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Il melting pot musicale che affascina e annulla i confini: intervista a Suz

Susanna La Polla, in arte Suz, inizia la sua carriera musicale tra gli anni ’80 e ’90. In questo 2013, dopo varie esperienze, presenta il suo secondo album dal titolo One Is A Crowd. Un sound cosmopolita e moderno che spazia tra molti generi rendendolo difficilmente etichettabile. Per questo, oltre che per la qualità che la caratterizza, l’opera di Suz ci ha colpito profondamente e abbiamo pensato di proporre a lei un incontro grazie al quale conoscere meglio il suo progetto che pone al centro la condivisione, la competenza e la passione. (In streaming esclusivo autorizzato: Distant Skies (Don’t Say A Word) – Katzuma and the Expanding Machine Remix)

Esce il 31 Gennaio il tuo nuovo album. Puoi raccontarci in breve la sua genesi?
L’idea di fare un secondo disco dopo Shape Of Fear And Bravery (2009) mi solleticava da tempo. La cosa però ha iniziato a concretizzarsi solo dopo che Alessio Argenteri (Casino Royale, Blackjob) mi ha donato quattro basi che sono poi diventate To Here and Now, Frailest China, The Enemies Within e A Thousand Deaths): sono stati il punto di partenza. Su quelle ho iniziato a cantare e scrivere e poi mi sono presentata a Torino da Ezra, che ha prodotto l’album al No.Mad Studio (sotto la mia severissima supervisione!). La gestazione dell’album poi è stata piuttosto lunga, anche perché nelle fasi di mixaggio e mastering io ed Ezra ci siamo trovati a lavorare a distanza e i tempi si sono dilatati molto.

Quali sono le principali differenze rispetto al precedente Shape of fear and bravery?
Rispetto al precedente album, per One Is A Crowd il grosso lavoro in studio è stato fatto prevalentemente da Ezra e me in varie riprese. Inoltre, se nel primo disco i brani erano stati scritti insieme a Reverendo M e all’arpista Duccio Lombardi, questa volta fra i compositori delle musiche ci sono Alessio “MannaMan” Argenteri al basso e il violoncellista e contrabbassista bolognese Bruno Briscik (già presenti nel precedente album), Luca Scarrone (musicista, autore di Rubber and Glue, che in questo brano suona anche il contrabbasso), e Dj Pandaj (nel remix di Out Of The Blue ad opera di Ezra). Inoltre sono presenti due duetti vocali, uno con Angela Baraldi (artista che non ha certo bisogno di presentazioni) e l’altro insieme ad Estel Luz (voce della formazione reggae piemontese Dotvibes).
Direi che nel nuovo album, rispetto al disco precedente, che era piuttosto scuro e notturno, si intravede qualche spiraglio di luce.

Stai seguendo un percorso di crescita delineato? Nel caso non fosse così “premeditato”, guardandoti indietro ne riconosci comunque uno?
No, non c’è assolutamente alcunché di premeditato in quello che faccio. Riconosco però una certa crescita rispetto al precedente lavoro, anche grazie a nuove esperienze, a nuovi ascolti e letture ed inoltre a periodi di solitudine che mi sono stati molto utili per riflettere e scrivere. È inevitabile che la crescita personale come essere umano si rifletta nei brani che scrivo, ma guardandomi indietro, non vedo grandi fils rouges. Ho sempre cercato di scrivere e cantare i brani che mi sarebbe piaciuto ascoltare. Nella mia crescita musicale sono state determinanti anche le capacità e competenze tecniche acquisite da Ezra negli ultimi tre anni, insieme ovviamente all’apporto – preziosissimo – di Alessio Manna e di tutti i musicisti presenti nel disco.

Musica elettronica con influenze soul, dub, reggae, jazz, pop, hip hop e blues: cosa senti più intimamente tuo?
Certamente ho amato e amo tantissimo il dub e tutti i generi da esso derivati o influenzati, ma in realtà sento intimamente miei tutti i generi che hai elencato. Quando si parla di musica mi riesce molto difficile ragionare a compartimenti stagni. Fra le mie madeleines proustiane, per dire, ci sono non solo album jazz e hip hop ma anche anche dischi di gothic rock, folk e hardcore punk.

Come si presenta un tuo live set?
Dal vivo siamo in tre: io alla voce, Alessio al basso ed Ezra come dubmaster. Rispetto ai live di Shape of Fear and Bravery, ora la formazione si è praticamente dimezzata perché nel disco non ci sono chitarre e le batterie sono elettroniche; abbiamo comunque un discreto impatto, come abbiamo potuto constatare lo scorso ottobre, quando abbiamo presentato One Is A Crowd in anteprima nell’ambito del festival di musica elettronica RoBot. Inizieremo a promuovere il disco dal vivo a febbraio, con un release party il 9 all’Arterìa di Bologna.

