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Il linguaggio dei suoni ri-trovati: Lisbon Story – 1994 (Wim Wenders/Madredeus)

“Fra me e l’umanità c’è un golfo,/e quel golfo è dentro il mio essere” (Faust – F. Pessoa).
In quel golfo, in quel vuoto/pieno af-fluiscono suoni. Oltre le parole pronunciate. Oltre gli occhi a incrociarsi. Oltre i sogni. Oltre le ombre. Un uomo e la sua valigia. La ricerca del magma intoccabile di una città sospesa sull’oceano, trafitta e distrutta ma mai arresa, languida, sinuosa, di alti e di bassi, di bianco e di nero: Lisbona. Come una donna a cui occorre raccontare una storia, la sua… quella smarrita nel flusso degli anni a rincorrersi, a confondersi, a sbiadirsi.

Come una donna distesa sul peso delle sospensioni, delle attese che pretendono squarci di possibilità. Lisbona e il fado. Quello che respira lento nei versi di Pessoa. Quello che fluttua sul pentagramma dei Madredeus. Quello che scorre sul Tago, la ferita d’acqua dolce che non cicatrizza. Lisbona e i suoi tram, in corsa folle quasi a cercare un punto per precipitare del tutto, finalmente… “Invadimi, elisione di me stesso!/Voler volere, sasso inutile al mare!/Sacco per raccogliere il vento, cesto d’acqua…” (Faust – F. P.). Lisbona e i suoi suoni.
Affidare un documentario al regista dei sogni, delle intuizioni fatte flusso di immagini evocative mai educative, dei luoghi scandagliati come scrigno di impronte di corpi e sentimenti voleva dire sapere di volere altro. Non un documentario. Una storia. La storia di un altrove del pensiero che confonde il concreto e l’inconsistente che ha la forza della carne, però.

“Credo fermamente che i luoghi abbiano dei ricordi e che noi abbiamo la capacità di leggerli e capirli” (W. Wenders): così Lisbona racconta la sua storia all’uomo che sa ascoltarla, anche piangere. Si lascia osservare, apre i suoi antri e libera le figure che la abitano.
Da un concetto, da un modo di percepire la realtà all’esigenza di una sintassi che diventi comunicativa: il film. Ovvero una trama, inquadrature, personaggi secondari, primari, comparse, soundtrack. Un tutto che condensa e lima punte di ruggine, smussa angoli a difendere. Wenders e la sua estetica dell’orizzonte.

Lisbon Story è solo il dispiegarsi di una ricerca dei suoni della città. Un film nel film. Due personaggi alter ego del regista. Moltiplicarsi dell’identità alla scoperta del sé. Come Pessoa e le sue finzioni d’eteronimia.
Philip Winter, un tecnico del suono, raggiunge a Lisbona l’amico Friedrich che ha girato un documentario in bianco e nero con una vecchissima cinepresa e senza suoni. Friedrich, assente e non presente se non con le pizze lasciate in una casa vuota, se non alla fine. Le difficoltà della ricerca sono metaforicamente rappresentate dalla fatica dell’andatura di Philip per via di una gamba ingessata. La ricerca di Friedrich e la ricerca dei suoni, quelli catturati vagando tra le malie di Lisbona, quelli che affascinano i bambini perché capaci di “vedere” immaginando… “
Io ascolto senza guardare e così vedo” (F. Pessoa). Così, attraverso i suoni Philip trova l’amore. Quello che alimenta il suono della voce di Teresa (Teresa Salgueiro – Madredeus), percepita come un alito di sogno, inseguita fino ad una stanza in penombra. Il suono di una voce è la musica dei Madredeus… scorrono Guitara, Ainda… come un filo che, tirato, lascia rotolare la matassa fino alla fine… fino all’estremo di un sentimento. Perché la musica racconta, unisce, seduce, ammanta le zone più profonde dell’essere oltre i corpi e fa innamorare, creando legami che durano più della volontà che annega in direzioni di sicurezza. La musica al centro, malinconica, ricca di strumenti classici, di mani che ri-cercano e dis-pongono le note per farne ricami di visioni, di suggestioni, di trascendenze.
Alla fine Philip trova l’amico in preda all’ossessione che l’occhio possa rovinare l’immagine, quindi le sue riprese sono eseguite al contrario puntando la cinepresa dietro le spalle.
Un film sul cinema. Sull’importanza del sonoro nelle nuove tecniche di realizzazione cinematografica, sulla necessità della ricerca che drammatizza e trasforma in fragilità la poesia di un regista onirico.

Ainda è uno dei dischi più dolci, commoventi, disarmanti del quintetto portoghese e con naturalezza accompagna il dipanarsi di una successione di immagini che ha scontornato i limiti del documentario e ha fatto di una percezione una lirica in bilico tra l’esistente e l’infinitamente possibile.

Credits

Director (Wim Wenders) – Screenplay (Wim Wenders) – Director of Photography (Lisa Rinzler) – Editor (Peter Przygodda) – Musical Score (Jürgen Knieper) – Music (Madredeus) – Production Design (Zé Branco) – Cast (Rüdiger Vogler, Patrick Bauchau, Teresa Salgueiro and Madredeus) – Guest Appearance (Manoel de Oliveira) – Producers
(Ulrich Felsberg , Paulo Branco) – Production (Road Movies Filmproduktion/Berlin) – Length (100 min) – Format (35mm Colour)

Soundtrack – Ainda

Label: Emi – 1995

Tracklist:

  1. Guitarra
  2. Milagre
  3. Ceu da mouraria
  4. Miradouro de Santa Catarina
  5. A cidade e os campos
  6. O tejo
  7. Viagens interditans
  8. Alfama
  9. Ainda
  10. Maio maduro maio

Alfama – Lisbon Story


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Un solo commento

  1. Ri-vivendo, passo a passo, l’atto della caduta: catapultati dentro alla realtà dalle mani del sogno. Non per rialzarsi ma per annusare a fondo l’odore della terra e, con la terra fra le mani, aspirare agli azzuri dell’acqua, del cielo. Intuizioni.

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