Home / Editoriali / Lettere dal fronte: Traffic Festival @ Parco della Pellerina (TO) 12/07/08

Lettere dal fronte: Traffic Festival @ Parco della Pellerina (TO) 12/07/08

Un campo di battaglia. Le pozzanghere erano laghi, il terreno era melma in cui brandelli di cuori rimanevano imprigionati, come le scarpe durante la fuga dal buio. Cercando di ricordare quelle ore, il turbinio di immagini dei corpi e delle sensazioni nella mente è velocissimo.
La confusione del nubifragio, l’agitazione per l’evento, la rabbia per la paura.
Perchè era più la rabbia, della paura. Tutto non poteva finire così. I colori non potevano sciogliersi nell’acqua, piano piano fino a perdere ogni pigmento di vita. Non poteva andare così. E così non è stato.

– Ciao Emanuele,
tanto per iniziare mi scuso perché non sono riuscita a vederti, ma sono stata rapita dalla delirante follia del Traffic. Non so più quante persone, che non vedevo da un po’, mi sono ritrovata a salutare e a perdere tra l’eccitazione e i momenti concitati del fuggi fuggi generale. Poi è iniziata la musica: i Massimo Volume prima e Patti Smith poi, mi hanno sequestrato l’anima ed il cervello. E quando sono saliti sul palco gli Afterhours, davvero non avevo più un centimetro di essere che non fosse proiettato a quella meraviglia di stupefacente adrenalina che da loro passava fino a me, trasportata dalle invasate note dei loro magici strumenti. Non è facile riuscire a mettere in parole le emozioni che mi hanno riempito l’anima nella lunga giornata di Torino. Davvero, sai penso che ci siano emozioni talmente grandi che impediscono di occuparsi dei dettagli. Un bacio (P.)

Così invece è stato: un inferno di passione finita. Dolore e redenzione nell’arco di poche ore. Il massimo che possono pretendere un cuore ribelle, un’anima in pena o un alieno che vuole riscoprire la vita vera. Chi tra i presenti possedeva un cuore capace di pulsare, il 12 luglio se ne è sicuramente andato da Torino con qualcosa in più appuntato sul petto: una Medaglia al Valor Militare con su scritto: “Avvento della giovinezza / Immagine perfetta / Sensazione perfetta / E’ nella pioggia, oggi, il vostro grido“. (Il primo Dio)

– Emidio Clementi mi ha tatuata di brividi. Allarga le braccia. Sono gli ultimi due versi di Dopo che. Sono la summa di uno stato di grazia. Muove lentamente la mano e intona il gesto del saluto: “Avuto conferma di vento a favore / tolgo gli ormeggi”. La verità la contiene il ventre del mondo. Tu puoi farla tua, puoi lasciare che si impadronisca di te. Della “loro” verità, quelli che in pochi osano professare, ho respirato le anse, le virgole, i coriandoli delle metriche sonore, ipnotiche, penetranti. (R.)

La rivoluzione del verbo è acclamata dalle tante grida, dai tanti applausi. Mani rivolte al cielo sostenevano le parole-fachiro mentre taglienti e spigolosi giacigli venivano disposti come trappole per tutto il Parco della Pellerina. La batteria plasmava ferri e lame che le chitarre poi affilavano e disponevano ovunque. Il basso e la voce di Mimì camminavano a scatti in questo feroce labirinto, che puliva l’anima passo dopo passo. Come svuotare una cantina buia e profonda. L’umido si attaccava alla pelle come la pioggia battente su di noi. Ci si liberava da ingombri che i Massimo Volume hanno voluto caricare sulle loro spalle, in cambio di sorrisi e applausi. Ci apprestavamo a salutarli con la mano e, come in Qualcosa sulla vita, la nostra nuova pelle splendente era un richiamo alla vita.

– Patti Smith mi ha restituito il senso della coerenza, delle consapevolezze, della dignità. Ride. Sputa. S’aggrappa alla chitarra, al clarino, al riverbero di fragore del tanto pubblico, il suo. Canta con quella sua voce sensuale e violenta, morbida e ruvidissima. Canta, suona, vince su tutto e tutti. Cammina a piedi nudi sul sentiero delle coerenze che ti costano la vita e la testa la porta alta sul collo, alta e dritta: gli occhi aperti e luminosi. “Il futuro è qui. Il futuro è adesso. Non dovete avere paura. Voi siete il futuro”. Saluta le persone come le ri-conoscesse, quasi una ad una. Ti senti parte di un tutto che è corpo, sangue, dolore e stupore.(R.)

