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Marco Notari: Babele

In collaborazione con Libellula Music, in esclusiva il quarto racconto e l’illustrazione contenuti in Babele:noir di Marco Notari.

4) Bebele – storia e testo: Marco Notari

Si solleva la maglietta e si ricontrolla allo specchio. Gli sembra proprio che quella striscia di capillari rotti che gli è comparsa sulla pancia fino a qualche giorno fa non ci fosse. Torna a rintanarsi nel letto. La stanza è buia e tetra, fuori la primavera di Amsterdam è in fiore ed i prati rigurgitano migliaia di tulipani. Oggi Cristiano non ha fatto nulla, è rimasto tutto il giorno accovacciato sotto le lenzuola, le veneziane chiuse che lasciano filtrare quel poco di luce sufficiente a immaginare un sole caldo a picco sui palazzi. Il turno di notte al bar è stato massacrante, e poi lui non si sente affatto bene. E’ certo, assolutamente certo che quei segni sul torace rappresentino i sintomi di una malattia, e in effetti da quando li ha scoperti ,qualche giorno fa, fatica parecchio a respirare. Questo lo porta a pensare che con tutta probabilità potrebbe trattarsi di un tumore ai polmoni. O forse, chissà come, ha contratto l’AIDS entrando in contatto con il sangue di qualche persona infetta mentre lavorava nel bar. Come diavolo gli è venuto in mente di accettare quel lavoro ? Raccoglie le ultime energie e si rialza dal letto, raggiunge il bagno quasi in trance e si piazza di nuovo davanti allo specchio.

Si solleva la maglietta e ricontrolla i segni. Poi fa un respiro profondo e torna nel letto. Di certo è malato, per quanto quel medico in ospedale, poco competente o troppo distratto, gli abbia assicurato con sufficienza che si tratta soltanto di uno sfogo della pelle, probabilmente di natura psicosomatica. Ma in fondo a lui che gliene importa del povero Cristiano ? D’altronde, lo sanno tutti come funziona la sanità pubblica. Ci vogliono i soldi e le conoscenze per farsi curare bene. Di sicuro se tornasse in Italia, con l’aiuto della sua famiglia, potrebbe permettersi una clinica privata. Sarà costretto a farlo, se continua così. Ripensa al male che gli cresce dentro e sente un sudore freddo e tagliente scendergli lungo la schiena. Si sprofonda nel materasso e nasconde la testa sotto il cuscino.

Da quel piovoso lunedì mattina di novembre in cui Cristiano e Lucia sono arrivati ad Amsterdam sono passati sei mesi. Il primo periodo è stato davvero come lo avevano immaginato, tra visite ai musei, notti senza fine dentro la seducente vita notturna della città e gite fuori porta in bicicletta la domenica contro il freddo dell’inverno. Entrambi hanno trovato impiego come baristi. Così, rimbalzando vorticosamente tra turni di giorno e turni di notte, si sono garantiti i soldi per provvedere all’affitto ed insieme il tempo necessario per dipingere e presentare i propri quadri all’infinità di galleristi presenti in città. Giovani, determinati, e con la sensazione che il tempo fosse dalla loro parte, non hanno dato peso ai primi rifiuti ricevuti. Questo fino al mese di febbraio.

Con il mese di febbraio, infatti, l’entusiasmo in Cristiano aveva progressivamente cominciato ad affievolirsi. Lucia aveva attribuito il fatto ad un rifiuto particolarmente severo ricevuto da una galleria che lui riteneva perfetta per ospitare i suoi lavori. Gli passerà, si era detta, ritornerà tutto come prima. Invece non era successo. Cristiano aveva preso a dipingere di malavoglia, sembrava che il solo pensiero gli procurasse un’ansia che non sapeva controllare, e progressivamente aveva smesso di prendere in mano i pennelli. Così, quando Lucia era riuscita a piazzare il suo primo quadro, le era persino parso infastidito. Poi le cose erano ulteriormente peggiorate: era iniziato a diventare più difficile anche tirarlo fuori di casa, Cristiano esibiva le scuse più improbabili pur di non uscire, e avevano smesso di fare l’amore.