L’importanza dei remix: cosa significa per un artista offrire/scambiare un proprio brano ad un altro artista per un remix? Cosa cerca il primo e cosa trova il secondo?
Tutti i produttori ai quali mi sono rivolta per remixare miei brani sono musicisti che stimo e dei quali apprezzo moltissimo il lavoro. Penso a Thavius Beck, che ha remixato il singolo del mio primo album, ma anche a Katzuma ossia Deda dei Sangue Misto (a mio parere – e non solo mio – il miglior gruppo hip hop italiano di sempre), ed ancora a tutti coloro che hanno collaborato al disco in cui sono remixati tutti i brani del mio primo album (Shape of Fear and Bravery Remixed). Avendo la fortuna di conoscere molti musicisti mi piaceva l’idea di coinvolgerli tutti oltre al fatto di essere curiosa di scoprire quali nuove vesti avrebbero dato ai brani.

I testi che ruolo hanno nel tuo progetto artistico? Come nascono e si sviluppano?
I testi sono fondamentali. A volte mi arrivano in testa come per magia, spesso prima di addormentarmi o nel dormiveglia la mattina o ancora quando girovago da sola a piedi per la città. Altre volte invece mi ritrovo a lavorarci sopra per giorni e giorni. Sono ciò che rimane di letture, ascolti, racconti, confessioni, frasi origliate, esperienze personali o altrui, o semplicemente il frutto di rielaborazioni – spesso inconsce – di passioni che mi accompagnano da sempre. In questo disco più che in quello precedente infatti sono presenti citazioni e riferimenti, e non esclusivamente musicali (i testi di Let One Be A Crowd sono ispirati in parte a Thomas S. Eliot), ma preferisco non dilungarmi su questi ultimi perché non vorrei che il tutto suonasse troppo pretenzioso. Credo che parte del divertimento di avere a che fare con questo disco stia nello scoprirlo da sé.

Il tuo disco colpisce un ascoltatore per l’equilibrio tra eleganza e modernità capace di conferire ai brani un fascino vero e profondo. Se ti chiedessi dove posso trovare altrove queste caratteristiche, che nomi mi consiglieresti?
Ti ringrazio davvero. Con le caratteristiche di cui parli, all’estero mi vengono in mente tantissimi nomi, primi fra i quali quelli di artisti o band (alcune oggi non più sulla scena) i cui album ho letteralmente consumato, e cioè Moloko, Massive Attack, Lamb, Martina Topley Bird, i primi Morcheeba e Neneh Cherry.  In Italia nel panorama musicale attuale citerei gli AmyCanBe o i LetHerDive, il progetto Liquid Minds o i Black Era o ancora gli Armoteque ma certamente mi sto dimenticando di qualcuno.

La tua musica, ispirandosi a sonorità lontane dalla tradizione italiana, ben si presta al mercato estero. Il tuo sguardo si volge anche oltre i confini nazionali?
Non nascondo che mi piacerebbe riuscire a far arrivare la mia musica all’estero, in particolare in Inghilterra. La mia etichetta, No.Mad Records di Torino, si sta muovendo anche su quel fronte. Vedremo che succederà.

Per questo nostro incontro ci hai donato un brano in esclusiva. Parlaci del brano che i nostri lettori staranno ascoltando durante la lettura di questa intervista.
Il brano è un remix cesellato dal già citato Katzuma alias Deda insieme a parte dell’ensemble Expanding Machine (Alessandro Meroli al flauto, Davide Blandamura al basso, Nico Menci alle tastiere e Zenigata al sax). Si tratta di una raffinatissima versione in chiave funk ’70s del primo singolo dell’album, Distant Skies (Don’t Say A Word) prodotto da Kutmasta Kurt. A mio parere con questo remix Katzuma è riuscito a dare un tocco di classe oltre che un’impronta decisamente solare a un brano in origine cupo e dai toni inquietanti. Del singolo poi esistono altri due remix: quello di MannaMan/Blackjob, ispirato alle nuove frontiere raggiunte dalla bass music britannica, e quello di Ezra, pensato per i dancefloor (insieme al remix di Katzuma questi fanno parte del singolo, uscito lo scorso 7 dicembre esclusivamente on line per No.Mad Records).

Distant Skies (Don’t Say A Word) – Katzuma and the Expanding Machine Remix – Streaming

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