Free money, Dancing barefoot, Pissing in a river, Because the night, Smells like teen spirit dei Nirvana, accenni di Gloria… la Sacerdotessa del rock incantava e mandava in trance. Un sabba per far immaginare, ai giovinastri come me, quale poteva essere la potenza di eventi lontani, come Woodstock. La visceralità del rock, del punk, in equilibrio sui movimenti sorprendentemente eleganti di una belva come Patti Smith. Le mani. Lo sguardo. La pioggia scendeva copiosa per circa metà esibizione: c’era chi resisteva stoico sotto l’invidia del cielo che cade a terra; c’era chi cercava riparo più lontano. L’emozione era la medesima. Prendeva tutto il corpo. Lo travolgeva e lo faceva muovere. Le luci illuminavano il cielo; pareva quasi nevicasse tanto grandi erano le gocce di pioggia. L’energia dispensata sul palco era sorprendente e trascinava fino a quando la pioggia ha terminato il suo miserabile lavoro che, alla fine, ha reso tutto ancora più unico ed indimenticabile. Un pezzo di storia è stato di fronte a noi, e ci è stato offerto. Patti Smith ha donato i suoi occhi a noi, per permetterci di osservare il mondo al nostro fianco. Tutto è diverso ora.

– Per me sabato è stata una giornata nuova e inaspettata. Non avevo preventivato di andarci. Non avevo pensato di emozionarmi tanto. Per me tutto aveva il profumo della scoperta. Era il mio silenzio, il mio ascolto, nel mezzo della confusione e dell’energia buona che solo la massa e la musica sanno creare. La consapevolezza di assistere a qualcosa di importante. Forse irripetibile. L’emozione sul palco si proiettava e moltiplicava nel pubblico. Ripeto, per me è stato un Battesimo (l’acqua certo non mancava). Una sorta di iniziazione, con tutti i suoi riti di condivisione. (V.)

Poi è giunta l’ora del giudizio: gli Afterhours sono saliti sul palco. Con lei, con la Sacerdotessa. Questa giornata del Traffic Festival è stata nelle mani di Manuel Agnelli ed in quel momento egli, come faceva il più autoritario nella famiglia villica e patriarcale, doveva capire se il raccolto era stato buono o meno.

– Manuel Agnelli ha la voce solida, lucida. Dentro agli occhi la meraviglia, una commozione palpabile. Quando Patti Smith sale al suo fianco, lui è un essere umano in carne ed ossa che non può nascondere la misura della propria emozione. Indimenticabile. Manuel ha scavato, come sempre, con le sue mani rapaci e vive. Cesare Basile ha soffiato meraviglia sulla polvere rossa di un pezzo di magia. La musica ha il grande potere, il privilegiato senso della condivisione; ha l’odore del corpo di ciascuno; è il laccio al sacco dell’invenzione di una normalità che valica i pudori. Questa è la musica che amo; è il miracolo che può accendere la miccia. E’ vita buona. Fradicia e afosa, fiera e generosa. Questo è il tratto indelebile che ha legato le voci, le chitarre, i rullanti, ciascuno strumento. Una generosità umanissima ed orgogliosa. (R.)

