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L’invidia dei baffi e la forma spontanea: intervista a Dario Brunori

Metti una sera d’estate, nell’afa della città che già si svuota. Metti una musica che unisce, fa sorridere e pensare. La Brunori Sas invade pacificamente Bologna e noi ne approfittiamo per sederci a tavola con il nostro cantautore imprenditore, sempre meno indie, sempre più nazionalpopolare. Un nuovo disco di cui parlare, un nuovo tour che attraversa l’Italia, un fiume di parole per parlare di progetti e idee. Come sempre, senza volersi prendere sempre sul serio.
Rosa è in streaming autorizzato; si ringraziano Pippola Music e Picicca Edizioni).

Allora, caro Dario, l’ultimo nostro incontro è avvenuto proprio qui a Bologna, l’inverno scorso. Ci salutammo dicendoci che ci saremmo rivisti solo con l’arrivo della nuova stagione fredda, invece ci ritroviamo nella calura cittadina, con un nuovo disco e un nuovo tour. Dimmi, cosa ha  cambiato le previsioni?
Escludendo l’aspetto finanziario che ci spinge a suonare –  ti ricordo che abbiamo famiglia – il tutto ha preso forma proprio alla fine dello scorso tour. Avevamo alcune bozze per i nuovi brani e, avendo la fortuna di avere uno studio a nostra disposizione, ci siamo ritrovati presto in condizione di tirar fuori un disco nuovo. Poi l’idea si è rafforzata man mano: io mi sono dato un periodo per scrivere, per vedere cosa sarebbe uscito dalla penna; a febbraio avevamo già un buon numero di brani. Canzoni buone, che ci convincevano. E, soprattutto, emergeva già quel motivo comune che unisce questi brani: Poveri Cristi è uscito proprio così.

Quindi siete ripartiti a pieno regime..
A disco ultimato, la prima conseguenza è stata pensare di ricominciare un tour, anche perché penso che questo album sia stato profondamente influenzato dagli scorsi anni passati a presentare dal vivo il precedente Vol.1. Questo nuovo album risente molto, nel bene e nel male, della presenza dei musicisti e della dimensione del tour che abbiamo vissuto. Si tratta sicuramente di una vita molto diversa da quella che era stata il terreno d’appoggio del primo disco.

Ecco, in effetti un’altra cosa che mi domandavo è proprio quanti di questi Poveri Cristi che racconti esistevano già nella tua testa, e quanti invece potrebbero essere frutto di incontri e occasioni che ti sono capitate. Ho l’impressione che, se nel primo disco hai messo a fuoco te e un certo immaginario, in quest’ultimo sembra piuttosto che tu abbia osservato le persone che ti stavano davanti e ad un tratto abbia iniziato a raccontarle.
Un po’ una cosa ed un po’ l’altra. C’è stato un periodo particolare dell’anno scorso che per molti motivi, derivanti anche dalla situazione generale in cui ci troviamo, mi hanno spinto in una direzione compositiva nuova. Penso ci fosse una parte di me che aspirava a scrivere qualcosa di differente, con una diversa profondità (parlo di contenuti ma anche di forma); volevo esulare da me senza speculare sul motivo del mio, chiamiamolo così, successo. E poi, un altro fattore determinante è stato il furgone, quello e la fortuna di viaggiare con Massimo (Palermo, batterista, ndr), grande cultore di cinema: Insieme abbiamo visto diverse opere neorealiste, film ma anche documentari come per esempio Mondo Cane; visioni che mi hanno suggestionato e inevitabilmente sono finite in qualche modo nel disco.
In generale, comunque, i brani colgono lo spirito di un momento, non sono il risultato di una decisione presa a monte: non ho mai pensato “adesso scrivo una canzone che parla di…”, il mio è un processo molto più naturale.

Diciamo quindi che non c’era la volontà di scrivere un disco, come dire, sociale. Però poi, a conti fatti…
Sì, a conti fatti è anche questo. Non ti nascondo, c’era anche la paura che questo album apparisse come una forzatura, un tentativo obbligato di fare il cantautore impegnato, per dimostrare di meritarsi i tanti premi ricevuti, per esempio. Però la naturalezza dell’intero processo mi rende tranquillo, so che la genesi dei brani è spontanea.

