Home / Editoriali / Un elogio alla purezza: intervista a Marco Notari

Un elogio alla purezza: intervista a Marco Notari

Un elogio alla purezza. E’ così che può essere definito Io?, il terzo album della carriera del cantautore Marco Notari in compagnia della sua storica band ovvero i Madam. Del resto tenere ferma la memoria e conservarne tutto l’amore provato e ricevuto per darne ancora non è lo slancio di chi si è mantenuto pulito e trasparente? Questo disco è una piccola porta aperta sul mondo affettivo di Notari e sul suo modo di curarlo. Ma non è tutto qui, come è giusto che sia per un disco. Ché un disco deve essere composto di canzoni, e queste sono ben scritte, ben arrangiate, e soprattutto emozinate e emozionanti. Ottimi esempi di talento melodico, di istinto rock e di virate nell’elettronica. Urgenti e sincere. Esattamente come Notari. (I brani sono in streaming autorizzato;foto 1 di Noelia Suarez)

Il titolo del tuo nuovo disco pone l’accento in modo diretto ed esplicito sulla soggettività. Me ne parli?

Il disco prende il titolo dal suo primo brano, in cui ho immaginato me stesso nel grembo di mia madre poco prima di nascere, un attimo in cui ho l’impressione sia già racchiuso tutto il senso della nostra esistenza. Attraverso tutti i brani ci sono molti riferimenti espliciti a persone a cui voglio ed ho voluto bene, credo di essermi messo a nudo molto più che in passato e di essere andato più a fondo dentro me stesso. Per questo mi sembrava un titolo adatto, anche se a discapito di questa soggettività che suggerisce vedo piuttosto questo disco come un percorso per cercare di liberarsi del proprio ego. Un po’ come I me mine di George Harrison, per intenderci.

Infatti pensavo ad una soggetività amante, e in quanto tale priva di ego in senso negativo. Io, il mio corpo e l’inconscio è un po’ il centro del disco. Brano nato in poco tempo che si mostra come manifesto di tutta l’urgenza che hai voluto comunicare con il nuovo capitolo della tua carriera…
Il senso del tempo che passa è molto presente in questo disco. Io, il mio corpo e l’inconscio è nato in pochi minuti come una sorta di flusso di coscienza su me stesso, sul tragitto della mia vita e su ciò che spero resterà di essa. Come ti dicevo una buona parte dei brani del disco parlano esplicitamente di me, di mia moglie, dei miei genitori, di mia sorella, di mia nonna. Poi ci sono alcuni brani che parlano delle cose a cui tengo e delle cose che trovo insensate e assurde, come la situazione socio-politica del nostro Paese e queste guerre economiche travestite da guerre di religione. C’è un libro che mi è sempre piaciuto molto, La storia dei sogni danesi di Peter Hoeg, in cui l’autore ripercorre la storia della propria famiglia unendo elementi storici ad elementi magici e surreali, che altro non sono che una rappresentazione reale della sua soggettiva. Credo che nel mio disco ci sia lo stesso spirito, l’idea è che per conoscere se stessi è fondamentale ad un certo punto della propria vita ripercorrere la propria storia dall’inizio per poi rivolgere lo sguardo al futuro.

Parlami del suono di questo disco. Delle tue intenzioni iniziali e del risultato…
Devo dire che avevo le idee molto chiare sul suono fin dall’inizio, e che in questo senso è stato bravissimo il produttore artistico Andrea Bergesio a concretizzare ciò che avevo in mente. Tra me ed Andrea si è creato da subito un rapporto di grande empatia e voglia di sperimentare, così lavorare al disco è stato molto divertente. Ci siamo sbizzarriti a giocare con molti strumenti e non solo: ad esempio una scatola di cartone che avevamo in sala prove è diventata una percussione in diversi brani. E’ un disco pieno di suoni: glockenspiel, sintetizzatori, chitarre in reverse, percussioni, elettronica, fiati. E molti pianoforti e piani elettrici. Il lavoro in studio con i Madam (Luca Cognetti che ha anche co-prodotto il disco con me, Roberto Sburlati e Pax Caterisano) è stato poi decisamente collettivo ed anche loro hanno dato un apporto fondamentale ai brani, così come Taketo Gohara che ha mixato il disco.

“Dina canto per te qualcosa che non muore”. Tutto passa, le persone e le loro storie. Siamo esseri finiti. Eppure c’è un modo per fermare il tempo, no?
Certo, un disco ad esempio.
Quando prendi consapevolezza della tua natura nasce spontaneamente il desiderio di fermare le persone a cui vuoi bene e le cose a cui tieni di più in qualcosa che sia immune allo scorrere del tempo della tua vita. Credo che gran parte delle opere d’arte nascano da questo tipo di urgenza, più o meno consapevolmente.

Umanità. E’ questa la parola chiave che svela la prospettiva da cui hai voluto raccontare i personaggi di questo disco…
E’ una parola molto bella, per me rappresenta la capacità di aprirsi all’altro, al diverso. Purtroppo il mondo in cui viviamo si fonda sul suo esatto opposto, l’esaltazione dell’ego e del desiderio di possesso e di successo ad ogni costo, che genera inevitabilmente sopraffazione dell’uomo sui suoi simili e sull’ambiente che lo circonda. Sono convinto che liberarsi da questa schiavitù ed aprirsi agli altri sia l’unico modo per raggiungere una felicità reale e profonda nella propria vita, ma purtroppo è molto difficile nel contesto sociale in cui ci troviamo oggi.

