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Giovane talento, poesia di piano: intervista a Carlot-ta

Si dice che le nuove generazioni siano inseguitrici di falsi dei, tutti basati su fatua immagine e poca sostanza. Questo tipo di stile di vita che si sta affermando nella nostra bella società insieme all’avvento del easy-home-recording dovrebbe condurre nel breve tempo all’estinzione di un certo approccio rigoroso allo studio e alla creatività artistica della musica. Ed invece in questa foresta di spine del diventare presto famosi senza sudare ecco sbucare una ventenne speranza di talento: Carlot-ta. Questo piccolo prodigio non ha deciso di prendere l’ascensore di un talent-show ma, passo dopo passo attraverso piccoli concerti, nel tempo ha avuto la fortuna di essere selezionata al recente Premio Tenco. Ha la classe e l’impeto di Tori Amos e la leggiadra eleganza di  Joanna Newsom. Il suo debut-album Make me a picture of the sun è un distillato di poesia fatta suono, la scelta di musicare poeti del passato non è pretenziosità ma sperimentazione che riesce solo a chi è dotato di un sentire superiore. Signori, siamo onorati di ospitare sulle pagine di LostHighways il vero talento 2011 della musica nostrana.

Armonie irregolari e strutture inconsuete dominano la tua musica. Sembra esserci una costante attitudine alla ricerca di nuove atmosfere sonore pur non dimenticando un certo approccio classico alla forma canzone. Come nascono le tue canzoni?
Nascono dal pianoforte principalmente. Suonando lo strumento mi capita di “incontrare” progressioni armoniche, spunti melodici o riff pianistici che mi piacciono. Da lì inizio a scrivere una canzone. Quello che mi interessa è trovare delle dinamiche originali proprio all’interno della forma canzone, mi piace l’estetica di questo tipo di composizioni, il fatto che si debba riuscire a sintetizzare in poco tempo e anche all’interno di una struttura più o meno definita delle idee interessanti ed efficaci. È molto stimolante.

Hai studiato il piano e la chitarra. Quale strumento ami di più dei due?
Sicuramente il pianoforte. È lo strumento che conosco meglio e che ho studiato di più e che quindi mi concede più libertà di espressione. Purtroppo raramente dal vivo mi capita di suonare un pianoforte acustico, è una cosa che mi dispiace molto, i pianoforti digitali non offrono gli stessi “colori”. Ultimamente comunque mi sto affezionando anche alle chitarre acustiche.

Hai scelto di musicare diverse poesie di grandi poeti e poetesse del passato. Tra Emily Dickinson, Charles Baudelaire, William Shakespeare, William Blake e Jacques Prevert quale autore preferisci e perché?
Il “progetto” (ora bisogna chiamarli così) era nato con la poesia francese, a quei tempi (i miei 16 anni?) ero una fan dei poeti maledetti. In realtà non c’è una grande progettualità alle spalle di queste scelte, oppure un concept preciso. Mi interessa il suono della parola più che il significato della stessa; la poesia ha già una musicalità intrinseca e ho pensato che potesse aiutarmi in questa mia “ricerca” o semplicemente nel portare avanti questa mia scelta. Le poesie che ho selezionato sono quelle che mi suonavano meglio, che potevano prestarsi al diventare canzone. Non amo molto parlare di questo aspetto del mio disco perché può sembrare un po’ pretenzioso o intellettualoide. In realtà è un espediente sonoro e musicale, tutto qui. Non so se in futuro continuerò a lavorare su poesie o su testi originali. Mi piace l’idea che la musica sia sufficiente a comunicare un messaggio, un’immagine, ma non voglio rinunciare alla voce, che è sicuramente uno degli strumenti più espressivi.

Come è nata 14th august a summer storm?
É un pezzo praticamente nato in studio e che ha trovato una sua forma durante le varie session di registrazione. Per un certo periodo non ha nemmeno avuto un titolo e in tutti i cd contenenti i bounce e i provini non definitivi compare con il nome di “Spritz” (non chiedermi il perché, non lo ricordo affatto)! Poi è successo che il giorno in cui abbiamo registrato la linea vocale (vediamo se indovini che giorno era!) ci fu un bel temporale estivo (i tuoni e fulmini che si sentono durante la canzone sono proprio registrati “live”); il testo che avevo scritto parlava proprio di quello e insomma l’atmosfera di quella giornata ci ha aiutati durante la registrazione e mi ha suggerito un bel titolo.

