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Far From the Sun – Siena Root

Un iceberg che si scioglie pian piano e, all’interno, un redivivo Capitan America che si sveglia da un sonno trentennale. Era la vignetta iniziale del primo numero dell’omonimo fumetto Marvel ed è quello a cui ho pensato dopo aver ascoltato per la prima volta questo disco, un lavoro sonoro che sembra stampato e ibernato una trentina d’anni fa e lasciato al fresco per i posteri del 2008! Dai suoi solchi però non gocciola acqua bensì il sacro fuoco del vecchio rock. Perché, diciamolo chiaro e tondo, questo Far From the Sun dei Siena Root sembra venire direttamente dai ’70. Qui non manca proprio niente e, soprattutto, non manca quello stile decisamente seventies in cui è facile riconosce la musica di mostri sacri dell’hard rock. Di solito si parla di “originalità” e di “ricerca” ed è indubbio che sono le parole chiave per andare avanti, per cercare di creare una musica che sia “altra” eppure, c’è poco da fare, spesso ci si richiama a uno stile che ci ha segnato le orecchie e i cuori. E non c’è niente da vergognarsi se si suona una musica direttamente riconducibile a delle sonorità sorpassate. E, in fatto di riconducibilità a vecchi modelli, questi svedesi hanno sfornato un disco hard rock old style dove possiamo trovare di tutto, dalle influenze blues al buon vecchio rock’nroll, passando dal southern rock fino ad arrivare a divagazione progressive degne dei migliori dinosauri di questo genere. Ascoltandolo non ho potuto fare a meno di notare che le strutture dei brtani sono imperniate su scarni e incisivi riff di chitarra, su una voce di quelle nate per suonare il rock e su divagazioni strumentali decisamente degne di nota. La prima traccia, Dreams Of  Tomorrow, si apre con i classici colpi di 4/4 per dare il lancio ad un giro di chitarra elettrica indimenticabile nella sua forza ripetitiva. All’entrare degli strumenti è tutto già chiaro, stiamo ascoltando rock! E la voce di Sartez riconduce ad atmosfere che definirei addirittura alla Lynyrd Skynyrd. Sembra banale vero,? Con Waiting For The Sun le cose si fanno diverse, la lunga intro strumentale con tanto di organo in sottofondo e sitar ci accompagna per parecchi minuti prima che il cantante si faccia sentire, una canzone dalle derive hard rock più acide e allucinate. Ed i vecchi riff taglienti rifanno capolinea in Two Steps Backyards, forse la traccia migliore per ruvidità e ricercatezza non fine a se stessa. Risulta essere quasi un blues elettrificato all’ennesima potenza dove troviamo la presenza di un’ottima seconda voce che richiama il titolo della canzone. Dal blues elettrico di Two Steps Backyards passiamo al rythm’n’blues acido e blu-elettrico di Wishing from More, anch’esso con la chitarra in primo piano e la coda strumentale in cui si nota la tecnica degli strumentisti ma, soprattutto, il loro affiatamento. Si continua così, fra la potenza e gli organi di The summer is old, quasi otto minuti di hard rock di quelli da ricordare, The Breack Of Dawn, forse uno dei brani più progressivi e vicini alle sonorità di Ian Anderson, dopodiché Far From The Sun finisce in delicatezza con Long Way from Home. Un album di quelli interessanti e decisamente nostalgico. Forse troppo nostalgico, dove troppi nomi ricorrono a descrivere la loro musica. Un album dove i riff di basso e chitarra sui tempi in 4/4 regnano sovrani, valorizzati da strumenti oggi quasi messi da parte, come sitar e flauti. Un’eccessiva nostalgia che alla fine della fiera fa comunque apprezzare il gruppo per ciò che è, un’ottima formazione di rocchettari, ma più che pensare alla loro musica ci fa tornare con la mente alla nostra adolescenza o all’adolescenza dei nostri padri, quando suonavano i giganti del rock. Non so se è questo che si vuole quando si suona la propria musica, cioè ricordarsi di quella degli altri, però è ciò che succede qui.
Per quanto apprezzabili i lavori di Datsun e Wolfmother, sono sempre stato critico nei confronti di un revivalismo sonoro, del resto basta notare la fine che hanno fatto i due gruppi sopraccitati: un botto iniziale e poi? Dove sono ora? Con i Siena Root si rischia di fare lo stesso percorso anche se qui non si citano i Led Zeppelin (o meglio, non si citano solo loro) ma è evidente l’influenza dei Deep Purple primissima maniera e, soprattutto, di un certo periodo dei Jethro Tull. Sono degli animali da rock, questi svedesoni con i capelli lunghi, e sanno suonare da dio, sono un’ottima formazione di rock che fa davvero piacere ascoltare ma se vogliono essere ricordati per ciò che sono, se hanno una loro personalità, forse è il caso di iniziare a cercarla seriamente perché penso che possano dare davvero tanto e non perché “quando non si sa dove andare si torna indietro” ma per un’altra ragione. Quale? Ricordarsi di loro “per loro”, non per quello che fanno come lo facevano altri.

Credits

Label: Transubstans – 2008

Line-up: Sartez (vocals & guitar) – KG West (guitar & organ) – Sam Riffer (bass) – Love (percussion)

Tracklist:

  1. Dreams of tomorrow
  2. Waiting for the sun
  3. Time will tell
  4. Almost there
  5. Two steps backyards
  6. Wishing for more
  7. The summer is old
  8. The breack of dawn
  9. Long way from home

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