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Abbandonarsi alle onde e al pacifico caos interstellare: intervista agli Omosumo

inte_Omosumo_IMG01_201409Gli Omosumo presentano in questi giorni il loro primo album intitolato Surfin’ Gaza. Antonio Di Martino, Angelo Sicurella, Roberto Cammarata: diverse esperienze alle spalle ed un presente che li vede insieme per un progetto ambizioso capace di fondere elettronica,  rock, ritmi ed atmosfere che arrivano dal sud del Mediterraneo. Surfin’ Gaza è un disco importante che stupirà molti. Se il disco è appassionante, il live è esplosivo e coinvolgente. Ai tre siciliani abbiamo rivolto alcune domande per conoscere meglio la loro musica e la strada che ha fatto per arrivare a noi.

Abbiamo ascoltato i vostri Ep ed il disco di prossima uscita, poi vi abbiamo ascoltati live ed ora eccoci qui subito a richiedere un’intervista. E non siamo i soli: si parla molto di voi! Speravate soltanto in questa attenzione o proprio ve la attendevate? Sincerità e niente falsa modestia, per favore…
In tutta sincerità speri sempre che quello che fai possa arrivare a chi ascolta, e possa destare curiosità, ma non abbiamo mai dato nulla per scontato, quindi no, non ci aspettavamo l’attenzione che abbiamo percepito ai concerti che abbiamo fatto in giro quest’estate, in un momento poi in cui Surfin’ Gaza non era ancora uscito…

La musica degli Omosumo è una cosa rara nel nostro panorama musicale. Un meltin-pot di stili e generi. C’è aria internazionale. La vostra esperienza al SXSW di Austin ne è testimonianza. Com’è stato approcciarsi ad un festival tanto vasto e complesso?
E’ stata una esperienza molto bella, piena di stimoli, confronti, emozioni. Il SXSW è una cosa enorme, e ti senti davvero piccolo in mezzo a tutta quella roba. La cosa più bella è che vai lì non solo a proporre il tuo set, la tua musica, ma ad assorbire anche tutta quella che gira in quella settimana al festival, e questo da parte dei grandissimi artisti come da quelli più o meno sconosciuti come noi.

Parliamo di Surfin’ Gaza. Un titolo del genere di questi tempi non passa inosservato. Voi vi riferite ad una spiaggia di Gaza dove palestinesi ed israeliani volevano vivere le onde e non la guerra. Come si inserisce un tema del genere nella vostra musica?
Il titolo del disco è nato durante la sessione di registrazione, a febbraio di quest’anno. Ci trovammo a parlare di varie cose, come spesso ci capita, e quel giorno venne fuori questo club di surfisti sulla striscia di Gaza di cui Antonio aveva sentito parlare. Ci è piaciuta molto l’immagine di questo luogo in cui sembrano venir meno le ragioni di una guerra che va avanti da decenni, in cui ci si abbandona al mare, fino ad andare alla deriva accompagnati dalle sue onde. Purtroppo nelle ultime settimane Gaza è tornata al centro delle cronache internazionali, lo abbiamo inteso come luogo simbolo di un conflitto permanente e apparentemente irrisolvibile, gli eventi confermano la tragedia che da decenni investe quella striscia di terra.

I riferimenti al mondo mediorientale ed al Nord Africa sono espliciti nella title track e in Ahimana. La vostra provenienza, la Sicilia, vi rende inevitabilmente vicini alla cultura che viene dal sud del mondo. Quanto pensate possa avere influito in voi personalmente ed artisticamente?
Ha molto influito dal punto di vista personale per viaggi che abbiamo fatto in Nord Africa, ma anche sotto l’aspetto più strettamente musicale, dalla nostra isola ci è piaciuto guardare a sud piuttosto che a nord, ai suoi ritmi e vibrazioni. C’è qualcosa di spirituale e mantrico in quei ritmi che ci ha affascinato molto, e che abbiamo provato a declinare anche nella nostra scrittura.