Il colpo di grazia era arrivato a metà aprile insieme ad una lettera dei suoi genitori, in cui suo padre gli rivelava di aver ingaggiato un investigatore privato per rintracciarlo. Nella lettera, che recava l’intestazione dello studio legale di famiglia ed era scritta a macchina, si leggeva che i suoi genitori erano al corrente del tipo di  vita che Cristiano stava conducendo, sapevano cosa aveva in mente, sapevano che si era fatto traviare da quella ragazza irresponsabile che voleva solamente approfittarsi di lui e dei suoi soldi. Suo padre lo invitava perciò a crescere una buona volta e a fare ciò che era meglio per tutti tornando a casa. D’altronde la sua carriera di pittore, proprio come loro si aspettavano, non stava decollando, anzi. E poi c’era bisogno di lui nello studio legale, il suo vecchio aveva già una certa età e non si meritava forse di godersi una pensione tranquilla, dopo tutti gli sforzi economici che aveva fatto per farlo studiare ? Sua madre, d’altra parte, si sentiva tanto sola dopo la partenza del figlio e da quando lui se n’era andato piangeva in continuazione ed era caduta in una profonda depressione. Come poteva tenersi un tale peso sulla coscienza dopo tutti i sacrifici che lei aveva fatto per crescerlo ? La lettera si chiudeva con una proposta che veniva definita equa e ragionevole:  Cristiano avrebbe avuto il permesso di tenere una piccola galleria al piano terra dello stabile dello studio legale, dove avrebbe potuto esporre i suoi disegni, a patto che si impegnasse con serietà nel portare avanti l’impresa di famiglia. Dal mattino seguente a quello in cui era arrivata la lettera Cristiano si era convinto di essere ammalato. Lucia lo aveva trascinato in ospedale per provargli che stava diventando ipocondriaco, gli aveva più volte consigliato di rivolgersi a uno psicologo per risolvere i suoi conflitti, offrendosi di accompagnarlo e di partecipare con lui alle sedute. Lei d’altronde lo aveva già fatto quando era morta sua madre e anche in seguito durante l’adolescenza, e la considerava una delle esperienze più utili della sua vita. Aveva imparato a mettersi in discussione, e a conoscersi meglio. Ma lui non accettava nemmeno di parlare della cosa, e ogni volta che Lucia provava a farlo ragionare iniziava a sbraitare o si rinchiudeva in camera da letto. La situazione, insomma, era al limite.

La porta si apre.  E’ Lucia che torna dal lavoro. Entra in bagno. “Cazzo Cristiano, oggi toccava a te pulirlo”.
“Ho avuto mal di testa tutto il giorno, scusami”.
“Sì sarà la decima volta in un mese…perchè non esci un po’ ? Sei sempre chiuso in quella stanza. ”
“E dai, lo sai che non sto bene, lasciami in pace, lasciami dormire.”
“Cristiano, cazzo, la vuoi finire con questa storia ? E reagisci una buona volta ! Basta ! Sono stufa di vederti così !”
“Beh cosa credi ? Credi che a me faccia piacere ? E poi a te non te ne frega un cazzo che io stia così male ! Anzi non ci credi nemmeno.”
“Certo che non ci credo ! Perché, cosa ha detto il medico dell’ospedale ? La verità è che tu non vuoi ammettere che non hai niente, che è solo per quella stupida lettera dei tuoi genitori !”
“Non parlare così dei miei genitori ! Loro lo fanno per il mio bene !”
“Ah sì ? E da quando ? Se non sbaglio ti facevano schifo, finché era comodo parlarne male. Facile fare l’incompreso quando si è figli di papà ti pare?”
“Facile per te parlare così ! Tanto tu hai già trovato due galleristi interessati ai tuoi quadri, e in più dal secondo sei andata senza nemmeno dirmelo. Io mi sono fatto trascinare fino a qui per spaccarmi la schiena tutte le notti in quel cazzo di bar”
“Guarda che sei proprio uno stronzo. Ora dai la colpa a me di essere venuto qui. Quando io l’ho fatto anche per te. Sì, è inutile che ridi, è la verità, sei tu che dicevi che se restavi ancora con la tua famiglia saresti morto asfissiato, non saresti mai riuscito a esprimerti. E invece sei proprio come tuo padre, sei uno schiavo, pensi di essere diverso ma sei tale e quale a lui ! Pensi solo ai galleristi e a fare carriera. La verità è che hai bisogno di uno psicologo, accettalo una buona volta !”
“Solo perché l’hai fatto tu lo devo fare anche io ? Ma che ne sai ? Sono pazzo allora secondo te ? O magari sto solo di merda a stare qui.”
“Bravo, e allora se non ti sta più bene qui tornaci dai tuoi cari genitori ! Che ti vogliono tanto bene loro ! Si vede !”
Cristiano non risponde.  Guarda in basso e non dice niente. Lucia è esasperata.
“Sei un vigliacco Cristiano. E io non ne posso più. Non ti riconosco più, e se le cose stanno così te lo dico io visto che non hai nemmeno le palle per farlo da solo. Vattene. Vattene e vaffanculo”.
Cristiano non ribatte nulla. Dentro al cuore ha un nodo così grosso che gli sembra di morire. I suoi mostri lo hanno ritrovato, hanno ripreso possesso di lui. In dieci minuti prepara la valigia e se ne va. Fuori Amsterdam è torrida e deserta.

© AlePop (Clicca sull’immagine per ingrandire)

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