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L’artista si reinventa: intervista a Cristiano Godano (Marlene Kuntz)

I Marlene Kuntz hanno appena finito di suonare sul palco campano del Rockalvi. Il pubblico entusiasta sta pian piano abbandonando l’area del festival mentre i fan più affezionati attendono di poter incontrare la band per un saluto, una foto, un semplice ringraziamento. Cristiano Godano mantiene la parola spesa nel pomeriggio e ci concede un’intervista che si rivela presto uno scambio vero, informale e profondo intorno al vasto mondo MK e alla figura dell’artista in questo tempo di mutamenti e transizione.
Si ringrazia il Rockalvi e Peppe Guarino, grandiosi megafoni dell’associazione Camilla la Stella che Brilla ONLUS. (Foto 1 e 2 di Serena Mastroserio, foto 3 di Emanuele Gessi)

Avete appena suonato sul palco del Rockalvi di Calvizzano (NA), un festival particolare e complesso, a scopo benefico, che cerca di portare la musica nella periferia. Com’è riuscito il live dal vostro punto di vista?
Si tratta di situazioni complicate. Oggi pomeriggio, quando siamo arrivati, ero timoroso nel vedere tante case così vicine ad un palco rock. Mi rendo conto che non è detto che si debbano imporre certe dissonanze ed elettricità a gente che non ha voglia di sentirle. A volte penso che sia più giusto fare la musica negli ambienti preposti, visto che tutta la nostra società è già eccessivamente rumorosa. Comunque, al di là di questo, è andata molto bene per noi, perché il palco era figo! C’era un ottimo impianto, ci sentivamo molto bene, e quando questo accade si ha subito una marcia in più.

Nella tua luce è il vostro nuovo album: quali sono stati i tempi nei quali sono nati i brani che lo compongono?
Praticamente tutti i brani erano stati scritti prima della vicenda che ha fatto un po’ da spartiacque, cioè l’esperienza sanremese. Quando abbiamo avuto la conferma ufficiale della nostra partecipazione ovviamente ci siamo concentrati solo su quello mettendo da parte la fase creativa dei nuovi brani.
Canzone per un figlio e Pensa arrivano dalla stessa sessione dei brani poi presenti in Nella tua luce. Se vai a Sanremo devi considerare il contesto, quindi, anche insieme a Gianni Maroccolo (che è stato un po’ la nostra “chioccia”) abbiamo pensato di usare l’orchestra in un modo non convenzionale, quindi con una forte presenza di fiati. Dopo Sanremo abbiamo avuto una stagione di concerti e successivamente ci siamo riappropriati di questi provini e li abbiamo lavorati.

La scelta dell’autoproduzione quando è avvenuta?
È stato Riccardo ad occuparsi della prima lavorazione sui provini, anche modificando alcune strutture, oltre ai suoni. Quando lui ci ha presentato questa nuova confezione ci siamo accorti che suonavano davvero bene, quindi abbiamo proseguito in quel modo.

Hai parlato prima di “spartiacque”. Dal punto di vista musicale, con uno sguardo sul lavoro finito, riuscite a riconoscere una strada che avete intrapreso?
Ma, sai, io non sono mica tanto bravo in questo tipo di valutazione. Non mi sembra di essere nemmeno in grado di dire cosa sia successo da un disco all’altro. L’unica cosa che posso dire è che, in questo nuovo album, in certi brani il songwriting può ricordare i Marlene… in altri assolutamente no! Se penso ad un pezzo come Catastrofe, mi accorgo che non abbiamo mai fatto un brano così. Lo stesso vale per La tua giornata magnifica. Mi fa ridere poi che alcuni abbiano fatto girare la voce che questo brano sembra Knockin’ on heaven’s door di Bob Dylan, un plagio! Fa ridere perché questo brano era nato diversamente, con un suono alla Neil Young periodo Zuma, elettrico e psichedelico, ma con anche un po’ di rock’n’roll alla Queens of the Stone Age. Riccardo poi si è divertito a lavorare sul brano e ci ha presentato una versione nella quale era saltato un buon 50% del pezzo originario. Ci piaceva, era più moderno, e noi non volevamo fare un disco che suonasse tributo agli anni ’70 (come invece spesso accade nella scena underground)… e soprattutto credo che Riccardo non abbia mai ascoltato per intero un disco di Bob Dylan!

 In tanti ora dicono che “finalmente sono tornati i vecchi Marlene”: a me non sembra!
(Ride annuendo, ndr) Su di noi ci sono state sempre molte pretese, probabilmente perché siamo stati molto importanti nelle prime tre uscite. Abbiamo dato tanto, ma credo che tuttora stiamo dando tanto. Però c’è sempre qualcuno che la pensa diversamente. Più ci dicono queste cose, e più noi andiamo lontano. Chi ci vorrebbe come una volta forse dovrebbe stare zitto per tre dischi e al quarto ci arriveremo per conto nostro!

Sempre più importante è l’apporto della poesia nei brani dei Marlene Kuntz. Riferimenti più o meno espliciti sono in crescendo negli ultimi lavori. Quanto frutta questo gioco di commistione tra musica e poesia?
Cosa intendi per “quanto frutta”?

