Home / Editoriali / Come un percorso a ostacoli: intervista a Lo Sconosciuto (Federico Moi)

Come un percorso a ostacoli: intervista a Lo Sconosciuto (Federico Moi)

Strano e magnetico, profondo ma non esplicito: Federico Moi, nei panni de Lo Sconosciuto, si diverte a depistare l’ascoltatore disseminando le canzoni di trappole. Se si resiste alla provocazione, comprendendo l’ironia dei suoi espedienti, ci si scopre di fronte ad un disco il cui messaggio è tutt’altro che ironico o frivolo.
Con Federico abbiamo parlato del suo Decalogo+1 (in streaming su SoundCloud) e dell’ambiente musicale italiano, con i doverosi toni critici ma anche con rara onestà ed umiltà.

La prima sensazione all’ascolto del tuo disco è “spaesamento”. Se la tua musica fosse qualcosa di fisico potrebbe essere un’opera d’arte a collage, non trovi?
Se ti riferisci ad una certa disomogeneità stilistica tra le canzoni, direi di sì. Però sarebbe comunque un collage con una sua identità unitaria, che restituisce cioè un’unica immagine complessiva.

Perchè un “Decalogo +1”? Sono dieci leggi? Perchè l’undicesima?
Le canzoni esprimono concetti di massima sintetizzati dal titolo (Decalogo). L’unica eccezione è Lo sai Baba? che costituisce categoria a sé (+1), non rispettando questa regola.

“Segnalare sfanalando agli automobilisti la presenza dei carabinieri o della polizia, è l’unica forma vera e spontanea di solidarietà tra esseri umani ed è pertanto l’unica che non pratico” (dal testo di Solidarietà): Lo Sconosciuto è un arguto realista o un terribile pessimista?
Le due cose spesso vanno di pari passo, comunque non mi definirei né “arguto”, né “terribile”, solo un modesto osservatore che tende ad avere una visione prevalentemente negativa delle cose.

Puoi raccontarci chi sono L’uomo pecora, Bambino, Neanderthal e Ordinario? Come si sono incontrati in questo album?
La nascita di questi personaggi è avvenuta a posteriori ed è legata al diverso tipo di effetti utilizzati per la voce. Questa scelta, che probabilmente costituisce uno degli aspetti più audaci da parte mia, ed ostici per chi ascolta, è qualcosa di più di una semplice questione formale. Le voci utilizzate in questo modo dovrebbero dare un contributo di senso al pezzo potenziandone l’aspetto drammatico o ironico. Per questo, alla fine, è sorta naturalmente l’esigenza di dare dignità di veri e propri personaggi alle quattro voci che si alternano nel disco.

È cinismo quello cantato in Libertà?
Assolutamente no. È un messaggio di speranza, teso ad evidenziare gli aspetti positivi della morte in modo tale che ognuno di noi cominci a ripensarla in altri termini, a rielaborarne il concetto. Capisco che possa suonare pretenzioso, ma da artista che parla alle persone ho questo ruolo: dire delle cose possibilmente importanti e significative.

Un altro passaggio che mi ha colpito è questo: “e moriamo perché siamo in guerra, e ridiamo perché siamo tristi, tutti, anche i malati e i pacifisti” (Lo sai Baba?). Di che guerra stai parlando?
Della guerra che si combatte tutti i giorni per la sopravvivenza. Una guerra non è necessariamente quella che vede gli eserciti schierati, è anche quella, apparentemente meno drammatica ed eclatante, che minaccia ogni giorno la sopravvivenza e l’armonia sociale, quella dei poveri contro i ricchi, del potere, delle istituzioni, dei tanti deboli contro i pochissimi forti.  Penso ai suicidi, alle forme estreme di protesta, alla sofferenza, alla rabbia da una parte e all’avidità, al cinismo e alla spietatezza dall’altra. Due fazioni, una guerra.

