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Tornare a sfamarsi un po': Afterhours tra Roma e Firenze

È solo sangue e non va via: Afterhours @ Tendastrisce (RM) 06/12/08 (Valentina Di Cecco)

Per Dubuffet l’arte è “non una bottiglia che resta vuota dopo che la si è bevuta, ma una bottiglia magica che si riempie mentre disseta“, ed è questa la sensazione che lascia il concerto degli Afterhours in una sera fredda bagnata dalla pioggia e da una luna vicina. Il buio è lacerato da una sola chitarra, accompagna la voce piena che scandisce You Know You’re Right e inchioda senza bisogno di fragore, allaccia scivolando piano sotto la pelle… comincia così a scorrere la musica, ad appagare senza saziare, lasciando la fame, lasciandosi capace di dare, di darsi. Manuel Agnelli solo sul palco fa sua una volta in più la canzone dei Nirvana, cucendola addosso a sé e a chi è lì a sentire. Dopo aver fatto assaggiare come l’Altro possa aderire alla propria carne, sul palco gli Afterhours si presentano arricchiti da una presenza che permette di dare nuovi colori e sfumature ai loro brani: due fiati e un theremin impreziosiscono, stravolgono, osano. È una scelta questa, proposta a partire dalla data parigina in cui è stata presentata la nuova versione de I milanesi ammazzano il sabato, che racconta di una ricerca sempre in atto, in costante svolgimento, dice di una voglia sempre accesa di sperimentare.

Forse è proprio questa ricerca, questo non limitarsi a porgere al pubblico i pezzi che vogliono sentire e si aspettano, ad arricchire più di qualsiasi cosa la musica di un gruppo che ha insegnato il vizio della bellezza autentica, quella che sa anche essere feroce, che sa accogliere in sé sbavature e aperture, quella che è capace di rivelare una verità, un volto, delle mani che si mostrano sporche e candide proprio per questo. Da Naufragio sull’isola del tesoro a Plastilina, da Male di miele a Non è per sempre, ogni brano svela questa bellezza, le evoluzioni di un cammino che ha saputo prendere molteplici direzioni, percorrere fiero e consapevole terreni diversi. Di fronte a Simbiosi e alle trame che il theremin le ha regalato, da cui i versi sono emersi come pietre dure da stringere tra i denti, di fronte a Televisione, ai battiti che al suo inizio trovano un nido nella gola, o alla vampa accesa dal susseguirsi di Dea, Lasciami leccare l’adrenalina e Strategie, il linguaggio, con il suo nominare, appare semplicemente fallibile. Ma forse è solo che ciò che innamora reclama silenzio, il silenzio dell’ascolto da cui ogni aspettativa e pretesa è lavata via, in cui riposa l’accoglimento, l’abbraccio. L’alchimia tra Agnelli e D’Erasmo, tra il violino e i fiati, le dinamiche dei gesti che disegnano danze e sonorità, il tocco di Prette, la bellezza conturbante de L’estate, il fascino ipnotico di Varanasi baby… reclamano unicamente il silente abbraccio dei sensi, c’è solo da ac-cogliere, da lasciarsi succhiare il respiro. C’è il “sangue che non vedo e che mi dai” da ritrovare dentro sé come un senso in più, come una vertigine non significativa ma significante. All’origine sei persone, per una sera nove, che hanno trovato un loro equilibrio mantenendosi alla ricerca di equilibri capaci di essere sapore. Gli Afterhours sul palco sanno come cambiare pelle, al di sotto resta il colore del sangue come cuore, è un filo che passa per La sottile linea bianca, per Dentro Marilyn, per 1.9.9.6, per Quello che non c’è, per la Verità che ricordavo, per Due di noi, per Musa di nessuno, trovando infiniti modi per avviluppare. Lungo questo filo si innestano e fioriscono la ruvidezza di una voce sempre più affilata, le corde taglienti di un violino sa sfiorare anche la follia per essere sublime, i fiati che a tratti sembrano voci di cosmogonie, l’ardore delle mani che segnano i battiti… “è solo sangue“. “È solo sangue e non va via“. È solo sangue da non far andare via, lasciando che si coaguli stretto in un abbraccio, tra le labbra o le dita per “Guarire un po’ / Sognare un po’ / Amare un po’ / Fallire un po’ / Far male un po’ / Pentirsi un po’  e / Tornare a / Sfamarsi un po’“.