Riconosci un riscontro da parte del pubblico? C’è apprezzamento verso questa componente e quanto viene vista come qualcosa di diverso ed alternativo nella musica rock italiana?
Quello che vedo a volte è che chi ha voglia di criticare spesso si appiglia a questa accusa di “sfoggio”. Mi dispiace si interpreti in questo modo. Mi è stato riferito che di recente una recensione di un giornale importante, che poi non ho voluto leggere per non farmi risucchiare da energie negative, abbia insistito su questo. E mi dispiace davvero. In altre occasioni ho chiacchierato di queste cose, anche durante la docenza che tengo in un master (in realtà sono “ospite”); discuto e parlo anche di questo aspetto: per me la poesia è semplicemente un luogo di ispirazione. Può capitare ad una persona che ha scritto più di cento canzoni di avere una musica e dover pensare ad un testo e chiedersi cosa diavolo dire. Io ho adottato questo sistema per non allarmarmi mai: se non so cosa fare metto da parte il foglio bianco e serenamente decido di mettermi a confronto con una forma d’arte qualsiasi, per un semplice “scambio”. Solitamente scelgo di leggere una poesia non tanto perché io sia un lettore strutturato ma lo faccio per il fatto che queste sono già espresse con lo stesso strumento che dovrò poi io utilizzare, cioè i versi. Io ho ben chiara la distinzione tra una poesia e una canzone, sono due cose nettamente differenti. Gli espedienti tecnici espressivi tra poesia e canzone sono però i medesimi! La scelta delle parole, il ritmo, i versi… per questo decido di confrontarmi con la poesia. A volte c’è talmente entusiasmo nei confronti di ciò che sto ricevendo da questo scambio chemi trovo a fare un qualcosa che, ad esempio, nel contesto letterario è usuale. La comunità dei lettori è abituata a citazioni, allusioni, giochi e rimandi del genere; evidentemente l’ambiente rock ed il suo pubblico non lo sono. Spesso lo faccio con la speranza che l’ascoltatore sia poi invogliato a scoprire ed interessarsi a Mandel’štam, a capire cosa fu l’aberrazione del comunismo in Russia, perchè là i letterati venivano mandati a morire per quello che dicevano (la satira politica ora si prende delle libertà che a quei tempi erano impensabili). Sarebbe bello che una canzone portasse il pubblico ad avere una consapevolezza sui temi che tratta. Il 90% di ciò che faccio deriva dalla volontà di condividere qualcosa che mi ha appassionato. Se parlo di Nabokov non devi pensare che sto utilizzando un termine esotico del cui uso mi voglio vantare… leggilo! Io vorrei che tu lo leggessi perché mi piacerebbe un casino che tu scoprissi che è un immenso! Quando da giovane amavo Nick Cave e i Sonic Youth, avrei voluto che tutto il mondo li amasse con me… questo è il mio approccio, diverso evidentemente da quello di altri.

Con il web, invece, il vostro rapporto è notevolmente mutato: prima era conflittuale, ora è più aperto. Pensate che accorciare le distanze tra musicista e fruitore della musica sia davvero importante?
Faccio una premessa: avrei tanto preferito fosse rimasto come era un tempo. Sicuramente è una visione antica, ragionevolmente difficile da comprendere per un giovane che non ha conosciuto quella realtà. Ora il web costringe noi musicisti ad essere molto più presenti, perché se non lo sei poco alla volta vieni tagliato fuori. Quando non c’era il web, la cosa fantastica era appunto il mistero, il “nascosto”, il pathos: non sapevi nulla di cosa passava nel mezzo tra un disco e l’altro. Da un disco all’altro notavi davvero cosa era cambiato, poi andavi a sentirlo dal vivo, ed era una ri-scoperta. Ora la riscoperta non c’è più e tutto è livellato verso il basso nel mare di internet.
Detto questo, io avrei preferito fosse tutto come un tempo non perché sono uno snob, anzi, so bene quanto il nostro pubblico tiene a noi come ad una cosa preziosa, ma penso ciò in virtù di quello che ho detto con quella premessa. Sarebbe un approccio
all’arte più ricco.
Posto che così non funziona più, posto che ci abbiamo messo due-tre anni per reagire a questo shock, ora sappiamo che internet è “the new thing” e con questo bisogna averci a che fare. Quindi conviene capire da che parte si può avvicinare questo strumento, magari divertendosi, con serenità, coltivando una comunità positiva. I troll, invece, lentamente vengono espulsi da una risata (“una risata vi seppellirà”).

In questo ultimo periodo voi tutti siete stati molto concentrati, anche separatamente, su progetti differenti: penso al tuo blog su Il Fatto Quotidiano, il tour con Giancarlo Onorato, lo spettacolo Lo show dei sogni con Davide e Luca… con il senno di poi riconoscete degli elementi che “ora sono dei Marlene” ma che in modo preciso provengono da alcune di queste esperienze?
Apro una parentesi: anche il blog non l’ho fatto per vanto personale ma perché è uno strumento tra tanti per dare visibilità al nome Marlene Kuntz in un luogo nuovo dove tanti non ci conoscono. Inoltre sono stato invitato, sennò mai mi sarei permesso di andarci: la vanità del blog non mi interessa, io ho i Marlene Kuntz per esprimermi.
Tutte queste esperienze, comunque, ci stanno completando tantissimo dal punto di vista umano e artistico. Non ci sono degli elementi precisi la cui provenienza sia riconoscibile, ma è un crescendo. Ad esempio fino a due anni fa non avevo il coraggio di esprimermi da solo con la chitarra acustica: ora lo faccio, ho trovato un sound nelle dita che arriva a soddisfarmi appieno. E questo è dovuto al fatto che l’artista di questi tempi è costretto a reinventarsi… porta a dover trovare il coraggio per fare delle cose che magari prima non avresti fatto,  e che però ti aiutano a crescere. Questo concetto della crescita, della maturità, apparirà banale, ma io ci credo molto.
È proprio vero, si scopre che con il lavoro e l’esercizio si possono davvero fare un sacco di cose in più.

Il genio (l’importanza di essere Oscar Wilde)

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