inte_Omosumo_IMG02_201409Palermo è la vostra città di origine. Tanto fermento artistico sta movimentando il vostro territorio: diverse sono le band che stanno trovando riscontro a livello nazionale e non solo. Poi penso agli eventi internazionali come l’Ypsigrock sempre nel vostro territorio. Dopo la Puglia in questi ultimi anni, che forse tocchi ora alla Sicilia?
Vivendoci e vivendola, forse non siamo le persone giuste per avere un’idea chiara ed obiettiva su questa cosa: di certo si muove molto, ci sono realtà che sono cresciute parecchio negli ultimi anni e che stanno raccogliendo adesso il frutto di tanto lavoro e sacrifici. Rispetto alla Puglia c’è una grossa differenza però: la musica e la cultura in generale lì hanno ricevuto negli ultimi anni un convinto supporto istituzionale, e sono state riconosciute come opportunità di crescita sociale ed economica, mentre ora in Sicilia non vi è nulla di tutto questo: se con la tua band, la tua etichetta, il tuo festival vuoi crescere, da noi puoi contare solo sulle tue forze.

Voi venite tutti da differenti esperienze: Antonio dal suo progetto Dimartino, Roberto dai Waines, Angelo da diversi lavori con al centro lo studio della voce. Com’è nato il progetto Omosumo? Come si è arrivato al vostro attuale sound? Fin dal principio l’idea era quella che poi si è realizzata?
Diciamo che ci siamo arrivati a forza di sperimentare, di cercare nuove soluzioni, di sbagliare a volte. Prima la formazione aveva un set up più classico: voce, chitarra, basso, batteria. Man mano abbiamo cercato sonorità nuove da mischiare con quelle a cui eravamo più abituati. Al momento abbiamo trovato questo assetto in trio che ci piace e ci diverte molto, ma la nostra tendenza è quella di stare sempre in movimento, chissà cosa potremmo diventare da qui a un anno. Siamo specialisti nel mettere in discussione le piccole certezze che ci andiamo costruendo, è una cosa rischiosa ma che ci diverte molto.

Le cose belle che mi hanno colpito nel vostro live all’INDIElicious di Bologna sono state tre: la versatilità e potenza vocale di Angelo, il peso (in termini di struttura dei brani) del basso di Antonio, e l’uso di una splendida chitarra rock in un contesto spiccatamente elettronico. Per quanto il cantante assuma sempre il ruolo di “frontman”, in realtà lo siete un po’ tutti e tre. Questo fatto mi ricorda un po’ i Verdena, dove tutti i componenti riescono ad essere protagonisti quasi alla pari. E’ un assetto piuttosto raro per una band: vi ritrovate in questa osservazione?
Ci fa piacere che ti sia arrivata questa sensazione, ognuno di noi tre si è ricavato un suo spazio quanto più possibile in armonia con gli altri, il nostro è un live in continua evoluzione, lasciamo molto spazio a soluzioni aperte, in modo da poter giocare fra di noi e con chi ci ascolta. Abbiamo sempre avuto un approccio molto “suonato” all’elettronica, questo ci porta ad utilizzarla al pari di ciò che non è elettronico all’interno del nostro set, cerchiamo di far convivere queste due anime così diverse.

