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Per rendere la lotta più creativa: intervista a Daniele Sepe

intervista_DanieleSepe_IMG1_201502A pochi giorni dall’uscita del suo nuovo album promosso da una campagna di crowdfunding su Musicraiser (uscita prevista intorno alla metà di marzo), abbiamo chiacchierato di questo progetto, assieme ad altri che lo hanno di recente visto protagonista, con Daniele Sepe, uno tra i pochissimi musicisti in circolazione in grado di muoversi con pari disinvoltura dalla musica classica ai Led Zeppelin, dal reggae di Bob Marley al jazz di Mingus, Davis e Monk.

Tra pochi giorni verrà distribuito il tuo prossimo album, ne hai fornito alcune anticipazioni in rete presentandolo come “Il disco che verrà”, invece il titolo definitivo sarà A note spiegate, che riprende il titolo di una serie di concerti/laboratorio che stai realizzando dal 2013, una sorta di educazione all’ascolto e alla comprensione del jazz. Com’è nato questo progetto, che in questi giorni viene riproposto addirittura in due sedi diverse? E come è avvenuta la selezione dei brani da includere nell’album?
Abbiamo scelto una serie di brani significativi che facevano parte degli oltre 80 con cui abbiamo tenuto i laboratori per musicisti e ascoltatori che danno nome all’album. In realtà sono tutti brani a cui io sono particolarmente legato e che mi hanno insegnato tanto.

Le registrazioni risalgono alla primavera scorsa: quali sono state le difficoltà incontrate per la pubblicazione, al punto da pensare di avviare una campagna di crowdfunding?
Sono le difficoltà legate al mercato del disco di oggi. Fino a solo dieci anni fa vendevo almeno 15.000 copie di ogni mio album, e non è musica commerciabile, oggi le cifre sono ristrettissime per tutti, e il disco è diventato antieconomico, ma è necessario per far circolare la propria idea di musica e per promuovere il live che rimane l’attività più degna per ogni musicista.

Anche questa iniziativa viene presentata con la consueta ironia, che è sicuramente uno dei tuoi punti di forza, ma davvero si potrà pagare per un giorno da mozzo a bordo della tua “mitica” imbarcazione, Il Capitone, con tanto di partitella a pallanuoto?
Vi conviene cominciare ad allenarvi, mezz’ora in acqua costa fatica… sì, anche quello. In genere il crowdfounding prevede questo genere di cose, ma la cena con l’artista la vedo un po’ troppo radical chic per me. E dopo tutto un giro in barca nelle acque di Procida a quel prezzo è un bel regalo.

Come ci hai abituato, immagino che anche qui ascolteremo un ensemble aperto con la partecipazione di molti musicisti. Chi dovremmo aspettarci?
Il quintetto di base è Tommy De Paola al piano, Davide al basso, Franco Giacoia alla chitarra e Paolo Forlini alla batteria. Si sono aggiunti Alessandro Tedesco al trombone, Pietro Festa alla sega musicale, il brasiliano Robertino Bastos alle percussioni e c’è un brano con il grande Paolo Romano “Shaone” alla voce. In un brano si aggiunge Pietro Santangelo al tenore, che duetta con me.

Negli ultimi tempi hai dato dunque più spazio al jazz, soprattutto dal vivo, ma dalle anticipazioni in rete emerge che nell’album ci saranno anche cover dei Led Zeppelin. Li avevi citati, assieme all’hard rock dei ’70, in Suonarne 1 per educarne 100, presentandoti quasi come “rocker”; viceversa non mi pare tu sia troppo entusiasta del progressive, che pure ha segnato una delle stagioni più felici della musica in Italia. È così?
Non direi, visto che ad esempio mi sono arrischiato a fare una cover di Luglio, agosto, settembre (nero), di certo il brano più significativo della band più importante del progressive italiano. Ma se dovessi affrontare tutta la musica bella che c’è ed è stata fatta, dovrei avere sette vite.

intervista_DanieleSepe_IMG2_201502Di recente ti sei anche esibito in trio “classico” con Edoardo Catemario, puoi parlarci di quell’esperienza?
Edoardo Catemario e Luca Signorini sono dei grandissimi musicisti che nel campo della musica “seria” sono al top. Edoardo suona in tutti i più importanti festival internazionali ed incide per la Decca; Signorini è primo violoncello al San Carlo ed ha inciso una tra le più belle versioni delle suites di Bach. E’ stato un tuffo nel mio passato di flautista classico e l’occasione di incontrare due mostri sacri. Esperienza che rifaremo sicuramente.

Nelle interviste hai spesso dato una lettura disincantata delle reali possibilità per i musicisti di incidere sulla politica e la società, tuttavia nei mesi scorsi ti ho visto coinvolto anche in corsi per “giovani musicisti”. Può essere questa la via migliore dell’impegno per chi fa musica?
La migliore strada per cambiare il mondo resta sempre quella dell’autorganizzazione politica senza deleghe e con la determinazione di rendere difficile la vita a chi ci sta sopra. Nel frattempo la musica ci può fare compagnia e rendere la lotta più creativa.

Nella tua ampia discografia c’è stato posto per una varietà di autori e generi da ogni luogo e da ogni epoca, sarebbe forse scontato e un ripetersi parlare di Rollins, quindi ti faccio un altro nome: Gianfranco Marziano…
Gianfranco è un amico ed è una delle menti più geniali che abbia incontrato, a prescindere dalla musica che fa che è eccelsa. Come tanti è nato in un’epoca sbagliata, e paga il prezzo di essere originale in un’era di omologazione selvaggia.

E per concludere anche un altro: Lucio Battisti. Al di là di quel che si può pensare di Mogol, Battisti è stato un grande autore. Hai mai fatto o pensato di realizzare una sua cover? Il mio suggerimento è Anima latina…
Sai quante cover di quanti artisti vorrei fare… ma sceglierei un brano dal Don Giovanni.

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