Parliamo proprio di riconoscimenti: Vol.1 ti ha portato tanti premi, critiche positive, sei stato osannato da diverse parti. Ti confesso che quando è uscito il nuovo disco pensavo che qualcuno fra i tanti critici ne avrebbe approfittato per spararti addosso. Invece te ne esci con un album oggettivamente difficile da colpire, e accumuli nuove critiche favorevoli. Ma queste voci, tutte così positive, come le vivi? Secondo te sono tutti sinceri o c’è qualche parac…?
Non so, sai, a volte è difficile interpretare le critiche altrui. A volte le opinioni dei giornalisti mi spiazzano anche, perché può capitare che qualcuno legga nella mia opera un intento o un significato che io non avevo previsto affatto. Questo è un bene, chiariamoci, mi piace che ci sia spazio per diverse interpretazioni. Rispetto alle critiche, poi, non credo ci siano motivazioni valide per parlare bene di me se non si pensa altrettanto bene, a meno di non essere schiavi dell’hype e di voler per forza salire sul carro del vincitore. Io, comunque, mi preparo anche alle bastonate ora. Già qualcosa è arrivato.

Ah, critiche negative che non ho ancora letto…
Ebbene sì. Ma va benissimo così: non voglio fare la parte di quello diplomatico, ma io sono molto critico nei confronti del mio lavoro, dentro di me ho la peggiore recensione possibile di tutto quel che faccio e mi piace capire le critiche. Certo, non se sono dettate da motivazioni futili, tipo “parlo male di te perché hai i baffi”. Una critica intelligente e concettuale è utile, fa parte del gioco. Anche se poi, il giornalista che mi critica, lo vado a prendere a casa! Insomma, noi della Sas siamo tolleranti ma vogliamo gli indirizzi!

Parliamo di composizione. Poveri Cristi, in rapporto al precedente lavoro, appare da subito più “curato” e consapevole. Se il primo poteva essere nato quasi per gioco, qui si sente che c’è un gran lavoro dietro. C’è una dimensione di coralità che secondo me emerge. Spiegaci un po’ come hai lavorato con i tuoi dipendenti…
Di mio c’è la produzione a cui ho lavorato, seguendo una direzione netta, con Matteo (Zanobini, ndr). Nella realizzazione siamo stati rigorosi e per me è stato anche massacrante perché mi sono ritrovato in diversi ruoli, dal canto al mixaggio: un delirio di onnipotenza che però per me era l’unica maniera di concludere tutto per tempo. Io idealmente amo e vorrei delegare, ma mi rendo conto che a volte non è possibile, anche perché se ho un’idea la inseguo. Che ci vuoi far? Lo spirito imprenditoriale non lo perdo! Comunque hai ragione, la dimensione corale c’è, lo testimonia anche la stessa copertina del disco. Il vantaggio di collaborare con una band, con musicisti così bravi, è che puoi farli partecipare a pieno alla lavorazione. Provi un brano, te lo immagini in un certo modo, lo proponi con un determinato sound, poi emergono continuamente dettagli nuovi, ti rendi conto in modo immediato di cosa funziona e cosa no, accogli suggerimenti e idee. Nel disco, per esempio, gli arrangiamenti sono ad opera di Mirko e danno un valore aggiunto importante. Inoltre, non tutti i brani erano da principio in forma canzone come nel primo album, quindi abbiamo dovuto lavorare di cesello. Prendi un pezzo come Rosa, per esempio, complesso e con un lungo svolgimento testuale: collaborare è fondamentale perché la musica interviene anche come didascalia alle parole, completandole. Ci sono momenti in cui gli strumenti sono un elemento narrativo vero e proprio.