Hai eseguito Pamphlet al Premio Tenco. Raccontaci quest’esperienza…
Sì, ho avuto la fortunata occasione di esibirmi in questa nota rassegna; di certo è stata un’esperienza esaltante e inaudita visto che non sono abituata a contesti come quello, a palchi così grandi, a un pubblico così vasto e al contempo attento. A tratti è stato anche un po’ surreale, l’Ariston mi è sembrato un posto un po’ anacronistico e strano; c’ero stata una sola volta prima del Tenco, al cinema, a vedere La passione di Cristo di Mel Gibson. Due eventi piuttosto assurdi quindi, ancor più se cerco di associarli. In ogni caso è stato molto divertente e ringrazio ancora chi ha voluto fossi lì. Mi ha inorgoglito molto il fatto che gli organizzatori mi abbiano invitata semplicemente perché mi hanno sentita suonare e gli è piaciuto quello che ho fatto, un bel segnale, utile ad accrescere l’autostima e un po’ la fiducia negli addetti ai lavori.

Canti in tre lingue (italiano, inglese e francese) con la stessa disinvoltura. Quale preferisci e perché?
Mi riaggancio al discorso di prima. Preferisco non cantare in italiano perché la parola assume automaticamente un peso diverso che, relativamente ai miei brani, non vorrei avesse perché distoglie dal suono e dalla potenzialità, che la musica inevitabilmente ha, di innescare percezioni indefinite. Nel disco è presente una sola canzone in italiano (versione alternativa di un pezzo che è contenuto nel disco anche in inglese), è un esperimento che ho cercato di fare, non escludo che ve ne saranno altri; per fare “suonare” la propria lingua madre in modo che la gente non stia ad ascoltare quello che stai dicendo però bisogna essere molto bravi.

La scelta dei diversi tipi di alberi sulla copertina del disco?

È semplicemente un elemento grafico che mi piaceva molto, così, grazie all’aiuto di Benedetta Ciabattari, che ha curato l’artwork, ho deciso di riprodurlo innumerevoli volte in copertina. Sul retro del disco c’è una foto di me bendata in mezzo a un prato e degli alberi con alle spalle un sole luminosissimo, una foto che vira totalmente sul giallo. L’idea che volevamo esprimere è quella di una impossibilità di visione che si trasforma in immaginazione. Il giallo della foto non è naturale, è un sole pensato, immaginato. Alcuni degli alberi in copertina sono illuminati da questo sole, è una stilizzazione dell’immagine sul retro.

Quanto sarà importante girare in lungo e largo l’Italia (e non solo) al fine di mostrare la tua immensa bravura?
Ti ringrazio intanto del complimento. La speranza è quella di suonare il più possibile ovviamente. Già una ventina di date sono state fatte dall’uscita del disco e spero ne verranno molte altre. Mi piacerebbe molto che prima di ascoltare il disco si assistesse a un mio concerto. Sono due dimensioni piuttosto diverse e forse complementari visto che dal vivo suono da sola mentre al disco hanno collaborato una quindicina di musicisti.

Quali musicisti classici ti hanno ispirato di più nella composizione?
Non so se si può parlare di ispirazione vera e propria, ma mi piacciono molto i compositori francesi a cavallo tra ‘800 e ‘900: Ravel, Debussy, Satie, Fauré. L’uso di scale modali in particolare mi affascina molto, così come la capacità di essere sempre in bilico tra tonalità e atonalità. Le mie canzoni non si basano su una scrittura così complessa purtroppo, ma se ne fossi capace sarebbe quella la linea su cui lavorerei.

Quale artista italiano e straniero ti ha colpito recentemente?
Tra gli artisti diventati noti negli ultimi anni amo molto due cantautrici americane: Joanna Newsom e Marissa Nadler.

Un quadro che possa raffigurare la tua musica?
Bella domanda, difficile dare la risposta giusta. Così sul momento mi vengono in mente alcune incisioni di Giovanni Battista Piranesi, che disegnava con forti luci e ombre rovine di edifici classici avvolti da vegetazione selvatica. Credo che questo immaginario potrebbe essere in qualche modo vicino alla mia musica.

Make me a picture of the sun – Preview

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