Capacità e talento: Afterhours @ Viper (FI) 11/12/08 (Serena Remondini)

Arrivo al Viper poco dopo le nove. Mi sono meravigliata della scelta di esibirsi in questo locale di dimensioni molto più contenute del solito. Il popolo degli After è decisamente molto numeroso dalle mie parti. Ma questa scelta mi fa pensare a un concerto più intimo e il fatto che il palco sia basso e accessibile e anche molto contenuto mi entusiasma. Sarò oltre la prima fila questa sera. Il concerto inizia con una piccola sessione di Roberto Dell’Era che mi lascia favorevolmente impressionata. Controluce rosso, un uomo con la chitarra. Un attimo di buio e il gruppo sale sul palco. Tutti vestiti di nero. Manuel imbraccia la chitarra classica e coni di luce bianca tagliano il nero.
Si parte con You know you‘re right (cover dei Nirvana), in versione acustica e seguita da La sottile linea Bianca. Sono per me momenti frenetici di emozione molto forte. La luce cambia, partono le note di E’ solo febbre e sento la voce del pubblico in sottofondo. Dopo la terza devo uscire dalla zona sottopalco e quale migliore canzone se non Dea? Il pubblico balla e nello spazio limitato della sala l’effetto su di me è piuttosto devastante. Contro il mio volere, sospinta da movimento non controllabile, mi ritrovo in fondo alla sala, quasi fuori dal locale.  Incomincio a nuotare controcorrente, perché dal palco stanno arrivando le note di Strategie. C’è sul palco un’energia palpabile. Manuel è in forma smagliante, e il resto del gruppo non è da meno. E’ un caldo soffocante e le giacche sono già sparite, Manuel si apre la camicia, si arrotola le maniche. E’ dotato di un magnetismo animale stasera. Quando parte Lasciami leccare l’adrenalina ci lascia cantare la prima strofa e io sento addosso la devastazione che sta per incombere sulla mia risalita. Riesco a fatica a procedere nel pogo generale. Nel locale ballano tutti. Tutti. Arrivo vicino al palco con la suadente Varanasi Baby cantata in duetto con tutta la sala. Le corde del Violino di Rodrigo si sono logorate per l’estrema veemenza con cui sta suonando stasera. Le morde, impaziente di riprendere a suonare. A ruota seguono I Milanesi ammazzano il sabato e Tutti gli Uomini del presidente. Le lame dei coltelli sullo sfondo sono di un viola acido bellissimo le parole di Dentro Marilyn fanno salire alla mente tanti ricordi, ma stanotte non c’è tempo per la malinconia. Manuel non è in vena di molti discorsi, si limita a ringraziare, ma lo vedi che è contento per lo svolgimento della serata. E’ assolutamente consapevole che stanno facendo un concerto veramente di qualità. Lo vedi nei movimenti sciolti e sicuri. Lo vedi nei suoi sorrisi. Il pubblico si galvanizza dei suoi ringraziamenti, dei suoi inchini e quando partono le note di Neppure Carne da Cannone per Dio è di nuovo il caos totale. Mi vengono in mente i giochi che facevo da bambina, quando mi divertivo a lanciare in aria le bambole di pezza osservando i movimenti degli arti nell’aria. Mi aspetto da un attimo all’altro di vedere qualcuno del pubblico fare lo stesso spinto dalla bolgia centrale, ma per fortuna non accade. Ci lasciano ancora più senza fiato dopo una versione straziante di Pelle. Poi è la volta di Due di Noi, seguita da L’estate. Parte 1996 e dopo un paio di note il pubblico emette un boato. Manuel stasera è spettacolare. Il suo cantato pervaso totalmente dall’energia che scorre sul palco.Il resto del gruppo è un vortice di energia pura. E’ la volta di E’ la fine è la più importante in una versione rivisitata molto bella. Lenta, ammaliante.
Le parole di Musa di Nessuno graffiano. Poi è la volta di Tarantella all’inazione. Ormai siamo totalmente in loro balia e quando Manuel, Rodrigo e Roberto iniziano la “coreografia” de La vedova Bianca molti dal pubblico li imitano. L’ultima canzone prima della pausa è Il sangue di Giuda, eseguita con dei gorgheggi vocali strepitosi. Nel locale intanto il caldo è arrivato a livelli tropicali, ma l’adrenalina è così tanta che non me ne accorgo neanche più. Il Viper è un ottimo locale sotto molti aspetti, ma c’è da dire che l’aria condizionata non funziona. Le luci sono rimaste basse ma il riposo dura poco. Risalgono sul palco e parte Plastilina.Di seguito Tema: la mia città e Senza finestra. E’ la prima volta che la sento live. Non riesco quasi a credere alle mie orecchie. E’ eseguita in una versione molto allucinata. Fantastica. La fine del concerto si sta avvicinando ed è tempo per i pezzi storici. La verità che ricordavo seguita da Male di Miele e Televisione. Non so se mi sono spiegata. Fateci morire e fine! Escono di scena tutti e rimane solo Giorgio Prette alla batteria. I suoi rullanti suonano. Dopo pochi minti risalgono sul palco, ancora. E non fanno una canzone ma cinque: Quello che non c’è, Milano circonvallazione esterna, Non è per sempre, Bye bye Bombay… tutto questo nel delirio più totale del pubblico e nella soddisfazione palese di tutto il gruppo, Ci salutano cantandoci la ninna nanna Orchi e streghe sono soli. Ora il concerto è davvero finito.
Vado via entusiasta pensando le due seguenti cose. Bello poter festeggiare con gli After il compleanno di Giorgio Prette. La crisi nella vendita dei dischi fa cambiare le strategie e induce gli artisti a fare più concerti. Ma credo che questa sia la rivincita della musica, specie quando si assiste a spettacoli come quello di stasera in cui la capacità e il talento sono espressi ai massimi livelli. (Lost Gallery)

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