Multimedialità, sinergia, combinazione, intreccio. Il video musicale non è un semplice accompagnamento, ma una struttura vera e propria, che può divenire parte integrante del brano. Un videoclip speciale si imprime nella memoria tanto quanto la melodia. Unico nella realizzazione di video musicali è senz’altro il francese Michel Gondry, visionario regista dalla ventennale carriera, che collabora con artisti incredibili, senza mai perdere il proprio stile inconfondibile. Inizia come batterista della band Oui Oui, di cui realizza anche i videoclip, ma presto l’amore per la regia e le sue visioni prendono il sopravvento. Il video nasce sempre da un’idea assolutamente spontanea e va ad arricchire la musica, disegnando su di essa una favola, oppure cercando di rappresentare proprio la melodia stessa. In questo particolare schema costruttivo Gondry è un maestro assoluto. Alcuni dei suoi capolavori sono costruiti proprio secondo questo principio.
Il regista infatti, è assolutamente convinto che la musica non sia solo questione d’udito, ma che si possa anche vedere. Ogni immagine ha un suono ed ogni suono può essere immaginato, secondo i criteri più fantasiosi.
In questo senso Around the world (making of) dei Daft Punk è una delle opere più riuscite del regista. La musica non va solo ascoltata ma vista e Gondry scatena le sue fantasie sui ritmi del duo francese. L’intuizione viene dalla melodia: un giro di basso che si ripete, colorandosi di note e sfumature, innescate da diversi e nuovi strumenti. Il risultato finale è più della somma delle parti ed il regista riesce a trasporre in immagine la sua visione: ogni strumento ha il suo “io” che va rappresentato nell’identità e nel movimento. Per prima cosa una scala su cui salgono e scendono gli omini che rappresentano il basso e che giocano e ballano con le ragazze ammiccanti che personificano le tastiere. Intorno si aggiungono mummie a muoversi sul tempo della drum-machine, scheletri che seguono la chitarra e robot che si muovono seguendo il vocoder ed il quadro è completo. Concentratevi su un solo elemento, guardateli tutti, uno per uno e poi osservateli insieme: a prima vista una banale coreografia d’insieme, a guardar bene un ipnotico carillon elettronico.
Semplice, ma di grande impatto, il video per i White Stripes, The hardest button to button (making of) (così riuscito da essere stato copiato anche dai Simpsons), opera in cui il regista fa un’eccezione alla regola per cui non vuole performance nei suoi videoclip. Con 72 batterie e una moltitudine di amplificatori Gondry costruisce fisicamente un percorso sul quale strumenti e musicisti si muovono. Le batterie si schierano in fila e Meg White si sposta da una all’altra ad ogni nota. Allo stesso modo, la chitarra di Jack White scandisce il tempo, mentre lui si muove saltando da un amplificatore ad un altro. Niente è lasciato al caso: il movimento è al servizio della melodia. Le tecniche sono basiche: il gruppo è stato ripreso nelle diverse situazioni, il tutto è stato sovrapposto in un secondo tempo, seguendo le tecniche di stop motion, e visionato sia nel giusto andamento che all’indietro. Il risultato? Gli strumenti invadono la città, creando nell’immaginazione un muro sonoro forte come effettivamente lo è la musica. Ancora una volta, un video riuscitissimo.
Una delle caratteristiche più ammirevoli di questo videomaker è la modalità con cui partorisce le idee. Le immagini non sono mai casuali, ma sempre in qualche modo connesse alla musica o all’artista con cui collabora. Certamente negli anni Gondry ha imparato a conoscere Björk, per la quale ha prodotto nel 2008 un videoclip macchinoso per il singolo Declare independence (making of). L’ispirazione, a detta del regista, arriva durante un live nel quale egli nota il rapporto che si crea con il pubblico, che si nutre dell’energia proveniente dal palco e la restituisce, sfamando a sua volta l’artista islandese. Ogni scambio amplifica questa energia; dunque, perchè non creare una macchina che mostri questo meccanismo? Detto, fatto. La fantasia prende forma e lo spettacolo va in scena: sospeso sopra Björk, un bassista suona; le note sono fili bianchi che si muovono e arrivano dallo strumento alla cantante che, attraverso un bizzarro microfono, le rimanda al pubblico. I fili scorrono tra le persone e le muovono. Nel movimento accade la magia: nel percorso per tornare all’origine (agli strumenti, alla voce) le note, arricchite da chi ascolta, vengono colorate e ritornano così all’ipotetico palcoscenico con un valore aggiunto rispetto all’inizio. La macchina si muove, i fili guadagnano colore ad ogni passaggio, in un loop ipnotico e ascendente. Un video apparentemente molto tecnico e lontano dalle visioni di Gondry, capace però di ricreare visivamente l’energia della musica; rafforzato dalle andature industrial del brano che ben si prestano all’interpretazione futurista.
E anche quando sembra che il video voglia solo raccontare una storia, la musica trova sempre una propria rappresentazione, poiché le atmosfere sono plasmate sul brano. Emblematico il video di Knives out dei Radiohead. Un unico piano sequenza racconta una molteplicità di situazioni: le scene ospedaliere con protagonista la ragazza rappresentata nella tavola dell’Allegro chirurgo, i deliri di Thom Yorke che l’assiste e una tv che mostra i due protagonisti in viaggio in treno, mentre fuori dal finestrino scorre il loro passato. La narrazione segue davvero le (non) regole del sogno: diversi segmenti temporali di una storia vengono rappresentati insieme, i punti di vista si moltiplicano, in una sorta di sospensione tra surrealismo e cubismo. Nello stesso momento una molteplicità di scenari si svelano allo spettatore, in modo completamente acronologico e vagamente disordinato, così la comprensione finale deriva dalle spinte di ogni componente che cerca di imprimersi, per dare un senso all’insieme.
E’ chiaro che siamo di fronte ad un talento assolutamente unico, la perfetta fusione di istinto e precisione; studio accurato delle melodie e grandi castelli di pensiero. La forza delle sue opere sta nel valore aggiunto che portano alla musica. Mai banale, mai ripetitivo, lontano dalla realtà. Che decida di raccontare deliranti favole o di insegnarci a “vedere” la musica, Gondry è senza dubbio una specie di Re Mida dell’immaginazione, fa di tutto quel che tocca una meraviglia onirica.