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Bitte Orca – Dirty Projectors

bitteorcaSe Ridley Scott nell’ormai lontano 1982 affidava la sua idea di musica del futuro alle splendide musiche di Vangelis, nella Los Angeles del 2019 di Blade Runner, oggi i Dirty Projectors potrebbero essere la colonna sonora perfetta per la nostra idea stereotipata di futuro. Già, perché all’ascolto del sesto album della band di Dave Longstreth le possibilità sono poche: vengono da un altro pianeta, vengono dal futuro o sono semplicemente schizzati. Segni c’erano stati già in passato, considerando i precedenti lavori e la versione estemporanea di Hyperballad di Björk, ma questa volta, la situazione è ben più degna di nota poiché questo novello Bitte Orca è un vero e proprio capolavoro, capace così com’è di essere compatto nonostante i numerosissimi elementi dispersivi, di risultare comprensibile e addirittura mainstream in alcuni punti, nonostante la volontà decisamente anticlassica, di appassionare tout-court e non soltanto i grandi cultori di ricercatezze sofisticate. Nove brani che esulano da qualsiasi regola di composizione classica, da qualsiasi struttura prefabbricata e montata al momento. Nove brani che mostrano un’infinità incredibile di prospettive e di visioni, che alternano sovente e volentieri andature, tempi, suggestioni, melodie, dissonanze, sovrapposizioni e sfasature, cori polifonici. Nove brani che, anche se non sembra, sono estremamente elaborati in ogni loro piccola accortezza, perfino nella più sparuta dissonanza, nonostante sembri dominare una certa bizzarria ritmica e un grande spirito di ironia. E se di tributi del tutto particolari ne avevano già fatti in passato a grandi artisti quali Eagles e Black Flag (Rise Above, 2007), di certo rimane difficile accostare il nome dei Dirty Projectors a determinate tendenze poiché la loro musica risulta sorprendentemente originale. E forse mai quanto questa volta l’influenza del concittadino e amico David Byrne, col quale avevano collaborato in Knotty Pine per la compilation benefica Dark Was the Night, si fa sentire più che mai, almeno per quanto riguarda un certo modo, una certa visione del fare musica. Una visione  portata ai confini estremi dalla sperimentazione intrapresa da Frank Zappa. Ma gli elementi classici strutturali di certo non mancano. Stilness is the Move è un tipico pezzo R’n’B di quelli più tipici, per non dire commerciali (e nessuno si scandalizzerebbe se a cantarlo fosse Santigold), con tanto di beat e grande prestazione vocale di Amber Coffman; Fluorescent Half-Dome è un brano squisitamente pop con un giro di basso e dei movimenti di voce dalle influenze soul. E ancora gli spunti folk di Remade Horizon e Temecula Sunrise, le chitarre elettriche punk rock e noise di Useful Chamber frammiste ai beat elettronici. Ognuno di questi brani contiene talmente tanti di quegli elementi che è impossibile stare ad elencarli tutti; elementi che ti fanno cambiare strada e ti fanno imbattere nello stupore dell’inaspettato anche quando sembra essere avviati ormai con sicurezza per una certa via, caleidoscopio attraverso il quale puoi vedere tutti i miliardi di piccoli frammenti colorati. Lo dimostrano gli assoli del tutto estraniati di chitarra di No Intention e Temecula Sunrise nonché la struttura eccezionale di Two Doves, un brano che potrebbe essere la colonna sonora perfetta di una fiaba da mondi onirici e sognanti quale Alice nel Paese delle Meraviglie. E il grande lavoro è delle voci, elementi portanti di ogni brano; le due voci femminili e quella maschile che si uniscono, si alternano, si richiamano e si rincorrono, addolciscono e stridono, voci sulle quali si susseguono spesso e volentieri armonie nonsense che acquistano sonorità intriganti e stranianti nell’insieme. È davvero interessante notare come la Grande Mela, e Brooklyn in particolare (luogo di scambio di culture per eccellenza), sia al giorno d’oggi il luogo dove si propongono le cose più estremamente interessanti del panorama indipendente, al di là dei confini dei generi musicali, oramai soltanto teorici, se si pensa ad illustri concittadini quali Animal Collective, Grizzly Bear, Tv on the Radio. E probabilmente, a sentire certa roba, quella famosa frase che nell’1982 dava inizio ad uno dei monologhi più famosi della storia del cinema, oggi ritroverebbe ancora un suo senso: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”.

Credits

Label: Domino – 2009

Line-up: Dave Longstreth (Musical Direction) – Amber Coffman (Singing, Guitar) – Angel Deradoorian (Singing, Keyboard, Samples, Guitar, Bass) – Brian Mcomber (Drums) – Nat Baldwin (Bass) – Haley Dekle (Singing)

Tracklist:

  1. Cannibal Resource
  2. Temecula Sunrise
  3. The Bride
  4. Stillness Is The Move
  5. Two Doves
  6. Useful Chamber
  7. No Intention
  8. Remade Horizon
  9. Fluorescent Half Dome

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