiaro che questo rapporto fra co-produttori (non più consumatori) e noi si basa sulla fiducia e la stima: queste sono doti che non si conquistano in rete ma nella realtà dopo anni e anni di incontri, di strette di mano, di abbracci, di canto comune.
Credo che quella del crowdfounding sia un’esperienza con una precisa valenza politica, ovvero la capacità di assemblare una comunità che si adoperi per creare un bene voluto da tutti, e non un semplice prodotto.
Finalmente si punta il dito sulla produzione e non più solo sull’aspetto del consumo.
Abbiamo realizzato Sangue e Cenere e Calibro 77 in questo modo: alla faccia di chi sostiene che il rock italiano non interessi più a nessuno!

Cosa risponderesti se qualcuno ti dicesse che tutta questa nostalgia per i tempi passati è da superare?
Risponderei semplicemente che è “imbecille“ nel senso etimologico della parola, senza offesa.
Credo che per andare avanti si debba per forza tornare indietro. E’ quello che fanno molti zingari una volta all’anno. Celebrano questo rito del Ritorno facendo un viaggio a ritroso, su quelle strade da cui sono venuti.
La realtà, e quindi anche l’arte, ignora la linea retta, non ha un senso unico, proseguendo per il suo cammino inglobando in sé tanti modelli, lasciandosi influenzare e contaminare. Riflettiamo su questo: è curva o retta la linea che unisce Dante a Joyce, la scultura africana a Picasso, il rito primitivo al teatro d’avanguardia, o Ungaretti ai poeti cinesi, Montale a Leopardi, Calvino a Voltaire?
A proposito di Nostalghia, per dirla alla Tarkovsky, penso sia proprio quella che fa funzionare la musica, guidandola. La musica influenza il nostro modo di stare al mondo e di stare assieme agli altri, in un convivium prezioso per la comunità e per il singolo. Suonare ci riporta alle nostre radici, a casa: è una strada di ritorno guidata dal sentimento della nostalgia.
Cioran in Lacrime e Santi scrive “In noi portiamo tutta la musica. Essa giace negli strati profondi del ricordo. Tutto ciò che è musicale è reminescenza. Al tempo in cui non avevamo nome probabilmente abbiamo udito tutto… e noi abbiamo memoria soltanto del Paradiso poichè l’Inferno è soltanto un’attualità’.

Tempo di crisi per tutti e difatti anche la musica ne sta risentendo. Ci sono sempre meno soldi per gruppi e organizzatori di serate live, si suona meno e a compensi irrisori. Voi avete fatto parecchie date durante tutto il 2016. Come vivete la situazione dei concerti in Italia?
Quella a cui stiamo assistendo non è una crisi di creatività o altro , ma è semplicemente la crisi di un modello di mercato. La musica in quanto tale non ha bisogno di soldi per essere suonata nè le canzoni per essere scritte e cantate hanno bisogno di una multinazionale… Quello che è in crisi, ed io aggiungo per fortuna, è un sistema che ha gestito per anni la musica e non solo in Italia. E’ l’industria musicale che è in crisi e i motivi sono tantissimi ma uno su tutti è quello per cui musica e profitto non vanno d’accordo, così come l’arte in genere, lo spirito creativo, la comunicazione fra gli umani alla fine risultano inconciliabili col profitto.
Gli indipendenti dovrebbero fare gli indipendenti fino in fondo e creare un circuito vero prendendosi cura dei talenti che scoprono, perchè sono quelli che potrebbero fare la differenza creando un circuito grande e forte capace di invertire l’egemonia del mercato ufficiale.
Sento di poter dire che noi non siamo toccati da alcuna crisi. Continuiamo a viaggiare fra le nostre comunità, i nostri territori e siamo sempre accolti con grande gioia e generosità.
Le canzoni che noi produciamo non sono altro che strumenti per riaffermare e ribadire un’appartenenza. Da più di 15 anni ho chiuso col Mercato e con tutti i suoi fautori, siamo fuori da quelle logiche e da quella jungla.
Credo che il nostro lavoro possa contribuire a fiaccare sempre più quel sistema di potere feudale della produzione promozione e distribuzione della musica compreso quello spudoratamente denominato indipendente.
La crisi è una crisi dettata dall’omologazione imperante e dalla mancanza assoluta di differenza, come del resto avviene nella società in generale.
A tale proposito consiglio la lettura di un libro che offre degli spunti interessanti rispetto alla situazione attuale: Come funziona la musica di David Byrne. Un vangelo circa i tempi che abbiamo e che stiamo attraversando…

intervista_gang_img2_201610

Band, cantautori che ascolti molto ultimamente?
In questo periodo sono veramente innamorato dei Deep dark wood e dei Felice brothers, per il resto ascolto di tutto navigando a vista , senza cognizione di tempo o di stile… da Mingus a Band of Joy e tutto gira sulla giostra a 360 gradi. Sento comunque di essere attratto dalla scena giovanile americana che percepisco come una sorta di colonna sonora costituita da un’infinità di realtà musicali dotate tutte di belle vocalità e armonie. Ognuna di queste è un semplice granello di sabbia indispensabile a creare una grande spiaggia sulla quale è piacevole stendersi al sole.