Musica: il tuo precedente progetto Lover of 69 è stilisticamente differente (seppure qualche collegamento rimane), e l’esperienza negli Hollowblue è distantissima da Lo Sconosciuto. Dove nasce quindi, musicalmente, questo tuo ultimo progetto?
Questo progetto nasce assolutamente per caso. Ero nel pieno svolgimento della mia precedente incarnazione solista Evolve Or Die (www.evolveordie.it), (Lovers of ’69 è ancora precedente) quando, a partire da un disegno che ho fatto (una specie di santone), è venuta l’idea per la canzone Lo sai Baba?. Da lì è stato tutto molto spontaneo ed immediato, anche grazie all’incoraggiamento di persone a me molto vicine che hanno apprezzato ed intravisto delle potenzialità importanti. Dopo anni e anni di convinta militanza anglofona mi sono ritrovato improvvisamente ed inaspettatamente “cantautore italiano” e non sono più riuscito a smettere. Strano. Molto strano. Ma è così che è andata.

Come avviene la tua composizione? Musica e testi sono interamente tuoi, anche nell’esecuzione: una scelta o una necessità?
Una necessità, quella di avere il totale controllo su qualcosa a cui tengo immensamente e che è parte integrante di me. Questo comporta anche un’importante assunzione di responsabilità e dei rischi derivanti dal fatto che sono ovviamente limitato da tanti punti di vista. Va detto però che compenso questa esigenza di soddisfazione del mio enorme ego con l’accettazione del ruolo secondario che ricopro quando suono in una band dove generalmente sono molto disponibile a sottomettermi al leader di turno mantenendo una mia identità ma in forma molto meno invadente e tirannica.

Lo Sconosciuto è un nome profetico o provocatorio?
È una provocazione che sta nel profetizzare che tutto quello che faccio non porterà a niente perché il contesto e il sistema sono malati e non permettono a chi propone comunque qualcosa di originale e di personale di emergere se non eccezionalmente o al di fuori di certi circuiti privilegiati.

Secondo me i “circuiti privilegiati” dell’ambiente indipendente italiano sono piccoli gruppi nei quali gli artisti devono aver la fortuna di riuscire ad entrare. Lo schema non è gerarchico, ma molle: garanzie dal passo breve. La penuria di denaro in circolazione nell’ambiente, spesso fatta passare come condizione garante della libertà artistica, paradossalmente può essere causa di mancanza di coraggio in tutto il sistema?
È n discorso estremamente complesso e c’entrano un po’ tutte le cose che dici. La mancanza di risorse da parte di chi dovrebbe investire nella musica porta a mancanza di coraggio, la stessa che magari caratterizza anche i giornalisti, i quali preferiscono andare sul sicuro piuttosto di arrischiare un giudizio su un qualcosa che non ha punti di riferimento.
In generale poi bisogna considerare l’appiattimento a livello culturale che questo paese ha sofferto e sta soffrendo in virtù del condizionamento mediatico. A onor del vero, ci sono casi (Le luci della centrale elettrica, I cani, per citarne alcuni) in cui tutto questo meccanismo salta. Chi come me non è riuscito nell’impresa cerca di darsi delle spiegazioni sul perché e quindi si arriva a criticare il sistema, ma c’è sicuramente una parte di “colpa” anche dell’artista che in qualche modo non è riuscito per vari motivi ad essere efficace con la sua proposta. Inutile girarci intorno.

Come si comporta Lo Sconosciuto dal vivo?
Male, nel senso che c’è questa tendenza all’autoironia e allo scazzo legati all’elevato tasso alcolico… e per qualcuno risulta ostacolo per il pubblico alla percezione della profondità “drammatica” della proposta.

Quali dischi ascolta in questo periodo Federico Moi?
Da questo punto di vista cerco di tenermi al passo con i tempi ma è sempre più difficile e faticoso. Ascolto più musica straniera che italiana. Al momento nel mio iPod ci sono Nick Cave, My Bloody Valentine, Ormonde, Faust’O, Veronica Falls, Neil Young, Suuns, Youth Lagoon, Baustelle, Holly Throsby, John Grant,   ecc… Dovendo dare un consiglio, direi l’ultimo dei Baustelle e l’ultimo dei My Bloody Valentine.

Decalogo+1 – Streaming

Ti potrebbe interessare...

Benvegnù intervista

In fuga dalla carovana dei cortigiani, intervista a Paolo Benvegnù

Le conversazioni, quelle belle. Le occasioni commoventi di incontrare, tangendole, le curve perfette della personalità …

Leave a Reply