Nel disco ci sono anche collaborazioni importanti, Dente e Dimartino. Raccontaci…
In entrambi i casi siamo partiti un po’ per gioco. Con Dente c’eravamo visti a fine anno per l’ultimo concerto del primo tour, a Cosenza, e a cena avevamo discusso di una collaborazione. Quando è uscita la canzone (Il suo sorriso), ho pensato subito fosse perfetta per lui e gliel’ho inviata. Anche se non eravamo fisicamente insieme, perché lui era a Milano, sono molto soddisfatto del risultato: penso che lui abbia davvero caratterizzato il personaggio, anche più di quanto io avessi immaginato. Io l’avevo figurato più intimidito, quasi minacciato dall’amico tradito, mentre lui invece l’ha reso più birichino; secondo me ha cambiato proprio il tenore del brano. Con Antonio è stato invece un colpo di fulmine live. Già il disco mi era piaciuto molto, siamo anche compagni di scuderia (Pippola, ndr) quindi lo conoscevo. Poi lo vidi dal vivo a Cosenza, in una situazione particolare, uno showcase quasi acustico molto intenso, quindi d’impulso lo contattai.
Come vedi sono collaborazioni nate in modo molto spontaneo..

Per quanto riguarda Dente io invece mi ero figurata un retroscena diverso. Forse perché quando ho letto il titolo, ancora prima di sentire il pezzo, e ho visto te e Dente insieme, ho pensato subito al Battisti di Mi ritorni in mente… “un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso”.
Perché no!

Un’eco che poi ho ritrovato nel brano e che mi portava a immaginare una scrittura a quattro mani…
Lui è stato davvero bravo. Diciamo che questo brano rappresenta l’ideale di duetto, è molto più di una semplice ospitata. Essendo realizzato a distanza, poi, per me ha ancora più valore. Il suo è stato un bel tocco, direi, da fuoriclasse.

Parallelamente al tuo progetto musicale, porti avanti anche quello imprenditoriale vero…
Il mattone, dici?

No, no, Picicca…
Ah, ecco! Perché il mattone l’ho delegato tutto ai miei fratelli!
Picicca va avanti bene, con il disco nuovo abbiamo inaugurato anche l’etichetta. Certo non è semplice coniugare le due cose, perché i soggetti coinvolti sono gli stessi, in Picicca e nel tour per esempio. Ci tengo molto, però: la mia idea rimane quella di sfruttare Brunori Sas come esperienza propria ma anche per arricchire la mia realtà locale. Se io, per la fortuna del mio progetto, riesco a stabilire un network di relazioni importanti, entro in contatto con persone che altrimenti sarebbero difficili da raggiungere… perché non approfittarne? Anche se si tratta solo di portare più agevolmente altri artisti in concerto nella mia zona. E poi un domani, quando magari le acque per me si calmeranno, mi dedicherò di più a produrre, segnalare. Credo sia molto importante avere un “luogo fisico” come Picicca in cui poter lavorare, sicuramente è stato importante per questo disco della Brunori Sas; ugualmente credo che il progetto Brunori Sas tornerà utile a Picicca.

Bene, ti faccio l’ultima domanda allora, ma bada che è la più importante. Per motivi di contenuto, c’è stata una selezione di brani per questo album, però… dov’è La giraffa morta?!
E’ qui, c’è da qualche parte! La portiamo comunque con noi nonostante soffra moltissimo: sai, dopo cento date in cui l’abbiamo lasciata morta sulla cassa, si è sentita esclusa. Comunque, parlando sul serio, è rimasta fuori perché volevo davvero creare una coerenza di contenuti. E’ stato così anche per Con lo spray, che pure poteva essere giocato come singolo. La giraffa morta, poi, aveva molto a che fare con il mood di Vol.1. Anche La Mosca in realtà non è un brano da Poveri Cristi, ma mi sembrava perfetto per fare da spartiacque tra due momenti del disco. E poi sai, quando porti dal vivo un brano per tanto tempo, può essere davvero difficile riproporlo su disco. Per esempio Una domenica notte è stata, diciamo, un colpo di fortuna, anche se qualcuno preferirà la precedente versione. Io di certo così com’era non l’avrei inserita, mi sembrava non fotografasse più quello che volevo rendere in Vol.2. Invece fortunatamente in prova è uscita questa nuova versione, più ritmata ma al contempo ancor più malinconica, che ha centrato quello che volevo trasmettere.

Ti toccherà fare un disco di b-side…
Certo, anzi, pubblicheremo quanto prima una platinum collection, solo in vinile così ve lo dovrete comprare tutti!

Rosa – Preview

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