Gianmaria Testa sosteneva che la canzone, oggi, è in preda ad un mercato che la svende in tv e che la poesia, più che mai, si è fatta qualcosa di urgente da riscoprire, come il canto popolare. C’è un modo per mantenere in vita la preziosità di tutto questo?
Considero le canzoni che scrivo, che canto e suono come una sorta di gregge, di cui io sono il pastore. Nel corso del tempo ho imparato a farmi portare dove preferisce il gregge, dove l’acqua dei fiumi è pulita e l’erba dei prati è più fresca. In questo modo sto imparando ad essere un buon pastore.
E così, in questa eterna transumanza, le canzoni alla fine mi riportano sempre a casa. Ma non nel salotto di casa dove sono finite tante poesie e troppi canti popolari. Dostoevskij scriveva che “il mondo sarà salvato dalla bellezza”… ecco, sarebbe bello mettersi in cammino alla ricerca della Bellezza e passo dopo passo sentire quel Giardino è in ognuno di noi fiorire, stagione dopo stagione, come in un’eterna Primavera.

I Gang hanno sempre dato importanza alla tradizione marchigiana e alla memoria delle lotte contadine, ad esempio. Quanto è importante che la musica presti la voce a un’identità di territorio?
Vedi, di nuovo, il “ritorno”. Torniamo agli inizi: per me i Gang sono stati quel treno o quella carovana o quel circo che un giorno è passato sotto casa e sul quale sono salito per andarmene. La mia e quella dei miei compagni non è stata una fuga ma viaggio completo che oggi ha trovato il suo ritorno alle radici. Ce la insegnano Omero e Keruac l’importanza della strada, la stessa strada che per me hanno rappresentato Gang. Sapevo che il futuro potevo scriverlo io e sono partito per andare a disegnarlo nei più svariati modi, cucendo sulla mia pelle le scelte più importanti, le esperienze che mi hanno riportato al sentimento dell’appartenenza.
Nel disco Le radici e le ali c’è tutto questo: la tradizione si identifica con la partenza, il viaggio che alimenta e accresce la nostra cultura e il futuro che chiude il cerchio ricordandoci l’importanza di dar voce alla propria terra. In questo modo, la nostra tradizione è un bacino che accoglie la tradizione cristiana, quella di Balducci, Ciotti, Zanottelli, Bianchi, e quella comunista, da Gramsci ai movimenti più eretici ed estremisti costituiti dal movimento delle donne, dalle ondate dei migranti, dall’affermarsi delle subculture, ad esempio. È proprio questo che desidero cantare impugnando la chitarra, l’incontro e la fusione di queste tradizioni, come speranza e aspirazione, come un pugno indignato rivolto verso il cielo.

Secondo te, a qualcuno interessa ancora ascoltare canzoni di protesta oggi? Per protestare contro cosa o chi?
Il termine protesta ha avuto il suo valore negli anni ’60, quando c’erano i movimenti di protesta per i diritti civili americani, quelli contro la guerra, etc.
La musica non svolge più quel ruolo di primo piano fra gli interessi delle persone, non è più un riferimento poichè le aspettative delle nuove generazioni sono cambiate. La musica e’ stata un Grande Fiume, dove infiniti torrenti sono affluiti, un fiume in piena che ha travolto, incitato, ispirato molte generazioni. Oggi questo non accade più perchè ci sono altre acque più invitanti in cui i giovani possono bagnarsi e dissetarsi. La musica ha perso il posto di primo piano fra gli interessi e le curiosità delle nuove generazioni ma ciò non significa affatto che le canzoni stiano morendo o che moriranno a breve. Anche un grande fiume, nel suo cammino verso il Grande Mare, può trovare territori non favorevoli ed ostili, può rischiare di diventare palude, stagno o può correre sottoterra, diventare invisibile allo sguardo e all’orecchio umano… ma c’è ancora!
Il mio “lavoro“ consiste semplicemente nello scrivere canzoni e così mi muovo su queste strade secondarie, raccontando storie. Quelle degli ultimi, dei vinti, degli sfruttati, degli emarginati, degli umili, dei reietti, dei beati perché portano un messaggio di Liberazione. Alcune di esse a volte mi attraversano come vento, altre volte le vado a cercare risalendo la corrente, andando in senso contrario fino alla fonte. Infine mi fermo e trasformo queste storie in canzoni o meglio in ballate popolari, così da renderle Canto Comune.

Lasciaci una poesia che ti piace particolarmente come sticky note, da leggere e rileggere.
Se permetti, invece di una poesia, preferirei scegliere le ultime parole della Compieta che è nel Breviario, nella liturgia delle ore, l’ultima preghiera della giornata, ovvero l’ora che viene dopo i vespri : “La strada è lunga, e già sopra di noi la notte scende”.

Ti potrebbe interessare...

Benvegnù intervista

In fuga dalla carovana dei cortigiani, intervista a Paolo Benvegnù

Le conversazioni, quelle belle. Le occasioni commoventi di incontrare, tangendole, le curve perfette della personalità …

Leave a Reply