Umanità e contraddizione. In questo disco racconti l’amore, in senso lato, e il male di cui l’uomo è capace…
Sì, credo che una delle caratteristiche più bizzarre dell’uomo sia proprio questa, quella di essere capace allo stesso tempo di imprese straordinarie e di atrocità incredibili. Ne La terra senza l’uomo mi sono calato nei panni di diversi animali: uno che vive in un allevamento industriale, una cavia da laboratorio, un animale da pelliccia, un uccello intrappolato in un mare inquinato dal petrolio. Sono vegetariano da alcuni anni, ma al di là di questo volevo porre l’accento su quanto il nostro stile di vita odierno ci porti ad abusare indiscriminatamente delle altre specie e delle risorse del pianeta, oltre che spesso dei nostri simili.
Ne L’invasione degli ultracorpi i protagonisti sono Davide e Mohammed, due ragazzi che vivono rispettivamente a Torino e Bagdad e che sono molto più simili di quanto i media ci vogliano fare pensare. Partendo da loro ho voluto parlare delle presunte guerre di religione di questi ultimi anni. In tal senso credo che più di mille parole possa essere esplicativo il titolo di un saggio di Michel Chossudovsky, uno degli economisti contemporanei che stimo maggiormente: La demonizzazione dei musulmani e la battaglia per il petrolio.

Apollo 11. Parlami di questo brano. Un evento straordinario in cui hai voluto immaginare i pensieri “umani”…
Apollo 11 è in un certo senso l’altra faccia della medaglia rispetto ai due brani di cui ti ho appena parlato. Credo che la conquista della luna rappresenti anche a livello simbolico un esempio delle cose straordinarie di cui gli esseri umani possono essere capaci. Immagino che anche la persona più disperata della terra in un frangente del genere possa sentire una piccola speranza per il proprio futuro, possa tornare a vedere quanto di buono ci può essere nelle persone.

Posso dire che Canzone d’amore e d’anarchia è come il punto di arrivo di un’intensa riflessione che si srotola nel disco? E’ una canzone che lancia un messaggio, una soluzione, che è il risultato di un’analisi e di una resa dei conti…
Probabilmente sì, è una presa di posizione contro qualsiasi forma di potere ed una dichiarazione d’amore. La riflessione di fondo è quella che dall’altro lato dello spettro rispetto all’amore ci sia il potere, un motore che genera odio e diffidenza tra le persone. Come ho letto in un museo “il Potere è un male in sé, un’idra che divora l’anima”. L’amore invece, il darsi senza pretendere nulla in cambio, penso sia qualcosa di molto più bello ed intelligente da perseguire ed è l’unico sentimento che sia in grado di lasciare una traccia di noi.

Mescoli la tua voce a Dario Brunori e a Tommaso Cerasuolo in due brani. Come mai proprio loro?
Sono due artisti che stimo molto e due cari amici. Penso che entrambi abbiano dato un grande apporto ai brani a cui hanno partecipato. Nel caso di Tommaso poi l’apporto è stato ancora maggiore perché si è occupato anche della copertina e delle illustrazioni del disco.

L’ultimo pezzo conferisce al disco un senso di circolarità, che è concettuale. Mi parli di questa visione, così legata al mondo orientale… ma anche tanto personale?
Innanzitutto, come ti dicevo all’inizio, credo che la vita sia circolare perché a pensarci bene lo stesso concetto di inizio contiene quello di fine. Inoltre gli anziani ed i bambini sono simili sotto molti punti di vista, anche in questo c’è circolarità. Poi c’è anche un richiamo esplicito al ciclo di vite, morti e rinascite della filosofia buddista, un concetto che trovo molto bello ed affascinante.

E il cerchio è l’elemento principale della copertina…
Sì, è stata un’idea di Tommaso, devo dire geniale, perché richiama quello di cui abbiamo appena parlato ed allo stesso tempo rende la copertina splendida.

La copertina e le illustrazioni avranno un futuro?
Penso proprio di sì. L’idea che abbiamo avuto con Tommaso è stata quella di realizzarne delle serigrafie, visto che si tratta di un lavoro davvero eccezionale e realizzato completamente a mano. Le vorremmo presentare parallelamente ad una serie di concerti in luoghi adatti a coniugare esposizione ed esibizione.

Cosa vuol dire per te “ricordare”?
Per me ricordare è un’attività molto bella e romantica. Mi è sempre piaciuta moltissimo la definizione di poesia data dal poeta inglese William Wordsworth: “it takes its origin from emotion recollected in tranquility”. Anche io spesso nei ricordi rivivo momenti del passato con la stessa intensità, forse anche maggiore. Ed in fondo ricordare è proprio ciò che ha fatto nascere la maggior parte delle canzoni di questo disco.

Io? – Preview

Ti potrebbe interessare...

Benvegnù intervista

In fuga dalla carovana dei cortigiani, intervista a Paolo Benvegnù

Le conversazioni, quelle belle. Le occasioni commoventi di incontrare, tangendole, le curve perfette della personalità …

Leave a Reply