La voce di Angelo a momenti mi ha ricordato qualche star del pop elettronico degli anni ’80, ma in altri brani addirittura belve rock come Robert Plant: questa camaleonticità da dove proviene? A cosa mira?
Ho sempre studiato la mia voce e il mio corpo. Sempre da autodidatta e quasi mai con una direzione precisa. Una continua esplorazione in molteplici direzioni. Inseguendo le casse di risonanza del mio corpo, a volte immaginandole e giocandoci su, le maschere facciali correlate ai suoni che venivano fuori. Le esperienze musicali che ho fatto in un preciso periodo della mia vita mi hanno segnato parecchio circa un certo modo dell’uso della voce. Quand’ero più piccolo ero molto affascinato dalle band degli anni settanta e penso che in qualche modo mi abbiano lasciato qualcosa. Dopo un po’ ho cominciato a inseguire robe più sperimentali e ho cominciato a indagare e a indagarmi, arrivando così fino in Oriente (Pakistan, Mongolia ad esempio) o in Africa (Marocco, Mali) ricercando altre sonorità. È sempre stato un approccio immediato, naturale. E se il suono di una cosa mi interessa provo a farlo mio. Tempo fa, ad esempio, il professore di etnomusicologia, all’università, ci diede un paio di cd da ascoltare, musiche da tutto il mondo. C’erano canti di donne inuit, delle riprese su canti di lavoratori delle poste di una cittadina africana, canti dei pigmei, ripetizioni mantriche di canti mongoli, ecc. Dovevamo solo ascoltarlo, così, per conoscenza. Io lo imparai a memoria, lo studiai sulla mia voce. Così il resto.

Ed invece, una chitarra rock come riesce a mettersi a proprio agio davanti al dancefloor?
Cerchiamo di non pensare gli strumenti solo nella loro configurazione “naturale”, a volte le chitarre giocano a fare i synth, a volte a fare le chitarre. Suonare la chitarra rock in un contesto rock è forse più semplice, ma alla lunga può risultare noioso e meno stimolante.

inte_Omosumo_IMG03_201409C’è più Omosumo nell’ultimo ep di Dimartino o “ultimo Dimartino” negli Omosumo?
Domanda difficile. Diciamo che c’è Antonio negli Omosumo, e che c’è Antonio nei Dimartino, e che ci mette del suo in ciascuno dei due progetti.

Oltre alla già citata spiaggia di Gaza e le sue onde, con quale altra immagine si può descrivere il vostro album?
Penso al parto di una mamma che genera il suo bambino immettendolo direttamente, deliberatamente nell’universo, in questo infinito spazio interstiziale tra pianeti che disegnano galassie. E questo bimbo, nudo, in mezzo alle stelle, in assenza di gravità, che si perde e si abbandona roteando come un piccolo nuovo satellite, con gli occhi curiosi di un esploratore, in cerca di terra forse, comunque sempre legato da questo infinito cordone ombelicale, di una madre lontana che comunica con lui attraverso quest’appendice che noi si è soliti tagliare per necessità. Quasi un primordio telepatico che mantiene una caratteristica fisica in un viaggio interstellare che non ha più una terra propria come stazione certa d’arrivo.

Nonostante i temi trattati siano tutt’altro che leggeri, io trovo che nella vostra musica ci sia molta speranza. Forse addirittura ottimismo. Mi sbaglio?
Non abbiamo la pretesa di lanciare messaggi con la nostra musica, ci piace che ciascuno ci legga ciò che gli riesce ad arrivare. Surfin’ Gaza è un disco che si muove intorno alle tematiche della guerra, di storie di persone, del mare, della pace; ed è una pace che puoi intendere sia come assenza di guerra, sia come scelta consapevole di abbandonarsi alla deriva, lontano dalla terraferma e da quello che ci sta sopra.

Per conoscervi ancora meglio chiediamo a voi cosa vi piace:quali musiche possono aver ispirato direttamente o indirettamente Surfin’ Gaza o quali semplicemente volete consigliare?
Durante il periodo che ha preceduto le sessioni di Surfin’ Gaza abbiamo ascoltato assieme tanta musica: Tinariwen, Sparklehorse, Black Sabbath, Portishead, Flaming Lips, Arcade Fire. Per adesso quando andiamo in giro i più gettonati sono quello di Sohn, Trentmoller, Moderat. Ma ultimamente, specie quando abbiamo tanti km da percorrere, ci siamo specializzati in monografie, ciascuno si prepara una “lectio magistralis” con tanto di ascolti di supporto: si va dalle lezioni di hard rock e metal di Roberto, agli approfondimenti di Antonio sulla musica italiana, alle monografie di Angelo sulla musica del deserto. In qualche modo il tempo ce lo dobbiamo passare!

Surfin’ Gaza – streaming

Nowhere – video

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