Dall’alto dell’impianto di amplificazione la musica bombardava i civili finalmente completamente liberi dalla pioggia. Urla e braccia rivolte al cielo attendevano i loro proiettili divini… era bello ciò che c’era sul palco, ma era ancor più bello il pubblico al mio fianco. La sinergia era totale. Ogni colpo di batteria benediceva l’emozione nata e morta in battaglia; voce, chitarre, tastiere, basso e violino la innalzavano al cospetto di qualcosa di tanto grande come mai in nessun altro palco d’Italia e all’estero la band di Agnelli era riuscita a creare. Un concerto che aveva le caratteristiche di un matrimonio tra una band e il mondo intero; un gruppo di musicisti che già ha superato i confini nazionali, ma può ambire ad altro ancora. Il 12 luglio, a Torino, si è scritto un pezzo di storia della musica, con un intreccio favoloso e complesso, dove tutto trova senso e valore nell’arte di chi stava sul palco, e nella capacità di essere pervasi dall’arte stessa, da parte di chi stava sotto il palco.
Una scaletta che offriva una panoramica complessiva su tutto ciò che sono stati gli Afterhours e su tutto ciò che saranno. Da Sui giovani d’oggi ci scatarro su, a Neppure carne da cannone per Dio, da Male di miele a Orchi e streghe sono soli. Oltre ai pezzi che in un’occasione del genere “dovevano” essere in scaletta, gli Afterhours non hanno mancato di premiare con un regalo davvero unico chi li segue e li apprezza da tempo, chi scruta e osserva con cura: le note di Simbiosi tagliavano l’aria umida mentre sul palco saliva Emidio Clementi. Tutti quanti ci siamo ritrovati in quelle torbide atmosfere de Il Meraviglioso Tubetto, e gli Agnelli Clementi stavano musicando Peckinpah in ralenti. Le parole di Mimì si stavano tessendo sulla pelle di Manuel e presto il favore è stato ricambiato quando in Bye bye Bombay Manuel cantava sai Mimì che la paura è una cicatrice… mentre lo stesso Mimì, era a pochi passi, lì dietro il palco. Una magia intima, che gli artisti hanno deciso condividere in un evento di tale portata.Il fiato di Cesare Basile ha suonato un’armonica celestiale in Quello che non c’è fino a quando la tensione non ha potuto altro che deflagrare sul roboante e convulso finale strumentale.Il termine del concerto si stava avvicinando. Mi trovo nuovo è una perla rara rispolverata dalla band negli ultimi tre live. L’incanto del brano contenuto in Hai paura del buio? ha coronato una serata unica ed indimenticabile.
Gli applausi degli spettatori si sono fusi a quelli dei musicisti, in uno scambio in cui davvero era impossibile stabilire chi fosse più grato all’altro. In qualsiasi verso erano diretti quegli applausi, tutti quanti i presenti quella sera, se li sono meritati. Penso che l’emozione più grande abbia albergato dentro a Manuel Agnelli, il quale ormai è una vita che tiene tra le mani un giocattolo con cui non si stanca mai di giocare e per di più riesce a rinnovarlo di anno in anno. La condivisione del palco con Patti Smith è stato qualcosa di talmente grande che non richiede ulteriori parole. Eccoli a tutti: gli Afterhours con la pelle splendida del rock, quella che si misura con il velluto della Storia.
I complimenti più grandi vanno agli organizzatori del Festival che sono riusciti ad offrire uno spettacolo unico ed irripetibile disponendo sul palco artisti di altissima caratura. La bontà della reunion dei Massimo Volume è stata testimoniata dai tantissimi sinceri e bagnati applausi del pubblico che li amava e che ha imparato ad amarli dopo lo scioglimento nel 2002. La passione di Patti Smith è un dono divino da provare dentro il corpo per capirne l’entità. La professionalità e la passione degli Afterhours sono dati risaputi che però necessitavano di una ostentazione tanto sacra come quella del Traffic Festival. Tutti i musicisti che hanno calcato il palco andrebbero citati uno ad uno: Ciccarelli ha stupito per dinamismo ed adrenalina, Dell’Era, Gabrielli e D’Erasmo continuano a sfidare il contatto con una platea tanto vasta all’intero di un evento tanto importante e la loro professionalità e carica emozionale ha colpito a segno. Prette è una sicurezza infallibile a cui gli Afterhours non potrebbero mai e poi mai rinunciare.
Ora non restano che i ricordi, le cicatrici, la semplice consapevolezza di aver vissuto l’irripetibile. La tanta pioggia caduta dal cielo non è stata altro che il profetico insieme di lacrime non versate dai molti timidi come me, che sempre si vergognano a mostrare le guance scavate dalle emozioni.
La guerra è finita. Andate in pace. (In collaborazione con Roberta Molteni, Piera Tedde, Valentina Colaianni, Ilaria Agrò; Si ringraziano Roberta Accettulli e Paolo Santoro di Casasonica Management; Foto 1-2-5 by Emanuele Gessi; Foto 3-4 by Pasquale Modica – Casasonica)

Ti potrebbe interessare...

Benvegnù intervista

In fuga dalla carovana dei cortigiani, intervista a Paolo Benvegnù

Le conversazioni, quelle belle. Le occasioni commoventi di incontrare, tangendole, le curve perfette della personalità …

3 commenti

  1. Il giusto spirito di LostHighways.
    Le vere emozioni di un sabato speciale.
    Bravo Emanuele. Non è da tutti renderle così veritiere.

  2. Aggiungo anche il mio telegramma dal fronte. Una persona fra moltissime altre, sabato a Torino, imbronciata per la pioggia che ha cercato di rovinare tutto.

    Patti Smith ha colpito al cuore. Uno spirito nobile, un’artista grandissima. Ho davvero goduto della sua presenza, del suo carisma fortissimo e del suo sorriso.
    Gli Afterhours sono una garanzia che si rinnova, una band unica, chitarre che graffiano, parole che scavano e passione. Passione e forza che dal palco si riversano sul pubblico, nutrono.
    Lo stupore, la grande concentrazione e la gioia incredula dipinta sui loro volti, mentre condividevano palco e musica con Patti, sono stati il valore aggiunto.

    Per me si sintetizza tutto in un unico concetto: empatia.
    Una meraviglia fatta delle tante sensazioni incastonate in ogni singola canzone, ma anche dell’emozione vera, carnale, dell’essere umano.
    Emozionarsi insieme, artisti e pubblico, e godere della reciproca emozione.
    Questo dovrebbe essere sempre la musica.

    Uno dei tuoi report migliori di sempre, Emanuele. Parli al cuore.

  3. Non c’ero di persona ma c’era un pezzo del mio cuore.

Leave a Reply